Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31235 del 09/06/2015
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31235 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Sodano Edoardo n. il 7/6/1960
avverso la sentenza n. 368/2014 pronunciata dalla Corte d’appello di Milano il 1/4/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 9/6/2015 la relazione fatta dal Cons. dott.
Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M. Galli, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to G. Caputo del foro di Velletri che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.
Data Udienza: 09/06/2015
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 1/4/2014, la corte d’appello di Milano ha
integralmente confermato la pronuncia in data 17/9/2013 con la quale il
tribunale di Milano ha condannato Eduardo Sodano alla pena di euro 300,00 di
multa in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di Maria Rosa
Rigamonti, in Settimo Milanese, il 14/9/2010.
All’imputato, in qualità di amministratore unico della ditta Robert Diffusione
della colpa generica, nonché delle norme di colpa specifica espressamente
richiamate nel capo di imputazione, per effetto delle quali, l’imputato, non
impedendo l’utilizzo, da parte della lavoratrice infortunata, di una fustellattrice
per la preparazione di tracolle per borse in contrasto con le istruzioni d’uso, ne
cagionava lo schiacciamento di un dito con lesione da scuoiamento.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi della violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale nel ritenere responsabile per la lesione
sofferta dalla lavoratrice infortunata l’imputato, quale amministratore (di diritto)
della società datrice di lavoro, anziché il delegato (preposto) e l’amministratore
di fatto della medesima società.
In particolare, deduce il ricorrente come all’interno dell’azienda della società
formalmente amministrata dall’imputato gli ordini ai lavoratori erano sempre
stati impartiti da tale Santomauro (vero e proprio delegato del proprietariodatore di lavoro), il quale, anche in occasione dell’infortunio, aveva invitato la
lavoratrice a servirsi di uno strumento inadatto alle lavorazioni da compiersi, con
la conseguente esclusiva assunzione, da parte dello stesso, di tutte le
responsabilità conseguenti alle lesioni sofferte dalla lavoratrice infortunata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
La corte territoriale ha spiegato, con motivazione logicamente coerente e
congruamente argomentata, come l’imputato avesse costantemente conservato
nel tempo la propria posizione di garanzia in relazione alla sicurezza dei
lavoratori dell’impresa, omettendo di procedere ad alcuna valida designazione di
preposti e senza predisporre alcuna valida delega di detta posizione.
Ciò posto, evidenziata la commissione di numerose, gravi violazioni di
norme cautelari concernenti l’utilizzazione della strumentazione protettiva dei
lavoratori e la trasmissione, a beneficio della lavoratrice infortunata, di un
s.r.I., era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri
adeguato livello formativo e di un congruo patrimonio informativo inerente le
corrette modalità di esplicazione della prestazione lavorativa alla stessa richiesta,
del tutto correttamente, sul piano logico-giuridico, il giudice d’appello ha ascritto
all’imputato la responsabilità per l’evento lesivo verificatosi, ravvisando, proprio
nel totale disinteresse per l’analisi dei rischi e la gestione delle misure protettive
per i lavoratori dell’azienda, le premesse del giudizio di colpevolezza sollevato
nei confronti dell’imputato: rischi puntualmente concretizzatisi attraverso
l’evento dannoso oggetto di giudizio, nella specie non adeguatamente
sullo stesso incombenti in ragione della propria posizione di garante della
sicurezza dei propri lavoratori.
4. Sulla base di tali premesse, rilevata l’infondatezza delle censure sollevate
dall’odierno ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso con la
conseguente condanna del Sodano al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/6/2015.
scongiurato attraverso l’adempimento, da parte del Sodano, dei doveri cautelari