Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3133 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3133 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– PARATO VINCENZA, n. 2/06/1941 a Caltagirone

avverso la sentenza della Corte d’Appello di CATANIA in data 31/01/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. C. Puliafito del foro di Caltagirone, sostituita
dall’avv. G. Carrella del foro di Salerno che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso;

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. PARATO VINCENZA ha proposto, a mezzo del proprio difensore fiduciario
cassazionista, tempestivo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di
CATANIA in data 31/01/2013, depositata in data 19/02/2013, confermativa della

medesima imputata è stata condannata alla pena di mesi otto di reclusione ed
500,00 C di multa, ritenuta la continuazione e concessa la sospensione
condizionale della pena, per i seguenti reati: a) artt. 44, lett. b), d.P.R. n.
380/2001 (per aver realizzato, senza la prescritta concessione edilizia, le
seguenti opere: in Caltagirone, via Croce del Vicario, n. 88, sopraelevazione di
un primo piano con dimensioni di nnt. 10,00 x 11,00 circa con altezze alla gronda
di ml. 2,60 circa ed al colmo di ml. 3,20 circa, con struttura portante e
tompagnatura in muratura con forati del tipo poroton e cordolo di coronamento
costituito da travi in ferro a doppia T e calcestruzzo, tetto di copertura a due
falde inclinate con travi in legno, tavolame, guaina e manto di tegole del tipo
coppi alla siciliana; realizzazione di tre aperture di ml. 2,50 circa x ml. 2,60 circa
di cui una sul prospetto principale e due sul prospetto laterale sx); b) artt. 93,
comma 1 e 95, d.P.R. n. 380/2001, 17, 19 e 20 legge n. 64/74 (per avere
omesso di dare preavviso alle competenti autorità della denuncia dei lavori e
presentazione dei progetti di costruzione in zona sismica); c) artt. 94, commi 1 e
4, 95 d.P.R. n. 380/2001 in relazione ai DD.MM . 3/03/1975, artt. 18 e 20, legge
n. 64/74 (per aver iniziato lavori senza preventiva autorizzazione scritta del
competente ufficio tecnico della Regione, in zona sismica); reati sub a), b) e c),
accertati in Caltagirone il 26/03/2008.
Con la medesima sentenza, la stessa è stata giudicata colpevole anche dei
seguenti reati: a) artt. 93, comma, 1, 95 d.P.R. n 380/2001, 17, 19 e 20, legge
n. 64/74 (per avere, in qualità di esecutore dei lavori realizzato o fatto realizzare
in Caltagirone, Via Croce del Vicario n. 88, le seguenti opere: realizzazione, a
piano terra, di un porticato delle dimensioni di mt. 3,20 circa x mt. 3,40 circa
con altezza di mt. 3,30 circa, elevazione di n. 2 pilastri con mattoni pressati,
travi in legno, tavolame e soprastante tetto di copertura ad una falda inclinata
con tegole di tipo coppi alla siciliana; realizzazione di un altro corpo scala, che
dall’esistente piano terra conduce al primo piano con struttura in muratura e
tompagnatura in mattoni forati, delle dimensioni di mt. 2,55 circa x mt. 3,20
circa, con altezza alla gronda di mt. 5,45 circa ed al colmo di mt. 5,80 circa, con
tetto di copertura ad una falda inclinata, struttura portante con travi in legno,

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lA

sentenza 29/09/2010 emessa dal Tribunale di CALTAGIRONE, con cui la

tavolame e tegole di tipo coppi alla siciliana; il tutto omettendo di dare preavviso
alle competenti Autorità della denuncia dei lavori e presentazione dei progetti di
costruzione in zona sismica); b) art. 349, commi 1 e 2, c.p. (per avere, quale
proprietaria custode, proseguendo l’attività edificatoria, consistita nel
completamento, al primo piano, degli intonaci interni, pavimentazione,
collocazione degli infissi, impianto elettrico, riscaldamento e parziale

26/03/2008, con contestuale sequestro preventivo operato dal Comando di
polizia municipale di Caltagirone); reati sub a) e sub b), accertati in Caltagirone
il 10/02/2009.

