Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3124 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3124 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– MURARI CARLO n. 1/03/1958 a MANTOVA

avverso la sentenza n. 3707/2011 della Corte d’Appello di BRESCIA in data
13/07/2012
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. G. MAZZOTTA, che ha concluso per l’annullamento con rinvio,
limitatamente alla conversione della pena detentiva e per il rigetto, nel resto;
sentito il difensore, avv.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. MURARI PAOLO ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello
di BRESCIA in data 13/07/2012, depositata in data 19/07/2012, con cui è stata
confermata la sentenza del Tribunale di BRESCIA 28/09/2011, di condanna alla
pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed

cod. pen., perché, nella sua qualità di legale rappresentante, dal 29/07/2005 al
21/10/2007, della società “VALTENESI SERVIZI SCRL” con sede in Lonato (BS),
non versava entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione
annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituti per un ammontare complessivo di C 194.132,00, relative ad emolumenti
erogati nell’anno d’imposta 2006 (fatto commesso in Lonato nell’anno 2007,
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto d’imposta: art. 10 – bis, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74).

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato a mezzo del difensore procuratore speciale cassazionista, articolando tre motivi di ricorso, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

3. Deduce, con un primo motivo, vizio di motivazione (art. 606, lett. e), c.p.p.),
per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nella
parte in cui afferma che il giudice di primo grado avrebbe già operato la
sostituzione della sanzione detentiva, cosicché l’istanza di conversione si
appalesava come fuor d’opera; in sintesi, la Corte d’appello avrebbe errato nel
ritenere che il primo giudice avesse concesso la sostituzione della pena detentiva
in quella pecuniaria

ex lege

n. 689/1981; la Corte territoriale, dunque,

muovendo da un errato presupposto in fatto, non avrebbe statuito in ordine alla
concessione della richiesta conversione della pena detentiva, né sussistevano
preclusioni né ragioni ostative all’accoglimento della richiesta.

4. Deduce, con un secondo motivo, violazione di legge (art. 606, lett. b), c.p.p.)
sub specie di inosservanza o erronea applicazione della legge (art. 27, comma 2,
Cost.) e della legge penale (art. 45 c.p.); in particolare, il ricorrente avrebbe
allegato la propria impossibilità di effettuare le ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituti, dimostrando l’intervenuto fallimento della
società solo pochi giorni dopo la scadenza del termine di legge per effettuare il
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alle pene accessorie di legge, con la concessione del beneficio di cui all’art. 163

prescritto versamento; sussisterebbero, quindi, le condizioni per applicare la
causa di non punibilità della forza maggiore. Si deduce, poi, nel secondo motivo,
che la Corte territoriale, muovendo dal presupposto che il reato costituisce una
forma particolare di appropriazione indebita integrato dall’effettiva
corresponsione ai dipendenti, ha affermato che nel caso di specie non si dubita
fosse avvenuta, non essendo stato fatto alcun accenno in senso diverso dalla

onere del PM introdurre in giudizio gli elementi di prova che fondassero il giudizio
sulla responsabilità penale, non potendosi ascrivere alla difesa un onere
probatorio circa la non colpevolezza del ricorrente; di conseguenza, non essendo
stata provata l’avvenuta erogazione delle retribuzioni, non sussisterebbe un
elemento costitutivo del reato.

5. Deduce, infine, con un terzo ed ultimo motivo, la violazione dell’art. 606, lett.
b), c.p.p., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 45
c.p.); in sintesi, avendo il ricorrente dimostrato: a) che il 21 ottobre 2007, pochi
giorni dopo la scadenza del termine per il prescritto versamento, la società da lui
amministrata era stata dichiarata fallita dal Tribunale; b) le condizioni
d’irreversibile indebitamento con gravissima mancanza di liquidità della società
nel momento in cui questi ne aveva assunto l’amministrazione, sussisterebbe la
c.d. forza maggiore (art. 45 c.p.), norma, quest’ultima, applicabile, anche alla
materia tributaria, come desumibile, sia da molteplici disposizioni di legge
puntualmente richiamate in ricorso, che dall’applicazione giurisprudenziale
operatane anche in sede di legittimità, in cui si è fatta rientrare nella causa di
non punibilità de qua l’impossibilità economica o l’illiquidità; viene, dunque,
riproposta, come già in sede di motivi di appello, la questione in ordine alla
sussistenza del reato in ipotesi di carenza di risorse finanziarie da parte del
contribuente, in quanto, ove l’omissione, come nel caso in esame, sia
involontaria, il fatto previsto dalla legge come reato non sussisterebbe, atteso
che la forza maggiore è una situazione in cui l’autodeterminazione è preclusa
(del resto, l’illiquidità dell’impresa dipende anche da variabili esogene e non
governabili dall’imprenditore).

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è in parte fondato nei limiti di cui si dirà appresso.

