Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31241 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31241 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALVIA LEONARDO N. IL 08/12/1958
ROMANO RITA N. IL 02/09/1942
avverso la sentenza n. 647/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
07/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Data Udienza: 23/06/2015

Ritenuto in fatto

SALVIA Leonardo e ROMANO Rita ricorrono avverso la sentenza di cui in
epigrafe che, confermando quella di primo grado [salvo che per la
riduzione delle somme liquidate a titolo di risarcimento e la concessione
del beneficio della non menzione], li ha ritenuti colpevoli del reato di
omicidio colposo per la morte di una neonata, avvenuta dopo il parto

L’addebito era formalizzato a carico dei prevenuti, rispettivamente quale
medico pediatra e puericultrice presso l’ Ospedale di Partinico , che, con
negligenza ed imperizia avevano cagionato il decesso di MENDOLA Maria
Sofia ( nata il 13 luglio 2008) a causa di un grave distress iposodico
neonatale conseguente alla malattigk , delle membrane ialine da cui
risultava affetta la predetta neonata.

I giudici di merito, con riferimento alla posizione della ROMANO,
individuavano i profili di colpa della medesima nell’avere reiteratamente
trascurato i sintomi di malessere manifestati dalla piccola, nonostante la
segnalazione dei disagi respiratori della neonata da parte dei parenti della
vittima, come emergeva ~alle dichiarazioni rese anche da un
soggetto del tutto estraneo all’abito familiare, ricoverato nella stessa
stanza di degenza della primipara. Anche la stessa Romano, nel corso
delle dichiarazioni dibattimentali, aveva finito per ammettere di essere
stata più volte chiamata e, soprattutto, di aver percepito quel
“lamentino” della neonata ipotizzando che si trattasse di semplici
manifestazioni collegate alla difficoltà di adattamento all’ambiente
esterno.

A carico del SALVIA era stata formulata l’imputazione individuando
essenzialmente le seguenti condotte omissive costituenti concause
dell’evento letale: aver delegato la gestione della neonata pretermine al
personale paramedico, avendo visto la neonata per la prima ed ultima
volta subito dopo il parto (terminato alle ore 17,55 del 13 luglio 2008);
avere omesso di rivisitare la piccola prima che la stessa venisse affidata
alle cure materne ed avere impartito la disposizione che la neonata
potesse andare in rooming in entro mezzanotte qualora fossero perdurate

[fatto avvenuto il 14 luglio 2008].

quelle condizioni di benessere da lui inizialmente valutate; avere omesso,
pertanto, una vigilanza particolarmente attenta,giustificata dagli elementi
di rischio che il caso presentava- riconducibili all’ipertensione
gestazionale della madre, ad una prematurità tardiva ed al parto con
taglio cesareo- al fine di verificare il possibile e prevedibile insorgere di
problemi respiratori, ossia proprio quei problemi che si erano
concretizzati a causa della mancata attivazione dei meccanismi di

riassorbimento del liquido polmonare.

Gli addebiti venivano riconosciuti come sussistenti, sia in primo che in
secondo grado.

Il giudice di appello, pur riconoscendo la sussistenza di alcune anomalie
nelle annotazioni della ” cartella di cure infermieristiche” e nel ” Registro
delle infermiere”, poneva l’accento sul dato incontroverso che era stato il
dott. Salvia l’unico 4autore della disposizione del trasferimento in
//r000ming in,. in conformità a quanto emergeva dalle dichiarazioni rese

dall’infermiera Rocca, oltre che dalla coimputata. Lo stesso imputato
aveva reso delle dichiarazioni parzialmente confessorie laddove, pur
negando di aver lasciato l’indicazione relativa alla possibilità di trasferire
la neonata entro un certo orario, aveva tuttavia ammesso che, secondo
la sua valutazione, la bambina poteva essere tranquillamente trasferita
non necessitando di una permanenza ad oltranza in termoculla.

Nel motivare in merito all’insussistenza della causa di non punibilità della
colpa lieve, la Corte di appello qualificava la responsabilità del ricorrente
in termini di negligenza ed imprudenza. Sul punto il giudicante affermava
che per il caso clinico in esame non risultavano linee guida mediche in
senso stretto ma soltanto ” buone pratiche” accreditate dalla comunità
scientifica, secondo le quali la neonata che presentava i fattori di rischio
sopra descritti doveva essere mantenuta sotto una più attenta e stretta
vigilanza almeno per le prime 24 ore dalla nascita.

