Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3123 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3123 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– TRUZZI PAOLO n. 15/05/1964 a MILANO

avverso la sentenza n. 5968/2011 della Corte d’Appello di TORINO in data
17/02/2012
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. G. MAZZOTTA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore, avv.

Data Udienza: 27/11/2013

-

RITENUTO IN FATTO

1. TRUZZI PAOLO ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello
di TORINO in data 17/02/2012, depositata in data 23/02/2012, con cui è stata
confermata la sentenza del Tribunale di NOVARA del 16/05/2011, di condanna
alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese

reato di cui all’art. 10 – ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, nella sua
qualità di legale rappresentante pro tempore della PAL ELECTRONIC s.r.I., già
con sede di Trecate, ometteva di versare l’imposta sul valore aggiunto pari ad C
119.542,00, dovuta in base alla dichiarazione annuale riferita all’anno d’imposta
2005, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo
d’imposta successivo.

2. Dalla motivazione della sentenza impugnata, in particolare, risulta che è stata
ritenuta infondata la doglianza difensiva con cui era stata eccepita l’insussistenza
dell’elemento psicologico del reato (dolo), in quanto il mancato adempimento
degli obblighi tributari sarebbe dipeso non da volontà dell’imputato, ma dallo
stato di conclamata decozione della società da lui rappresentata, dichiarata fallita
nel mese di ottobre 2007. La Corte d’appello ha respinto la doglianza
osservando, anzitutto, che fino alla data del fallimento era stato legale
rappresentante della predetta società; che nulla risultava in atti circa la prova
dell’entità e risalenza della situazione di crisi della società stessa nel periodo
antecedente il fallimento; pertanto, secondo la Corte d’appello, il fatto che
l’omissione fosse condizionata dal grave stato di insolvenza in cui versava la
società sarebbe ininfluente per il diritto penale, posto che il contribuente, non
avendo versato periodicamente VIVA e non essendosi premurato di accantonare
una somma sufficiente per far fronte all’obbligo di versamento, si sarebbe
volontariamente messo nella condizione di non poter più adempiere entro il
termine ultimo fissato dalla norma (ossia, il 27 dicembre 2006, termine per il
versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo).

3.

Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato a mezzo del difensore

cassazionista, articolando un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen.

2

P?

processuali e con la concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen., per il

3.1. Deduce, in particolare, la violazione dell’art. 125, comma 3, c.p.p. in
relazione all’art. 606, lett. e), c.p.p., sub specie per l’illogicità della motivazione
per avere la Corte affermato che l’omesso versamento periodico dell’IVA ed il
mancato accantonamento delle somme sufficienti a far fronte all’obbligo di
versamento, dimostrerebbe la volontà dell’imputato di mettersi intenzionalmente
nella condizione di non poter adempiere all’obbligo previsto dalla norma de qua,

consentito tale versamento e/o accantonamento. In sintesi, la contiguità
temporale tra l’omesso versamento IVA nel termine ultimo e la declaratoria di
fallimento confermerebbe l’impossibilità del versamento e la conseguente
insussistenza, in capo al ricorrente, dell’elemento soggettivo del reato
contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso é inammissibile, ai sensi degli articoli 581 comma 1 lettera c) e 591
comma 1 lettera c) c.p.p., per genericità del motivo di ricorso.

5. Si osserva, preliminarmente, che trattandosi di omesso versamento dell’IVA
dovuta in base alla dichiarazione annuale riferita all’anno d’imposta 2005, trova
applicazione quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite penali di questa
Corte, secondo cui il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006,
che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la
scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di
imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti
relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di
irretroattività della norma penale (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013 – dep.
12/09/2013, Romano, Rv. 255758).

6. Tornando all’esame delle doglianze difensive, corre l’obbligo di ricordare che il
requisito della specificità dei motivi implica, infatti, non soltanto l’onere di
dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (cfr., ex plurimis, Cass. IV 1° aprile 2004, Distante, RV
228586; Cass. H 8 luglio 1999, Albanese, RV 214249; Cass. V 21 aprile 1999,
3

pur in assenza della prova che la situazione economica della società avrebbe

Macis, RV 213812; Cass. I 31 gennaio 1996, Arra, RV 203513; Cass. I 5 marzo
1994, Settecase, RV 196795; Cass. VI 1° dicembre 1993, p.m. in c. Marongiu,
RV 197180).

7. Il motivo di ricorso proposto, all’evidenza, si risolve nella mera enunciazione
del dissenso del deducente rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte di

giustificazione della decisione impugnata, la quale ha peraltro adeguatamente
motivato l’affermazione di responsabilità dell’imputato, anzitutto, con riguardo
alla configurabilità del reato de quo, che pacificamente è integrato nel momento
in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo
al periodo di imposta successivo, protraendosi l’omissione del versamento
dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione fino al 27 dicembre dell’anno
successivo al periodo di imposta di riferimento, giusta quanto disposto dall’art. 6,
comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, n. 405 (v., ex multis: Sez. 3, n.
38619 del 14/10/2010 – dep. 03/11/2010, Pg in proc. Mazzieri, Rv. 248626).
L’adeguatezza dell’apparato motivazionale, peraltro scevra da qualsiasi profilo di
manifesta illogicità (unico vizio motivazionale che rileva ai sensi dell’art. 606,
lett. e), cod. proc. pen., non essendo invero sufficiente il mero vizio di illogicità,
come denunciato dal ricorrente, che non sia anche “manifesta”, implicando detto
vizio una formazione della decisione del giudice, conseguente ad un

“iter”

argomentativo effetto di una macroscopica violazione delle normali regole della
logica giuridica, non rilevabile nel caso in esame), si appalesa poi
nell’individuazione, da parte della Corte di merito, dei profili di attribuzione
soggettiva della responsabilità al ricorrente, avendo infatti sottolineato la Corte
come la società di cui il ricorrente era legale rappresentante era stata dichiarata
fallita nell’ottobre 2007, sicchè per tutto il periodo in contestazione (protraendosi
l’omissione del versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione fino al 27
dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento, ossia il 27
dicembre 2006 in relazione al periodo d’imposta 2005), il ricorrente aveva
mantenuto la veste di soggetto obbligato al versamento, senza, peraltro, che
nulla fosse stato allegato né tantomeno provato dalla difesa, come si evidenzia in
sentenza, in ordine all’entità ed alla risalenza della situazione di crisi della
società stessa nel periodo antecedente il fallimento.
Né, infine, manifestamente illogica può ritenersi l’affermazione della Corte
territoriale secondo cui il rigetto dell’appello sarebbe stato determinato
dall’accertata riferibilità del mancato accantonamento e dell’inadempimento
successivo alla persona del ricorrente, unita all’assenza di diverse risultanze
4

merito. Le doglianze sono, invero, prive di contenuti di effettiva critica alla

probatorie, atteso che l’insufficienza dei mezzi finanziari non esonera il
contribuente, avendo egli il dovere di accantonare una somma sufficiente a far
fronte all’obbligo di versamento.

8.

Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma

stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013

Il Consi4lliere est.

Il P

ente

alla Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, somma che si

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