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputata a mezzo del difensore
cassazionista, deducendo tre distinti motivi di ricorso, di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, in relazione alle violazioni edilizie di cui ai capi
a), b) e c), violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. b) e c) c.p.p., in
relazione agli artt. 195, comma 4 e 526 c.p.p., in relazione alle dichiarazioni rese
dall’Ispettore di PM, ufficiale di PG, con riferimento alla prova del fatto che il
terreno dove insiste l’opera abusiva fosse di proprietà dell’imputata; in sintesi, la
ricorrente si duole per aver la Corte territoriale ritenuto utilizzabile la deposizione
resa da un ufficiale di PG, nonostante questi avesse riferito su quanto appreso da
testimoni, per non aver la difesa eccepito in dibattimento alcunché in relazione a
quanto dal verbalizzante riferito; il teste ZAGO, ufficiale di PG, in particolare ha
riferito che la verifica della proprietà catastale non venne effettuata e che
l’individuazione dell’imputata, quale proprietaria dell’opera, avvenne perché, sui
luoghi, i figli dell’imputata riferirono al teste che la proprietaria dell’immobile era
la madre.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, in relazione alle violazioni edilizie di cui ai
capi a), b) e c), violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.,
in relazione agli artt. 192 e 546, lett. e), c.p.p., in relazione ai documenti
acquisiti in dibattimento, alla loro valutazione ed alle ragioni per cui sono state
ritenute non attendibili le prove contrarie; in sintesi, si duole la ricorrente per
aver la Corte territoriale ritenuto l’imputata esecutrice delle opere edilizie
abusive in quanto quest’ultima ebbe ad accettare la custodia delle stesse all’atto
del sequestro; diversamente, dalle visure catastali in atti e prodotte dalla difesa
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completamento dell’intonaco esterno sul prospetto, violato i sigilli apposti in data

in dibattimento, risulterebbe che la proprietà delle particelle interessate
dall’intervento abusivo non fosse dell’imputata ma di soggetti diversi
(segnatamente, il riferimento è alla p.11a n. 358 del foglio di mappa n. 159, di
proprietà di Lampasona Filippo, circostanza che sarebbe stata confermata dalle
dichiarazioni del teste BONO).
In sede di ricorso, peraltro, la difesa ha eccepito l’intervenuta estinzione dei reati

2.3. Deduce, infine, con un unico motivo, in relazione al reato di violazione di
sigilli, violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. b) ed e), in relazione
all’art. 349 c.p.; in sintesi, si duole la ricorrente per non aver la Corte territoriale
accolto la distinzione, prospettata in sede di appello, tra sequestro
amministrativo e apposizione dei sigilli; in particolare, la Corte territoriale
avrebbe ritenuto che l’apposizione del cartello con l’indicazione dell’avvenuto
sequestro fosse da equiparare in toto all’apposizione dei sigilli; diversamente,
secondo la ricorrente, l’apposizione dei sigilli avvenne in un momento successivo
al sequestro amministrativo con affidamento in custodia, in quanto nella data
indicata nell’imputazione (10/02/2009) sarebbe stata accertata la violazione del
sequestro amministrativo, cui seguì la materiale apposizione dei sigilli il
18/02/2009; conclusivamente, dunque, il 10/02/2009 nessuna violazione di
sigilli vi sarebbe stata, in quanto a tale data i sigilli non erano ancora stati
apposti, ma vi sarebbe stato solo l’accertamento della violazione dei doveri di
custodia, condotta diversa dal reato di cui all’art. 349 c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile perché manifestamente

infondato.

4. Quanto al primo motivo concernente le violazioni edilizie, la ricorrente censura
la sentenza impugnata per averne ritenuto provata la responsabilità sulla base
delle dichiarazioni rese dall’Ispettore di PM, ufficiale di PG, con riferimento alla
prova del fatto che il terreno dove insiste l’opera abusiva fosse di sua proprietà.
Nell’impugnata sentenza si da atto che la circostanza che l’immobile fosse nella
disponibilità ed in uso alla ricorrente venne appresa dai figli della ricorrente,
affermandosi che – pur trattandosi di dichiarazione “de relato” – non risultava
dal verbale di dibattimento che la difesa avesse eccepito alcunchè in ordine a
quanto riferito dal verbalizzante Zago. Trattasi, all’evidenza di un errore di diritto
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sub a), b) e c), per prescrizione.