La Corte di merito, confermava, pertanto la sussistenza del nesso
eziologico tra la condotta omessa ( avere colposamente sottovalutato le
condizioni di salute del neonato, che presentava sin dall’inizio

distress

respiratorio importante) e l’evento, sul rilievo che il trasporto tempestivo

3

del neonato presso una struttura ospedaliera attrezzata avrebbe
consentito di pervenire ad una diagnosi corretta e tempestiva e di
intervenire somministrando adeguata terapia, potendosi affermare in
termini di elevata probabilità logica, sulla base di tutte le evidenze
disponibili, che l’evento morte non si sarebbe verificato.

SALVIA, con il primo motivo, lamenta la manifesta illogicità della
motivazione sotto due profili.

Si sostiene che il giudice di secondo grado era arrivato al convincimento
secondo il quale era stato l’imputato a disporre il trasferimento in
rooming in della piccola, delegando l’esecuzione al personale paramedico,
eludendo il vaglio delle specifiche censure indicate nell’atto di appello che
avevano evidenziato una macchinazione sapientemente organizzata in

\\

danno seI ricorrente dalla puericultrice e dall’infermiera di turno quella
1$

nottè, rov.
a03> conferma nelle stringate dichiarazioni rese dal padre
della piccola. Si evidenzia, altresì, la palese illogicità dell’argomentare
della Corte nella parte in cui considerava assai inverosimile che la
puericultrice disponesse di propria iniziativa il trasferimento della neonata
in assenza di autorizzazione da parte del pediatra e, per altro verso, si
stigmatizza la condotta della Romano rimarcandone i gravi profili di
negligenza.

Con il secondo motivo lamenta la mancanza di motivazione riguardo al
tema dell’inevitabilità dell’evento devoluto con l’atto di appello.
Si sostiene che l’evento letale si era verificato non per effetto di omessa
attività di osservazione della piccola ma a causa della mancata
segnalazione delle anomalie da parte della Romano al pediatra .
La Corte di appello non aveva espresso alcun convincimento sulla
doglianza sviluppata nel motivo di appello con cui si evidenziava che la
vigilanza sulle condizioni cliniche della neonata attraverso la permanenza
in termoculla per 24 ore dalla nascita non avrebbe inciso sulla
determinazione dell’evento posto che la marcata vigilanza sulle condizioni
cliniche della neonata 4era stata comunque garantita mediante gli accessi
presso la stanza di degenza ed i controlli operati dal personale

Ricorrono per cassazione gli imputati.

parasanitario, tenuto conto che la concentrazione di ossigeno nel sangue
poteva essere rilevata con il saturi—metro non necessariamente collegato
alla termoculla.

ROMANO Rita censura la sentenza sotto quattro profili.

Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dei
criteri legali di valutazione della prova sul rilievo che il giudizio di

responsabilità era stato fondato sulle dichiarazioni rese dalle parti civili
mentre erano state sottovalutate le prove che avrebbero potuto portare
ad una pronuncia di segno diverso. In questa prospettiva si sostiene che
il giudice di appello aveva omesso di valutare il dato che emergeva dalla
consulenza tecnica dell’ imputata secondo la quale non era riscontrabile il
progressivo aggravamento delle condizioni della neonata e che la
puericultrice era stata informata di tale aggravamento solo quando la
bambinvi trovava nel picco della crisi respiratoria.
Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 40 e 43 c.p.
lamentando che il giudizio di responsabilità era stato fondato
esclusivamente sulla posizione di garanzia rivestita dalla medesima,
senza tener conto dei rilievi difensivi e della consulenza tecnica di parte
senza procedere al giudizio contro fattuale. Nessuna colpevole
sottovalutazione dei sintomi era stata posta in essere dall’imputata,
giacchè la causa mortis è da ricondurre, come emerge dalla consulenza
del pm, ad insufficienza respiratoria da RDS o malattia delle membrane
ialine. Era, pertanto, verosimile che il

distress

respiratorio

sopraggiungesse in seguito ad un’apnea primaria trasformatasi in apnea
secondaria, realizzatasi in pochi minuti dopo le ore 5 del 14 luglio, in
quanto non rilevata dai familiari della bambina.
Nessuna situazione di allarme si era , pertanto, profilata all’imputata, che
altrimenti avrebbe provveduto a chiamare il pediatra”, unico deputato ad
effettuare le scelte medico sanitarie.
Si sostiene che l’indicazione ” tenere in termoculla” era non presente al
momento del cambio del turno e che della stessa aveva avuto
conoscenza solo nel corso del processo.

