Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31283 del 26/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 31283 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BATTAGLIA SALVATORE N. IL 24/11/1966
avverso l’ordinanza n. 797/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
13/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Fi~,02 1co
rt
o(2-ecujj.,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza del 13 maggio 2013,
confermava il provvedimento del G.i.p. della sede che aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Battaglia Salvatore, siccome indagato per partecipazione all’associazione per
delinquere di tipo mafioso Santapaola-Ercolano (capo A della rubrica) con
l’aggravante del ruolo direttivo, disattendendo, per quanto ancora interessa nel

dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen., sollevata dalla difesa
dell’indagato a ragione dell’asserita carenza assoluta dei requisiti minimi di
motivazione, risoltasi nell’integrale recepimento, anche grafico, della richiesta di
applicazione della misura avanzata dal PM (così detta tecnica del copia-incolla);
sia quella d’inefficacia dell’ordinanza impugnata ex art. 309 commi 5° e 10° cod.
proc. pen. a ragione dell’omessa trasmissione del verbale d’interrogatorio reso
da Torrente Salvatore il 15 maggio 2009, sia, infine, le deduzioni difensive
dirette a negare la effettiva gravità degli elementi indizianti su cui era fondata
detta richiesta.
1.1 Con riferimento alla eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare, i giudici
del riesame, richiamati alcuni consolidati principi di diritto in tema di

“motivazione per relationem” enunciati da questa Corte regolatrice, anche nella
sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 – dep.
21/09/2000, Primavera e altri, Rv. 216664), ritenevano, infatti, che il GIP, nel
ripercorrere i passaggi della richiesta della misura cautelare avanzata dal PM non
aveva omesso di effettuare delle proprie autonome valutazioni di tipo critico, ciò
desumendosi dall’avvenuto rigetto della richiesta di applicazione della misura nei
confronti di alcuni co-indagati per singole imputazioni.
1.2 Quanto poi alla eccezione di inefficacia dell’ordinanza, i giudici del
riesame rilevavano, per un verso, che non vi era prova che il verbale
d’interrogatorio del Torrente – per altro meramente confermativo delle
dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia alla polizia giudiziaria – fosse stato
effettivamente trasmesso al GIP; per altro verso, che il succitato verbale, proprio
per il suo contenuto intrinseco, privo di effettivi elementi decisivi, non poteva
considerarsi determinante per la decisione.
1.3 Con riferimento, infine, alla ritenuta sussistenza di elementi indizianti a
carico del Battaglia, i giudici del riesame valorizzavano le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia Torrente Salvatore, Scorciapino Ettore, Sturiale Eugenio
Salvatore, Anselmi Nazareno e quelle rese da La Causa Santo.
Dalle dichiarazioni dei predetti collaboratori, che avevano tutti riconosciuto
fotograficamente l’indagato, ed in particolare da quelle rese da La Causa Santo,
1

cea–

presente giudizio di legittimità, sia l’eccezione preliminare di nullità

esponente apicale della famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano – apprezzate
come provenienti da soggetti credibili, come intrinsecamente attendibili quanto
al loro contenuto narrativo e munite di adeguati riscontri individualizzanti, in
quanto convergenti relativamente al loro nucleo essenziale – emergeva, infatti,
secondo i giudici del riesame, la permanente adesione dell’indagato (già
condannato per il medesimo reato associativo relativamente ad una condotta
protrattasi sino al 1991), all’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, famiglia
Santapaola – Ercolano, e segnatamente al gruppo del Villaggio Sant’Agata, nel

