Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31230 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31230 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Buono Simone n. il 17/3/1969
avverso la sentenza n. 5789/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Torino il 10/10/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28/5/2015 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to F. Imbardelli del foro di Roma che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.

Data Udienza: 28/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 14/2/2013, il tribunale di Asti ha condannato
Simone Buono alla pena di nove mesi di reclusione in relazione al reato di lesioni
personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro, ai danni di Mouhou Ahmed, in Canelli il 23/8/2010.
All’imputato, in qualità di legale rappresentante della società Nuova Aptaca
s.r.I., era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri
della colpa generica e delle norme di colpa specifica espressamente richiamate

indicante l’altezza massima di ingresso dei veicoli all’interno del piazzale
aziendale, avuto riguardo all’altezza della pensilina in cemento armato ubicata
all’ingresso di detto piazzale.
Per effetto di tale omissione, il lavoratore indicato (dipendente della R2
s.r.l.), addetto alle mansioni di autista di veicoli industriali, recandosi presso lo
stabilimento della Nuova Aptaca s.r.I., nel transitare al di sotto della descritta
pensilina alla guida di un autoarticolato di altezza superiore allo spazio esistente,
aveva urtato, con l’angolo superiore destro del container posizionato sul
semirimorchio, contro il lato esterno della pensilina, causandone la caduta sulla
cabina di guida, così provocandosi le gravissime lesioni descritte nel capo
d’accusa.

2. Su appello dell’imputato, con sentenza resa in data 10/10/2014, la corte
d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ridotto la
pena inflitta al Buono, determinandola in quattro mesi di reclusione,
confermando, nel resto, la sentenza del primo giudice.

3. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato sulla base di quattro motivi di impugnazione.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di rilevare la violazione
del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, con particolare
riguardo alla circostanza relativa al rapporto di dipendenza della persona offesa
con la società dell’imputato (nella specie radicalmente insussistente) e alla
correlativa rilevanza della contesta qualità di datore di lavoro del Buono sul piano
dell’esatta identificazione della posizione di garanzia.

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di

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nel capo di imputazione, per non aver predisposto la prevista cartellonistica

rilevare (in contrasto con le risultanze emerse dagli elementi di prova tecnica
acquisiti al giudizio) la illegittimità della circolazione del veicolo condotto dalla
persona offesa in assenza di apposita autorizzazione amministrativa, trattandosi
di mezzo capace di raggiungere l’altezza di ben 4,355 metri, idonea a qualificarlo
come “mezzo eccezionale”.

3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale nell’applicare erroneamente il disposto di cui

segnale di transito vietato ai veicoli aventi altezza complessiva superiore a una
certa misura nei soli casi in cui l’altezza ammissibile sulla strada sia inferiore
all’altezza dei veicoli definita dall’art. 61 c.d.s., atteso che, nella specie, la luce
del portale di ingresso nel piazzale aziendale non era inferiore all’altezza del
veicolo condotto dalla persona offesa.

3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
vizio di motivazione, avendo la corte territoriale trascurato di considerare
adeguatamente la circostanza relativa all’esclusività (o, quantomeno, alla
concorrenza) della responsabilità della persona offesa nella causazione del
sinistro, con la conseguente adozione degli opportuni provvedimenti sul piano
dell’accertamento istruttorio, con particolare riguardo alla gestione del
dispositivo di regolazione dell’altezza del mezzo (c.d. ralla) o alla condotta di
guida tenuta immediatamente dopo l’impatto tra la sommità del cassone e la
traversa del portale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Dev’essere preliminarmente disatteso il primo motivo d’impugnazione
relativo alla pretesa violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa
e sentenza.
Sul punto, converrà rimarcare, nel solco del consolidato insegnamento della
giurisprudenza di legittimità come, nel verificare la mancata corrispondenza tra
accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, occorra riferirsi all’operatività di
criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio
che impone (nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato) il riscontro
dell’avvenuto rispetto dei diritti della difesa, nel senso che l’imputato abbia
avuto, in concreto, la possibilità di difendersi da ogni profilo dell’addebito; e
tanto, a prescindere dalla differente configurazione formale, in termini
commissivi od omissivi, della condotta contestata (cfr. Cass., Sez. 4, n.
41674/2004, Rv. 229893; Cass., Sez. 4, n. 7026/2002, Rv. 223747).

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all’art. 118 del regolamento del c.d.s., nella parte in cui impone l’apposizione del

Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui dell’addebito si sia
concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia
stato lo stesso imputato a evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua
discolpa (v. Cass., Sez. 5, n. 23288/2010, Rv. 247761; Cass., Sez. 6, n.
20118/2010, Rv. 247330; Cass., Sez. 2, n. 11082/2000, Rv. 217222; Cass.,
Sez. 2, n. 5329/2000, Rv. 215903).
In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in
sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di

formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti
dagli interrogatori e dagli altri atti in base ai quali è stato reso in concreto
possibile all’imputato di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così
da potersi difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della
vita umana (v. Cass., Sez. 6, n. 9213/1996, Rv. 206208).
Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto,
non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori
risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato che hanno formato
oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di
esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della
decisione (v. Cass., Sez. 3, n. 15655/2008, Rv. 239866).
Naturalmente, non deve trattarsi di un fatto completamente diverso ed
eterogeneo con immutazione dell’imputazione nei suoi elementi essenziali (v.
Cass., Sez. 1, n. 6302/1999, Rv. 213459; Cass., Sez. 6, n. 2642/1999, Rv.
212803), dovendo ritenersi sussistente la violazione de qua solamente quando
nei fatti – rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un
nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in
rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Cass., Sez. 6, n. 81/2008, Rv.
242368).
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha rilevato la
mancata violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza, avendo
osservato come il riferimento alla qualità di datore di lavoro dell’imputato fosse
chiaramente riferita alla posizione di garanzia in relazione alla sicurezza dei
luoghi e degli ambienti di lavoro rivestita dal Buono, tanto più che nello stesso
sviluppo descrittivo del capo di imputazione era chiaramente indicato come
lavoratore infortunato fosse dipendente della società R2 s.r.l. per conto della
quale si era recato presso la sede della Nuova Aptaca al fine di caricare della
merce.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della
giurisprudenza di legittimità (correttamente richiamato dal giudice a quo), ai

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difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata

sensi del quale, in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme
antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio
della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro,
indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare
dell’impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino eventuali fatti lesivi a danno
del terzo, è configurabile l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme
dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo,
e 590, comma terzo, cod. pen., sempre che sussista tra siffatta violazione e

l’incidente verificatosi (cfr.,

ex plurimis,

Sez. 4, Sentenza n. 2343 del

27/11/2013, Rv. 258436).
La corretta individuazione, da parte del giudice d’appello, degli elementi
essenziali dell’imputazione e il riscontro della relativa corrispondenza, tanto
nell’atto d’accusa, quanto nella sentenza di condanna pronunciata a carico
dell’imputato, valgono pertanto a lasciar ritenere pienamente rispettato, nel caso
di specie, il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521
c.p.p. (e in ogni caso l’assenza di alcuna lesione dei relativi diritti di difesa), con
la definitiva attestazione della radicale infondatezza del motivo d’impugnazione
sul punto sollevato dall’odierno ricorrente.

5. Con riguardo alle restanti doglianze avanzate dal ricorrente
(congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni di
tutti), osserva il collegio come, in relazione al punto concernente l’altezza del
mezzo condotto dalla persona offesa, la corte territoriale, richiamandosi agli
accertamenti tecnici eseguiti nel corso del giudizio, abbia correttamente escluso
– sulla base di una motivazione del tutto congruente sul piano argomentativo e
immune da vizi d’indole logica o giuridica – che detto mezzo presentasse
caratteristiche tali da giustificarne la qualificazione alla stregua di un “mezzo
eccezionale”, atteso che l’altezza complessiva del punto più alto del cassone
montato sul semirimorchio, rispetto al suolo, era di 4,30 metri (uguale, cioè, alla
luce netta di passaggio sotto il portale di ingresso all’area dell’azienda
dell’imputato), con la conseguente esclusione che il veicolo in questione dovesse
essere dotato di autorizzazione amministrativa alla circolazione.
Sul punto, i rilievi critici illustrati del ricorrente appaiono limitati
all’articolazione di inammissibili censure di merito, non proponibili, né rilevanti,
in questa sede di legittimità.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha correttamente evidenziato, in
relazione agli aspetti di colpa specifica contestati e accertati a carico
dell’imputato, come il Buono si fosse colpevolmente sottratto al rispetto delle

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l’evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire

prescrizioni di cui all’art. 163 del d.lgs. n. 81/2008, la dove impone al dottore di
lavoro, al fine di regolare il traffico all’interno dell’impresa o dell’unità produttiva,
il ricorso, se del caso, alla segnaletica prevista dalla legislazione vigente in
relazione al traffico stradale (e dunque alla prevista cartellonistica indicante
l’altezza massima di ingresso dei veicoli e degli autoarticolati all’interno del
piazzale in esame), a nulla rilevando il richiamo dell’imputato alla sola specifica
situazione richiamata in seno al testo dell’art. 118 reg. c.d.s., attesa l’ampiezza
della formulazione della norma cautelare, funzionale alla copertura di tutte le

di idonea cartellonistica, atteso che l’astratta conformità delle misure del mezzo
condotto dalla persona offesa, rispetto alla luce del portale di ingresso nel
piazzale aziendale, non escludeva l’eventualità di prevedibili rischi di danno, nella
specie puntualmente concretizzatisi.
Ciò posto, del tutto correttamente (sul piano della coerenza argorrentativa)
la corte territoriale ha escluso il ricorso della concorrente responsabilità della
persona offesa nella causazione del sinistro, essendo quest’ultimo transitato a
bassissima velocità in corrispondenza del portale d’ingresso all’area aziendale,
non potendosi rendere conto (in assenza di segnalazione di pericolo attraverso
apposito cartello) dell’insidia rappresentata dall’altezza della pensilina
(perfettamente uguale a quella del container), tanto più che il transito doveva
avvenire attraverso il passo carraio di una ditta, dove, per sua conoscenza
diretta, venivano usualmente movimentati mezzi pesanti e container.

6. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione segue il
rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.

possibili situazioni di rischio, non altrimenti ovviabile che attraverso l’apposizione

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