La consulenza tecnica di parte aveva formulato in termini di certezza il
principio in base al quale, laddove la neonata fosse rimasta in termoculla

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per 24 ore dalla nascita, possibilmente collegata ad uno strumento di
monitoraggio del livello di ossigenazione ed affidata alla sua diretta
sorveglianza l’imputata avrebbe potuto rilevare tempestivamente i segni
clinici, benché questo compito non rientrasse nelle proprie mansioni. Si
richiama il principio di affidamento in base al quale la Romano aveva
fatto legittimo affidamento sul fatto che il medico pediatra avesse agito

Con il terzo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione sotto
il profilo del travisamento della prova sul rilevo che il giudice di appello
aveva fondato la decisione sugli esiti della consulenza tecnica del PM che
avevano affermato il progressivo aggravamento dei sintomi ed avevano
escluso che la morte fosse collegabile ad una causa imprevedibile ed
immediata legata all’allattamento, senza tener conto dell’apporto
scientifico dei consulenti di parte , così violando i principi in tema di
valutazione della prova scientifica.

Con il quarto motivo lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla
entità della pena ed al diniego della concessione delle attenuanti
generiche motivato sul presupposto delle tragiche conseguenze della
condotta dell’imputata.
Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati.

Con riferimento al ricorso proposto dal Salvia, ritiene il Collegio che il
ricorrente abbia del tutto infondatamente contestato la ricostruzione dei
fatti e la relativa valutazione giuridica compiuta in conformità dai giudici
di merito ai fini della pronunciata condanna dell’imputato.

Il giudice d’appello, in particolare, ha congruamente elaborato, sul piano
logico e argomentativo, il complesso degli elementi probatori acquisiti al
processo e correttamente valutata la condotta dell’imputato.

Il passaggio essenziale della motivazione è quello in cui il giudice,
esaminati gli atti di causa, ha ritenuto di ravvisare i seguenti addebiti
colposi a carico del pediatra: avere omesso di rivalutare direttamente le

nella osservanza delle regole di diligenza proprie.

condizioni della piccola nata, affidandosi al dato effimero legato alle
buone condizioni della stessa subito dopo la nascita, sottovalutando così
i fattori di rischio legati alla nascita pretermine da taglio cesareo dovuto
alla patologia della madre ( ipertensione gestazionale), in violazione delle
“buone pratiche” accreditate dalla comunità scientifica, secondo le quali
in presenza di questi elementi di rischio una prassi corretta imponeva, se
non il trasferimento immediatamente dopo la nascita presso una
struttura pediatrica dotata di terapia intensiva o semintensiva,

quantomeno una vigilanza particolarmente attenta per verificare nell’arco
delle prime 24 ore, il possibile e prevedibile insorgere di problemi
respiratori, ossia proprio quei tragici problemi che si sono concretizzati.

Anche di rilievo, il secondo profilo colposo addebitato all’imputato,
strettamente connesso al primo: avere lasciato l’imprudente disposizione
che la neonata potesse andare in “rooming in” entro le successive ore 24
affidando al personale paramedico la valutazione sulla permanenza delle
condizioni di benessere.

La Corte d’appello ha, sotto altro profilo, correttamente risolto il
problema della rilevanza causale delle colpevoli omissioni ascritte
all’imputato ( al di là dell’elevata credibilità razionale), confermando
l’esclusione di alcuna incidenza risolutiva del nesso di causa alle
successive omissioni imputabili alla coimputata, che aveva preso in cura
la bambina.