direttivo, specie con riferimento all’organizzazione e perpetrazione delle rapine,
ciò desumendosi, in particolare: (a) dalla riferita percezione di uno stipendio
(pari ad C 1000,00); (b) la formale affiliazione a Cosa Nostra, a cui aveva
partecipato personalmente il La Causa, in quanto suo “padrino”; (c) dal
coinvolgimento dell’indagato nel così detto affare della Tenutella, un’operazione
economica, della quale si era occupato inizialmente Marsiglione Francesco,
collegata alla realizzazione di un centro commerciale, che avrebbe comportato
un guadagno per l’associazione di C 4.000.000,00; (d) dal coinvolgimento
dell’indagato nell’estorsione organizzata ai danni dell’imprenditore Romeo,
impegnato nella costruzione del centro commerciale “I Portali”, vicenda
all’origine di alcuni contrasti insorti tra il gruppo Ercolano-Santapaola e quello dei
Laudani, che rivendicava il proprio diritto a percepire una quota del pizzo a
ragione dell’ubicazione del centro commerciale nel territorio di San Giovanni La
Punta da esso controllato, che venivano risolti con la spartizione paritaria tra i
due gruppi dei proventi di tale attività delittuosa, e la materiale percezione da
parte di Santo battaglia, fratello dell’indagato di una quota (C 500,00) del pizzo
complessivo (C 7000,00) imposto per l’affitto delle botteghe.
2. Il difensore dell’indagato, avvocato Giorgio Antoci, ha proposto ricorso
per cassazione avverso detta ordinanza, prospettando tre motivi
d’i mpug nazione.
2.1 Con il primo, vengono riproposte – sotto il profilo dell’inosservanza delle
norme processuali – l’eccezione di nullità – asseritamente insanabile dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen. e quella della sua inefficacia;
eccezioni che i giudici del riesame hanno disatteso – si sostiene – con motivazioni
assolutamente incongrue, osservando in proposito: (a) che nel provvedimento
impositivo della misura cautelare nei confronti dell’indagato risulta del tutto
assente l’indicazione di un qualsivoglia elemento, afferente però alla specifica
posizione dello stesso, da cui poter ricavare che la richiesta del PM sia stata
autonomamente valutata dal GIP e non già acriticamente recepita; (b) che il
verbale dell’interrogatorio in data 15 novembre 2009, fu certamente usato dal
GIP, il che fa presumere che io stesso fu trasmesso a quel giudice, laddove
2

a2–

quale militava unitamente al fratello Santo, assumendone anche un ruolo

parimenti certa deve ritenersi la sua mancata inclusione nell’elenco dei
documenti trasmessi ex art. 291 cod. proc. pen., sicché, non risultando tale
documento esser stato mai depositato, risultano ignote le ragioni di come i
giudici del riesame possono aver avuto conoscenza del suo contenuto.
2.2 Con il secondo motivo, si contesta, invece, sotto il profilo della
violazione di legge e del vizio di motivazione, l’affermazione dei giudici del
riesame in merito alla sussistenza di un grave quadro indiziario a carico del
Battaglia, evidenziando al riguardo, anche attraverso il riferimento a plurimi

procedimento cautelare le dichiarazioni dei collaboratori, in particolare quelle
Torrente Salvatore, Scorciapino Ettore, Sturiale Eugenio Salvatore, Anselmi
Nazareno, pur numerose, si limitano ad affermare genericamente una
persistente partecipazione dell’indagato al sodalizio mafioso ma senza indicare,
tuttavia, precise e riscontrabili condotte, da cui desumere la sua effettiva
intraneità al sodalizio, il ruolo svolto nello stesso, l’apporto da lui fornito
all’associazione, laddove quelle del La Causa, specie con riferimento alla
estorsione ai danni del centro commerciale “I Pilastri”, erroneamente sono state
ritenute adeguatamente riscontrate da quelle di Laudani Giuseppe (per altro mai
menzionate in sede di ordinanza cautelare), non avendo il predetto collaboratore
mai riferito circa l’organizzazione da parte dell’indagato di incontri diretti a
dirimere i contrasti insorti tra il suo gruppo e quello Santapaola – Ercolano.
1.3 Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione si censura, infine, la
decisione impugnata sotto il profilo dell’erronea applicazione della legge penale
(art. 416 bis cod. pen.), con riferimento all’effettiva configurabilità del dolo
specifico, attesa la mancata indicazione nel provvedimento impugnato di
significativi gesti di sostegno causale alla vita associativa riferibili all’indagato, di
un concreto contributo alla vita associativa, rivelatori, per la loro dimensione

affectio

qualitativa o per la loro reiterazione quantitativa, di un’effettiva

societatis,

dell’effettivo svolgimento di un ruolo direttivo né, infine, della

sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis, comma 6° cod. pen., posto che
nessuna forma di reinvestimento viene ricondotta ad attività dell’indagato.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Battaglia Salvatore è basata su
motivi infondati e va quindi rigettata. Ritiene infatti questo Collegio che la
struttura e lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza impugnata risulti conforme
ai canoni della logica e risponda ad una corretta interpretazione della normativa
di cui all’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 bis e art. 192, comma 3, cod. proc.
pen..
3

of-N

arresti giurisprudenziali in tema di prova del vincolo associativo, che nel presente