che, tuttavia, alla luce della c.d. prova di resistenza (come si vedrà oltre) non
scalfisce l’esistenza di validi elementi probatori a sostegno della riferibilità del
fatto alla ricorrente. Ed invero, l’art. 195, comma 4, c.p.p., pone un divieto
assoluto agli ufficiali ed agenti di PG di deporre su quanto appreso dalle persone
informate sui fatti; nel caso in esame, quanto accertato venne appreso dai figli
della ricorrente i quali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 307, ultimo

indagata avrebbero dovuto essere informati dalla PG della facoltà di astenersi dal
deporre. Come, infatti, chiarito in motivazione dalla Corte costituzionale (Corte
cost., 27 dicembre 1996, n. 416), in forza della serie di rinvii al suddetto articolo
199 operati dall’art. 362 cod. proc. pen., nonché, attraverso l’art. 362, dall’art.
351, primo comma, seconda proposizione, cod. proc. pen., la suddetta disciplina
prevista per la testimonianza resa al giudice si estende senza differenze alle
informazioni rese al pubblico ministero e alle sommarie informazioni assunte
dalla polizia giudiziaria. E’ pacifico, poi, nella giurisprudenza di questa Corte, che
l’esercizio della facoltà di astenersi dal deporre da parte dello stretto congiunto
prevista dall’art. 199 cod. proc. pen – la cui “ratio” si giustifica con la necessità di
tutela del vincolo familiare – impedisce sia l’introduzione nel fascicolo del
dibattimento della dichiarazione resa dallo stesso nel corso delle indagini, sia per quanto qui di interesse – il recupero della stessa dichiarazione mediante la
testimonianza resa “de relato” dal verbalizzante, che procedette all’escussione
del teste. Infatti, da un lato va rilevato, ai sensi del secondo comma dell’art. 500
cod. proc. pen., che le dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini
preliminari possono essere inserite nel fascicolo del dibattimento mediante
contestazione solo se sui fatti e sulle circostanze oggetto di contestazione il teste
abbia già deposto, e dall’altro va considerato che, ai sensi dell’art. 512 cod. proc.
pen., la lettura degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari è consentita
solo nel caso che ne sia divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze
imprevedibili (v., in termini: Sez. 1, n. 6294 del 29/03/1999 – dep. 19/05/1999 .
Femia, Rv. 213464). E’, dunque, evidente l’errore in cui è incorsa la Corte
territoriale, ritenendo che la mancata eccezione difensiva consentisse
l’utilizzabilità di tali dichiarazioni, non potendo le stesse essere utilizzate dal
giudice come prova dei fatti (v., per tutte: Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003 dep. 24/09/2003, Torcasio ed altro, Rv. 225468).
L’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di merito, tuttavia, non è idoneo ad
escludere la correttezza dell’impianto logico – giuridico dell’impugnata decisione,
atteso che dalla medesima sentenza impugnata emergono ulteriori elementi a
sostegno della riferibilità della condotta alla ricorrente, elementi che consentono
5

comma, cod. pen. e 199 cod. proc. pen., quali prossimi congiunti dell’allora

alla luce della c.d. prova di resistenza, applicabile anche nel giudizio di legittimità
(Sez. 2, n. 14665 del 13/03/2013 – dep. 28/03/2013, Consoli, Rv. 255786), di
ritenere provata la riferibilità di tale condotta alla ricorrente. Ci si riferisce, in
particolare, a quanto risulta dal verbale di sequestro 26/03/2008, atto irripetibile
ritualmente acquisito, da cui si evince che le opere sequestrate vennero affidate
alla custodia della ricorrente, quale proprietaria ed esecutrice, che ne accettava

motivazione dell’impugnata sentenza – il proprio interesse personale in relazione
alle opere in questione. A ciò, poi, si aggiunge un ulteriore dato fattuale che
emerge dallo stesso ricorso. Ed invero, proprio dalla lettura dell’atto evocato in
ricorso (atto 18/02/2009, V^ area tecnica Comune di Caltagirone) risulta che la
stessa ricorrente ebbe a presentare istanza di sanatoria per il piano terra
dell’immobile; tale circostanza, quindi, assume la valenza di elemento
confermativo della riferibilità del fatto alla ricorrente, ossia che l’immobile fosse
in uso alla medesima e che le opere fossero state da lei edificate.