Sul punto la sentenza impugnata ha correttamente richiamato il
consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, ai sensi del
quale, in tema di causalità non può parlarsi di affidamento quando colui
che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme
precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante,
confidi che altri,che operano contestualmente o successivamente a tutela
del medesimo bene giuridico, eliminino la violazione o pongano rimedio
all’omissione. In tale situazione il principio di affidamento va
contemperato con l’obbligo di garanzia verso il paziente che è a carico di
tutti i soggetti che si trovino ad operare a tutela di un medesimo bene
giuridico sulla base di precisi doveri suddivisi tra loro ( nella specie, del
medico pediatra e della puericultrice che si sono succeduti, sia pure nella

‘4–

diversa posizione, rispecchiante le diverse competenze professionali,
nella posizione di garanzia a tutela della salute della madre e della
bambina).

Dall’applicazione di tali principi

consegue che qualora, anche per

l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione
avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali,

sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento ( v. ex plurimis,
Sezione IV, 14 novembre 2013, rv. 258127).

Ciò vale tanto più nel caso in esame in cui gravava sul medico, in virtù
della sua posizione particolare (quella notte il Salvia era di pronta
reperibilità), l’obbligo di controllare la reale consistenza ed
organizzazione del presidio notturno al fine di valutare se poteva essere
assicurata un’idonea assistenza.

Ed all’imputato, come evidenziato dal giudice d’appello, non poteva e
doveva sfuggire, in considerazione delle piccole dimensioni di una realtà
ospedaliera come quella di Partinico, che quella sera, in assenza del
personale infermieristico specializzato, l’organizzazione del turno
notturno era affidata alla Romano, alla quale, nella qualità di
puericultrice, la legge ( art. 13 legge 1098/40) affida esclusivamente i
compiti di assistenza di bambini sani e non compiti di carattere
infermieristico.

Passando all’esame dei motivi di ricorso non sono apprezzabili le dedotte
omesse valutazioni delle circostanze dedotte con l’atto di appello.

La sentenza impugnata ha corrisposto puntualmente alle censure
attraverso l’attento esame delle dichiarazioni testimoniali e degli esiti
delle consulenze arrivando alle motivate conclusioni sopra indicate
secondo le quali l’imputato ha sottovalutato le condizioni di rischio della
piccola, delegando al personale paramedico la valutazione sulle sulla
permanenza delle condizioni di benessere.
In questo quadro probatorio la questione sulle anomalie delle annotazioni
sul ” Registro delle Infermiere” al fine di far ricadere sull’imputato la

non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale,

scelta di far uscire la bambina dalla termoculla, ciò che rileva, ai fini
dell’addebito colposo, come affermato dai giudici di merito, è che il
medico pediatra abbia lasciato la disposizione, senza rivedere la
bambina, che la stessa potesse andare in ” rooming in” entro le
successive ore 24.
La ricostruzione nei suddetti termini

è stata puntualmente e

logicamente fondata, oltre che sulle dichiarazioni rese dalla coimputata,
anche sulle deposizioni testimoniali di due infermiere ed in quelle del

padre della bambina. Ulteriore conforto è stato tratto dalla logica ed
incensurabile considerazione secondo la quale difficilmente la
puericultrice Romano avrebbe assunto una iniziativa in contrasto con le
disposizioni del medico responsabile.

Anche il secondo motivo, afferente l’asserita inevitabilità dell’evento, è
infondato.

Gli stessi consulenti tecnici nominati dall’imputato hanno affermato che
per i bambini late preterm non esistono delle linee guida che possono

accomunare l’infinita variabilità delle condizioni specifiche ed individuali
che possono presentare i singoli soggetti nati nell’arco temporale
indicato, anche perché il grado di maturazione e di sanità può variare in
maniera significativa.

Anche in questo caso la Corte di merito ha trattato puntualmente la
questione sia sottolineando che la bambina alla nascita aveva avuto
bisogno di ossigeno ed era stata sistemata in una termoculla- che
certamente assicurava un idoneo riscaldamento corporeo e valori di
umidità costanti- sia rimarcando, ancora una volta, che il dr. Salvia, a
fronte di una situazione a rischio, aveva omesso di rivalutare
direttamente le condizioni della piccola ( la prima ed unica visita era stata
effettuata dallo stesso alle 17,55) ed aveva affidato una sorta di “delega
in bianco” al personale parasanitario per la valutazione sulla permanenza
delle condizioni di benessere della bambina.

In questa prospettiva l’affermata ( in ricorso) inevitabilità dell’evento
rimane mera asserzione: l’omessa segnalazione dell’aggravarsi dei
problemi respiratori da parte della puericultrice trova causa nella

3

violazione delle regole cautelari da parte del medico, che ha operato
quelle scelte negligenti sopra indicate.