1.1 In primo luogo, non hanno pregio le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ripropone l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare ex artt. 192 e
181 cod. proc. pen.. Premesso infatti che l’ordinanza cautelare genetica, come
osservato dai giudici del riesame, presentava tutti i contenuti per potere essere
ritenuta adeguata a giustificare l’adozione di misure cautelari, consentendo ai
destinatari dell’ordinanza di conoscere gli elementi a loro carico per potere
disporre un’adeguata difesa, ove si consideri che per giurisprudenza costante di
questa Corte, la stessa è da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento

all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b)
fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle
ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua
decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui
ostensibile (Cass. Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv 238674; S.U., sent. n. 17/2000
Rv. 216664), va in ogni caso rilevato che il giudizio di riesame è stato concepito
dal legislatore come un giudizio

“ex novo”,

completamente autonomo e a

cognizione piena sulla questione cautelare, vista in tutti i suoi risvolti, sia di
legittimità sia di merito, e al di fuori di qualunque vincolo connesso al principio
devolutivo. Ciò è dimostrato normativamente dall’art. 309 cod. proc. pen.,
comma 9, il quale espressamente prevede che il tribunale può confermare il
provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella
motivazione del provvedimento stesso.
In tema di misure cautelari personali, il coordinamento fra il disposto
dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c) e c bis) e quello dell’art. 309 cod.
proc. pen., consente quindi di affermare che al tribunale del riesame deve essere
riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda “de libertate”,
onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto,
quanto la cognizione della vicenda sottostante e quindi, primariamente, la
soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità
coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza
impositiva deve essere relegata a “extrema ratio” delle determinazioni adottabili.
Tale nullità può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia
mancante di motivazione in senso grafico ovvero, pur esistendo una
motivazione, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile,
interpretando e valutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui
soddisfacimento si persegue (v. Cass. Sez. 3, sent. n. 15416/2011 riv.250306;
Sez. 2, sent. n. 6966/2011 rv 249681; Sez. 2, sent.13385/2011 rv. 249682;
Sez. 5, sent.n.16587/2010 rv 246875; Sez. 3, 33753/2010 rv 249148; Sez. 2,
sent. n. 39383/2008 rv 241868; Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv. 238674; Sez. 4,
sent. n. 45847/2004 rv. 230415). È ormai indirizzo pressoché costante di questa
4

04-e-

ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto

Corte che, in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, il giudice del
riesame non può quindi annullare il provvedimento impugnato per difetto di
motivazione, atteso che il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullità
comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di
legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento. Tale potere è
precluso al giudice di merito di secondo grado, e a maggior ragione quando a
costui, come nel caso del riesame, il “thema decidendum” è devoluto nella sua
integralità (v. Cass.Sez. 2, sent.n. 1102/2006 rv. 235622; Cass. Sez. 6, sent.n.

quali il tribunale adito ex art. 309 cod. proc. pen. può pertanto sopperire, con la
propria motivazione, non solo all’insufficiente o contraddittoria motivazione del
provvedimento genetico della misura, restituendogli completezza e logicità
argomentativa, ma anche alla mancanza di motivazione o alla motivazione
apparente del provvedimento, esplicitando, per la prima volta, le ragioni che
giustificano l’applicazione della misura cautelare).
1.2 Neppure hanno pregio le argomentazioni difensive, invero generiche ed
autoreferenziali, con le quali viene riproposta in questa sede l’inefficacia
dell’ordinanza cautelare a ragione della mancata trasmissione del verbale relativo
alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Torrente Salvatore il 15
novembre 2009, ove si consideri che, per consolidata giurisprudenza di questa
Corte, l’inefficacia della ordinanza cautelare per mancato invio al tribunale degli
atti trasmessi al G.i.p. al momento della richiesta non si verifica se non risulta
che l’atto, asseritamente non inviato, fosse stato trasmesso unitamente alla
richiesta della misura al G.i.p.. oppure sia stato valutato solo in quanto altri atti
ad esso faceva riferimento (in tal senso,