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difesa; atteso, però, il principio della presunzione d’innocenza, sarebbe stato

6. In particolare, quanto al primo motivo, questo Collegio non può non rilevarne
la fondatezza, avendo la Corte d’appello errato nel ritenere che il primo giudice
avesse concesso la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria ex lege
n. 689/1981. Ed invero, dalla lettura della motivazione della sentenza del
tribunale di Brescia, emessa all’esito di giudizio abbreviato, nulla risulta in ordine
all’applicazione dell’invocata sanzione sostitutiva. La censura è, peraltro,

depositato il 9/11/2011, sicchè non si trattava di applicare d’ufficio le pene
sostitutive di quelle detentive brevi (Sez. 4, n. 12947 del 20/02/2013 – dep.
20/03/2013, Pilia, Rv. 255506), ma di omessa motivazione su di uno specifico
motivo di impugnazione, con conseguente sussistenza del denunciato vizio.
Non potendo provvedere ad emendare il vizio questa Corte (atteso che, ai fini
della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria, il giudice ricorre ai
criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., implicando ciò una valutazione
discrezionale, attinente al merito, che sfugge a questa sede di legittimità), la
sentenza deve, pertanto, essere annullata, per questa parte, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di BRESCIA, limitatamente all’omessa statuizione
sulla richiesta di concessione della sanzione sostitutiva ex art. 53 legge n.
689/81.

7. Infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole,
sia dalla mancanza di prova del pagamento delle retribuzioni che della mancata
applicazione della causa di non punibilità della forza maggiore,

ex art. 45 cod.

pen. attesa l’asserita impossibilità di effettuare le ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituti, essendo stato dichiarato il fallimento della
società dallo stesso amministrata solo pochi giorni dopo la scadenza del termine
di legge per effettuare il prescritto versamento.
Sul punto, la denunciata violazione di legge è insussistente, atteso che le
difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono riconducibili al
concetto di forza maggiore la quale, postulando l’individuazione di un fatto
imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta
dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo
ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria
dell’agente (Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013 – dep. 24/04/2013, Giro, Rv.
255880; in senso conforme: Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007 – dep. 29/01/2008,
Cairone, Rv. 238986). La Corte territoriale, facendo coerente applicazione al
caso in esame del suesposto principio di diritto, ha infatti precisato che nel caso
di omesso versamento delle ritenute, l’insolvenza successiva non scrimina,
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puntuale in quanto specificamente dedotta come terzo motivo d’appello

dovendo il sostituto d’imposta ripartire le proprie risorse in modo da poter
sempre adempiere l’obbligo tributario, così richiamando una giurisprudenza già
formatasi sotto la previgente disciplina (Sez. 3, n. 9223 del 25/05/1990 – dep.
27/06/1990, Balistrieri, Rv. 184713); allo stesso modo, peraltro, non può
favorevolmente valutarsi la deduzione dell’impugnante circa la possibile
involontarietà della condotta, atteso che puntualmente i giudici d’appello –

che impedisce di ricollegare l’omissione ad una situazione dolosa – giungono, nel
caso in esame, ad escludere che il ricorrente si trovasse in una tale situazione di
involontarietà, in quanto la documentazione agli atti dimostrava
inequivocabilmente che quando il ricorrente assunse la carica di amministratore
della società, quest’ultima già versava in una condizione di irreversibile
indebitamento con gravissima mancanza di liquidità e che le poste creditorie,
dichiarate all’ingresso del ricorrente nella compagine amministrativa, risultarono
poi inesigibili: il mancato pagamento, dunque, rappresentava circostanza
conosciuta, con la conseguenza che la relativa omissione deve considerarsi il
risultato di una consapevole decisione, soggettivamente riferibile
all’amministratore quantomeno a titolo di dolo eventuale, dato che proprio la
condizione iniziale della società di irreversibile indebitamento con gravissima
mancanza di liquidità rendeva concreto il rischio di non poter adempiere il debito
al momento prestabilito.
Quanto, poi, alla dedotta insussistenza del reato non essendo stata provata
l’avvenuta erogazione delle retribuzioni, è sufficiente in questa sede richiamare
quanto già in precedenza affermato da questa stessa Sezione nel senso che, nel
reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni
attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle
retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal
pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi, essendo in particolare
sufficiente l’allegazione dei mod. 770 provenienti dallo stesso datore di lavoro,
come nel caso di specie avvenuto, essendo infatti emersa la violazione sulla base
degli accertamenti automatizzati svolti dall’Agenzia delle Entrate di Lonato,
evidentemente fondati sulla dichiarazione mod. 770 presentata dallo stesso
contribuente (Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012 – dep. 11/01/2013, Salrnistrano,
Rv. 254152; in senso conforme, da ultimo: Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013 dep. 31/07/2013 – Buzi, Rv. 256429).

8. Infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso, per le ragioni già indicate con
riferimento al secondo motivo. Il motivo, al limite dell’inammissibilità (non
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ammettendo in astratto la rilevanza della c.d. illiquidità volontaria quale fattore

curandosi nemmeno il ricorrente di considerare le argomentazioni critiche con cui
la Corte territoriale aveva motivatamente respinto l’identica eccezione,
dovendosi lo stesso considerare non specifico ma soltanto apparente, omettendo
di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza
oggetto di ricorso), si risolve, sostanzialmente, nella mera riproposizione
dell’analoga censura proposta nel secondo motivo (e dell’identico motivo di

carenza di risorse finanziarie da parte del contribuente nonché per difetto di
volontarietà dell’omissione, censura sulla cui infondatezza questo Collegio
rimanda a quanto già esposto nel precedente § 7.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla conversione della pena
detentiva, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di BRESCIA; rigetta,
nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013

Il Consi liere est.

appello), in ordine alla questione relativa alla sussistenza del reato in ipotesi di

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