Ed è stato in più occasioni precisato ( v. Sezione IV, 28 maggio 2008,n.
24360, Rago ed altri), con riferimento agli interventi svolti in equipe- ma
il principio è applicabile, con riferimento al medico che occupa una
posizione apicale, in tutti casi in cui si succedano più titolari della
posizione di garanzia- che il principio di affidamento non può essere

invocato da chi in virtù della sua particolare posizione ha l’obbligo di
controllare e valutare l’operato altrui, se del caso intervenendo per porre
rimedio ad errore altrui. Nel caso di esito infausto tale medico non ne
risponderà se l’inosservanza non poteva essere da lui prevista né era
prevedibile in ragione della specificità della branca dell’ars medica in cui
si colloca quella inosservanza; altrimenti il suo ruolo di garante lo esporrà
a responsabilità penale sempre che sussista il nesso di causalità tra la
l’omissione e l’evento. E la Corte di merito ha in questo senso evidenziato
che in una realtà ospedaliera come quella di Partinico è inimaginabile che
il Salvia non sapesse chi subentrava nel turno, tenuto conto che la
Romano svolgeva da anni servizio presso quella struttura sanitaria.

Anche il ricorso della Romano è infondato.

I giudici di merito hanno concordemente individuato, innanzitutto, il
seguente profilo di colpa a carico dell’imputata: avere reiteratamente
trascurato i sintomi di aggravamento che risultavano così palesi da
essere percepiti da dei soggetti “inesperti”, come i familiari della piccola e
la degente nella stanza dell’ospedale, ove era ricoverata la madre.

La stessa imputata, come evidenziato nella sentenza impugnata, ha
ammesso di avere appreso dai familiari di quel “lamentino” della neonata
ed, ipotizzando trattarsi di semplice manifestazioni collegate alla difficoltà
all’ambiente esterno, di avere apprestato un rimedio palliativo di fornire
una borsa d’acqua calda.

Ulteriore profilo di colpa è stato, altresì, individuato nella omessa
segnalazione al medico competente dei predetti sintomi di

1.0

aggravamento, assumendosi così la Romano la responsabilità di valutare
la condizione di benessere della neonata.

Anche in questo caso è ineccepibile il giudizio controfattuale operato
dalla Corte di merito, alla luce delle relazioni dei consulenti del PM,
secondo i quali sarebbe bastato somministrare ossigeno nelle prime fasi
in cui sono insorte le difficoltà respiratorie per evitare l’aggravarsi della

Ed è in questo quadro motivazionale che vanno esaminate le censure
proposte dalla ricorrente, che si palesano tutte infondate.

Quanto alla prima, che lamenta una violazione dei criteri di valutazione
delle prova, va ribadito il principio che nell’ambito del processo penale è
possibile fondare la decisione sulla sola deposizione della parte lesa
anche se rappresenta l’unica prova del fatto da accertare e manchino i
riscontri esterni, atteso che a tali dichiarazioni non si applicano le regole
di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 192 c.p.p., che presuppongono l’esistenza
di altri elementi di prova, unitamente ai quali le dichiarazioni devono
essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Ciò che rileva è che il controllo su tali dichiarazioni, considerato
l’interesse di cui la parte offesa può essere portatrice, deve essere
rigoroso.

La decisione impugnata si pone in linea con i citati principi, essendosi
soffermata sull’attendibilità intrinseca delle citate dichiarazioni e sui
riscontri che le stesse hanno trovato nelle deposizioni di altri soggetti
estranei all’ambito familiare.

Sulla omessa valutazione degli esiti della consulenza tecnica di parte,
costituente oggetto anche del terzo motivo di censura- che va trattato,
pertanto, congiuntamente- deve, innanzitutto rilevarsi, che il giudice di
appello, ha sottolineato che i consulenti indicati dalla difesa della
Romano concordavano con i chiarimenti forniti dai consulenti del PM sulla
circostanza che la nascita da taglio cesareo in un neonato prematuro
dispone un fattore di pericolo per l’insorgenza di problemi respiratori.

situazione ed, in definitiva, il decesso.

