Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31232 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31232 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Pezzella Giovanni n. il 30/12/1964
avverso la sentenza n. 7512/2009 pronunciata dalla Corte d’appello di
Napoli il 29/1/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28/5/2015 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata essendo il reato estinto per prescrizione.

Data Udienza: 28/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 4/11/2008, il tribunale di Napoli ha condannato
Giovanni Pezzella alla pena di tre anni di reclusione ed euro 10.000,00 di multa
in relazione al reato di detenzione a fini di spaccio e spaccio di sostanza
stupefacente (hashish), ritenuto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, ci. 5, d.p.r. n.
309/90, commesso in Napoli, il 13/12/2003.
Su appello dell’imputato, con sentenza in data 29/1/2014, la corte d’appello
di Napoli, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha escluso la recidiva

reclusione ed euro 6.000,00 di multa, confermando, nel resto, la sentenza del
primo giudice.

2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi della violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale, per aver trascurato di dichiarare l’avvenuta
estinzione del reato contestato al Pezzella, in ragione dell’avvenuta integrale
decorrenza del termine di prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Osserva il collegio come il reato per il quale l’imputato è stato tratto a
giudizio debba ritenersi prescritto, trattandosi di un fatto concernente il traffico
di sostanze stupefacenti, nella forma dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73,
co. 5, d.p.r. n. 309/90, commesso il 13/12/2003.
Sul punto, rileva il collegio come i giudici del merito abbiano considerato il
fatto ascritto all’imputato quale ipotesi riconducibile alla fattispecie criminosa di
cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, di recente riqualificata dal legislatore (d.l.
23.12.2013, n. 146) quale ipotesi autonoma di reato (punita con una pena
edittale rideterminata, a seguito del d.l. 20 marzo 2014, n. 36 convertito con
modificazioni con la legge 16 maggio 2014, n. 79, nella reclusione da sei mesi a
quattro anni e nella multa da euro 1.032 a euro 10.329), rispetto all’alternativa
interpretazione, in precedenza consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità
(cfr. Cass., Sez. 4, n. 3557/2012, Rv. 252671), incline a configurarla quale
circostanza attenuante dell’ipotesi base di cui al primo comma del medesimo art.
73.
Al riguardo, questa stessa corte di cassazione ha altresì sancito come, con
l’art. 2 del d.l. 23.12.2013, n. 146, il legislatore abbia configurato l’ipotesi di cui
all’art 73, co. 5, cit., quale autonoma figura di reato, come tale idonea a
imporre, anche retroattivamente, l’applicazione del termine prescrizionale pari a

2

contestata all’imputato, rideterminando S» la pena in due anni e sei mesi di

sei anni (estensibile a sette anni e mezzo per effetto delle eventuali interruzioni),
a norma dell’art. 157 c.p. (cfr. Cass., Sez. 6, 8.1.2014, r.g. n. 37783/2012,
Cassanelli).
Ciò posto, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente
infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di altra natura, occorre
sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa
Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di
pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri

sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile,
tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al
compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi
incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v.
Cass., Sez. Un., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero, il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. 129
c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e
obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in
qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la
correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., Sez. 6, n. 31463/2004,
Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine
di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il
principio di diritto secondo cui ‘positivamente’ deve emergere dagli atti
processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato
a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza
della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua
innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte
risultanze (v. Cass., Sez. 2, n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte
– anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle motivazioni della sentenza
impugnata – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle
previsioni di cui al secondo comma dell’art. 129 c.p.p..
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza
impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato estinto per
prescrizione.

3

nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.

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