Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31231 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31231 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Sega Ezio n. il 14/5/1962
avverso la sentenza n. 971/2014 pronunciata dalla Corte d’appello di
Venezia il 2/10/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28/5/2015 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to D. Di Vito del foro di Roma che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.

Data Udienza: 28/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 2/10/2014, la corte d’appello di Venezia ha
dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da Ezio Sega avverso la
sentenza in data 24/1/2014 con la quale il tribunale di Verona ha condannato
l’imputato alla pena di quattro anni e tre mesi di reclusione ed euro 25.000,00 di
multa in relazione ai reati di spaccio e detenzione a fini di spaccio di sostanza
stupefacente (cocaina), commessi in Verona il 8/10/2013.

l’imputato, dolendosi del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte
territoriale nel ritenere inammissibili i motivi dell’appello dallo stesso proposto,
avendo l’imputato, mediante tale atto, manifestato, sia pure implicitamente, la
volontà di sollecitare la più corretta qualificazione delle condotte ascritte al Sega
nella prospettiva della lieve entità del fatto, ai sensi dell’art. 73, co. 5, d.p.r. n.
309/90, con le conseguenti determinazioni ai fini dell’attenuazione del
trattamento sanzionatorio.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’erronea dichiarazione
d’inammissibilità dei motivi nuovi depositati dal difensore dell’imputato nel corso
del giudizio d’appello, avendo lo stesso difensore correttamente provveduto,
mediante tali motivi, all’esplicitazione delle doglienze precedentemente avanzate
con l’originario atto di impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Osserva preliminarmente il collegio come del tutto correttamente la corte
territoriale abbia rilevato l’inammissibilità dei motivi nuovi depositati dal
difensore dell’odierno imputato nel corso giudizio d’appello, sottolineando come
l’ammissibilità di tali motivi nuovi sia indefettibilmente condizionata al rispetto
del medesimo perimetro tracciato con l’originario atto di impugnazione, non
potendo introdursi, mediante tale atto, punti diversi e distinti da quelli fatti
oggetto della originaria tempestiva impugnazione, come nella specie operato dal
difensore dell’imputato appellante (v., ex plurimis, Sez. 6, Sentenza n. 45075 del
02/10/2014, Rv. 260666).
Occorre, per altro verso, rilevare, come l’ammissibilità dei motivi nuovi
rimanga in ogni caso condizionata alla riconosciuta ammissibilità
dell’impugnazione principale già proposta, con la conseguenza che, una volta
accertata l’inammissibilità dell’appello originario, i motivi nuovi successivamente
proposti non possono in alcun modo avere ingresso alla cognizione del giudice
dell’impugnazione, attesa la non corretta instaurazione del rapporto processuale.

2

2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione

Sul punto, è appena il caso di richiamare l’insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in materia di impugnazioni,
l’indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581, lett. c),
c.p.p., costituisce di per sé motivo di inammissibilità del proposto gravame,
anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli già dedotti,
vengano depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex art. 585, co. 4, c.p.p.
(v. Sez. 2, Sentenza n. 34216 del 29/04/2014, Rv. 260851).

genericità (e la conseguente inammissibilità) dei motivi d’appello originariamente
proposti dal Sega, osserva il collegio come la corte veneziana, dopo aver
evidenziato come, con l’originario atto di appello, l’imputato si sia limitato al
mero rilievo della mancata specificazione dello stato fisico delle sostanze
stupefacenti al momento del loro prelevamento ad opera della polizia giudiziaria
(con la conseguente impossibilità di valutarne l’entità), abbia correttamente
sottolineato l’impossibilità di dedurre, da tale censura, la doglianza avanzata nei
confronti della decisione impugnata.
In particolare, non essendo stata contestata dall’imputato la natura della
sostanza in sequestro, l’imputato non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni
esposte dal primo giudice sul punto relativo alla ridetta natura (accertata come
cocaina) e alla quantità di principio attivo contenuto (pari a complessivi grammi
16.452) idonea a consentire la confezione di oltre 100 dosi singole medie, come
esplicitato nella relazione tecnica in atti.
Ciò posto, le censure genericamente sollevate in appello dall’imputato non
avrebbero sottoposto ad alcuna specifica e chiara confutazione la decisione del
primo giudice, atteso che il riferimento, contenuto nella sentenza del tribunale
veronese, all’impossibilità di ricondurre la qualificazione del fatto all’ipotesi di cui
all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, appariva fondato, non solamente sul notevole
dato ponderale dello stupefacente, ma anche sull’organizzazione dell’attività di
spaccio posta in essere dall’imputato.
Il mancato riferimento delle censure critiche dell’appellante alle linee
argomentative esposte nella decisione impugnata (con la puntuale confutazione
del percorso logico seguito dal primo giudice) e l’omessa indicazione di quella
che avrebbe dovuto essere la corretta decisione sollecitata, è dunque valso ad
attestare l’irrimediabile genericità e l’inconcludenza dell’atto d’appello, con il
conseguente corretto accertamento della relativa inammissibilità.
Si tratta di considerazioni dotate di piena coerenza logica e linearità
argomentativa, oltre che giuridicamente corrette, che le odierne censure
dell’imputato non appaiono in alcun modo idonee a pregiudicare.

3

4. Quanto alla valutazione operata dalla corte territoriale circa l’irriducibile

5. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione segue il
rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.

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