Va rilevato, in ogni caso, che la Corte di cassazione non è giudice del
sapere scientifico, giacchè non detiene proprie conoscenze privilegiate:
essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica
dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che
riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla
affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della

apprezzamento, quindi, non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta,
ma solo se la spiegazione fornita sia spiegata in modo razionale e logico.

Ciò significa che, in sede di legittimità, non si può interloquire sulla
maggiore o minore attendibilità scientifica degli apporti scientifici
esaminati dal giudice.

In effetti, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di
insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il
giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettate da
differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene
condivisibile, purchè dia conto, con motivazione accurata ed approfondita
delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi
soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo
specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile
valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è
inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione,
poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale
insindacabile dalla Corte di cassazione, se non entro i limiti del vizio
motivazionale (Sezione IV, 20 aprile 2010, Bonsignore).

La sentenza impugnata non si discostata da tali principi e non ammette,
pertanto, censure.

Anche il secondo motivo è infondato, riproponendo una ricostruzione dei
fatti del tutto incompatibile con quella operata dai giudici di merito, che
hanno fondato l’addebito di responsabilità, non solo sulla posizione di
garanzia rivestita dall’imputata, nel momento in cui, subentrando nel

spiegazione del fatto. La Corte di cassazione, rispetto a tale

turno serale, ha assunto l’incarico di vigilare sulla neonata, ma sugli
inadempimenti alle specifiche regole cautelari gravanti sulla stessa.

La Corte territoriale ha correttamente rimarcato che proprio la
circostanza che la Romano abbia accettato un compito ( quello di
esercitare assistenza infermieristica) esorbitante dalle proprie mansioni,
ha fatto sì che la stessa assumesse la responsabilità in proprio nella

Non è, pertanto, utilmente invocabile dall’imputata il

principio di

affidamento sulla diligenza del medico pediatra, essendo la stessa venuta
meno agli obblighi cautelari di propria competenza.

In proposito, non è inutile ricordare che la assunzione di una “posizione
di garanzia” può trarre anche origine da una situazione di fatto o da un
atto di volontaria determinazione, tali da fondare il dovere di intervento.
Con l’ovvia precisazione che la posizione di garanzia richiede l’esistenza
in capo al garante di poteri impeditivi dell’evento,

i quali, peraltro,

possono essere anche diversi e di minore efficacia rispetto

quelli

direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell’evento:
nel senso che è necessario e sufficiente che il garante abbia il potere,
con la propria condotta, di indirizzare il decorso degli eventi
indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene
giuridico da lui preso in carico, esercitando, quindi, i poteri da lui esigibili
anche laddove questi non siano da soli impeditivi dell’evento (cfr. Sezione
IV, 10 giugno 2010, Quaglierini ed altri). Tali principi sono qui calzanti,
a fronte della scelta volontaria dell’imputata di seguire la neonata e del
fatto che alla medesima non era richiesto di attivarsi come se fosse stato
un sanitario, ma potendo e dovendo pretendersi un’attività di controllo e
monitoraggio che, in ipotesi, avrebbe potuto consentire un sollecito
intervento del sanitario.

Infondato è anche il quarto motivo afferente il trattamento sanzionatorio
terzo .

Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non
è infatti necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli

valutazione della condizione di benessere della neonata.

elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o
comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (Sezione III, 4 dicembre 2014, M. ed altro).

Ciò perché la concessione o no delle circostanze attenuanti generiche
risponde ad una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo
o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far

emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa
l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del
reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese,
comunque, come oggetto di una “benevola concessione” da parte del
giudice, né l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di
elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come
riconoscimento dell’esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di
positivo apprezzamento (Sezione VI, 28 ottobre 2010, Straface).

Qui è indubbio che la motivazione del diniego è stata basata, in modo
satisfattivo in questa sede, sul riferimento alla gravità del fatto, con
apprezzamento assorbente.

Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non
da in considerazione tutti gli

è infatti necessario che il giudice

elementi favorevoli o sfavorevo •edotti dalle parti o rileva

dagli atti,

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ma è sufficiente che egl accia riferimento a quelli

comunque rilevanti imanendo tutti gli altri dis esi o superati da tale
valutazione (S ione III, 4 dicembre 2014 l. ed altro).

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Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

Così deciso in data 23 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

processuali.

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