5. Quanto al secondo motivo concernente le violazioni edilizie, la manifesta
infondatezza dello stesso consegue all’accertamento

aliunde (v., supra,

paragrafo 4) della circostanza che l’immobile fosse in uso alla ricorrente e che le
opere fossero state da lei edificate, ragion per cui valgono, a confutazione delle
doglianze mosse con tale secondo motivo, le considerazioni esposte nel
paragrafo che precede.

6.

In merito all’eccepita prescrizione delle violazioni edilizie contestate,

l’eccezione è infondata, sia perché l’inammissibilità del ricorso impedirebbe a
questa Corte di rilevare l’asserita estinzione dei reati per prescrizione – per
essere stata pronunciata la sentenza d’appello in data antecedente (31/01/2013)
al termine di prescrizione massima (24/03/2013) – sia, soprattutto, perché la
ricorrente omette di considerare i periodi di sospensione del termine di
prescrizione, per un totale complessivo di mesi 8 e gg. 28 per astensione del
difensore dalle udienze (dal 13/05/09 al 13/11/09 e dal 14/04/2010 al
7/07/2010: v., Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013 – dep. 07/03/2013, M., Rv.
256067). I reati, quindi, si sarebbero estinti per prescrizione solo il 24/12/2013,
ossia in data successiva alla presente decisione.

7. Quanto, infine, all’unico motivo proposto, in relazione al reato di violazione di
sigilli, la censura è manifestamente infondata. Ed invero, anzitutto, la
distinzione, già prospettata in sede di appello, tra sequestro amministrativo e
6

la custodia, così comprovando – come correttamente evidenziato nella

apposizione dei sigilli, non rileva, in quanto è pacifico nella giurisprudenza di
questa Corte che per la configurabilità del reato di violazione di sigilli di cui
all’art. 349 cod.pen. non occorre che il provvedimento di sequestro sia stato
preventivamente notificato ne’ occorre la rottura o la rimozione di sigilli, che
potrebbero anche non essere stati apposti dal momento che oggetto specifico
della tutela penale è l’interesse pubblico a garantire il rispetto dovuto al

dell’autorità al fine di assicurarne la conservazione, l’identità e la consistenza
oggettiva. E’ solo necessario, comunque, un qualche segno esteriore attraverso il
quale sia resa manifesta la volontà dello Stato volta a garantire la cosa
sequestrata contro ogni atto di disposizione o manomissione da parte di persona
non autorizzata: ed è quanto avvenuto nel caso in esame, ove risulta per tabulas
che era stato apposto un cartello con l’indicazione dell’avvenuto sequestro, ciò
che è sufficiente a far ritenere integrata la violazione addebitata (v., in termini:
Sez. 6, n. 2732 del 20/01/1994 – dep. 04/03/1994, Marraglia e altri, Rv.
198248).
Non migliore fortuna, infine, merita il rilievo difensivo secondo cui il 10/02/2009
nessuna violazione di sigilli vi sarebbe stata, in quanto a tale data i sigilli non
erano ancora stati apposti, ma vi sarebbe stato solo l’accertamento della
violazione dei doveri di custodia, condotta diversa dal reato di cui all’art. 349 c.p.
Ed invero, la violazione del dovere di custodia è coessenziale all’illecito de quo,
atteso che la custodia costituisce un “munus publicum” obbligatorio che vincola il
custode, il quale è comunque tenuto all’adempimento dei doveri ed è soggetto
alle responsabilità disciplinari e penali in base al disposto dell’art. 81, comma
terzo, disp. att. cod. proc. pen.
Nel caso in esame risulta dagli atti che la ricorrente venne nominata custode e
venne resa edotta, come emerge dal verbale di affidamento, delle conseguenze
derivanti dalla violazione del dovere di custodia, sicchè, anche sotto il profilo
soggettivo, non emergono dubbi che la stessa fosse consapevole delle
conseguenze della sua condotta illecita.

8. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo
616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.
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particolare stato di custodia imposto per disposizione di legge o per ordine

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013

Il Presidente

Il Consigliere est.

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