ex multis,

Sez. 1, n. 4567 del

22/01/2009 – dep. 03/02/2009, Di Lorenzo, Rv. 242818; Sez. 4, n. 40044 del
30/03/2005 – dep. 04/11/2005, Congiusti, Rv. 232432) e in ogni caso, che la
declaratoria d’inefficacia presuppone che l’atto asseritamente non trasmesso sia
stato ritenuto dal giudice determinante ai fini dell’applicazione della misura,
ipotesi questa che non si ravvisa nel caso di specie.
1.3 Infondate risultano, poi, anche le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ha lamentato carenze, contraddittorietà e illogicità manifeste della
motivazione del provvedimento impugnato sull’assunto che il tribunale del
riesame non si sarebbe attenuto ai canoni valutativi delle chiamate di correo,
erroneamente ritenute convergenti nonostante le inattendibilità del racconto dei
collaboratori, ritenuto del tutto generico sia in ordine all’effettivo inserimento
dell’indagato nell’associazione di stampo mafioso sia riguardo al contributo
asseritamente fornito dall’indagato alla stessa.
Invero, l’impianto argomentativo e lo sviluppo della motivazione
dell’ordinanza risultano pienamente rispondenti ai principi elaborati da questa
5

8590/2006 rv. 233499; Sez. 3, 19 gennaio 2001, Servadio, rv. 218752, per le

Corte e sono connotati da adeguata congruenza logica, dato che i giudici di
merito, anche attraverso il consentito richiamo al contenuto dell’ordinanza che
ha disposto l’applicazione della misura cautelare, hanno dato esatta applicazione
a detti principi mediante l’analitica ed esauriente verifica dell’intrinseca
attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, etero ed
autoaccusatorie, accertandone, con argomentazioni dotate di sufficiente
plausibilità logica, la genuinità, la spontaneità, la costanza, la precisione, il
disinteresse e sviluppando un discorso giustificativo, solo sommariamente

coordinazione logica dei passaggi argomentativi della motivazione e dall’esame,
punto per punto, delle molteplici contestazioni difensive cui è stata data risposta
adeguata sul piano logico (dichiarazioni dei collaboratori convergenti nel loro
nucleo essenziale e frutto di conoscenza diretta ovvero di informazione apprese
da fonti particolarmente qualificate), onde i risultati dell’indagine restano
incensurabili nel giudizio di legittimità.
Alla luce di tali principi va riconosciuto che il tribunale ha valutato gli
elementi di prova disponibili seguendo linee argomentative connotate da
adeguatezza della motivazione e da puntuale applicazione dei criteri valutativi di
cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alla cui stregua gli addebiti riguardanti
la partecipazione al clan Santapaola-Ercolano – unica imputazione che ancora
rileva nel presente procedimento cautelare – trovano considerevole base
dimostrativa, che non si esaurisce nella semplice dichiarazione di comune
appartenenza al sodalizio mafioso. Deve trarsene il coronario che la
responsabilità del Battaglik per l’imputazione anzidetta deve ritenersi attestata,
con elevato grado di probabilità, sulla base delle dichiarazioni accusatorie dei
collaboratori, che non hanno riguardato soltanto il mero dato della sua intraneità
al sodalizio (quale desumibile, tra l’altro, dal dato relativo alla percezione di uno
“stipendio”) ma hanno riguardato anche il concreto contributo dallo stesso
fornito all’associazione (ruolo direttivo esplicato con riferimento
all’organizzazione di rapine; coinvolgimento dell’indagato nell’affare della
“Tenutella” e nell’estorsione in danno del Romeo, con riferimento al centro
commerciale I Portali;) la cui convergenza, autonomia e spontaneità trovano
congrua base giustificativa nella motivazione dell’ordinanza impugnata, con cui il
tribunale ha adeguatamente spiegato la pregnante valenza accusatoria delle
dichiarazioni dei collaboratori, che sono state ritenute affidabili e tali da
legittimare l’applicazione della misura custodiale per il fatto di trovare riscontro
esterno individualizzante nella loro convergenza nel loro nucleo essenziale.
2. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso
deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.
6

illustrato al paragrafo 1.3 dell’esposizione in fatto, contraddistinto dalla

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp.
att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.
(3)

CM
e)
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Csa giy

processuali.

ct..

Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.,

0 i
)

comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2014.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA