Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31229 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31229 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Bertin Giuseppe n. il 2/3/1961
Pittarresi Paolo n. il 24/3/1964
avverso la sentenza n. 376/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Trieste il 21/5/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28/5/2015 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio con riguardo al Pitarresi perché
il fatto non costituisce reato; nonché per l’annullamento senza rinvio,
limitatamente alla concessione della provvisionale, con riguardo al Bertin; rigetto nel resto.
udito, per entrambi gli imputati, l’avv.to G. Bongiorno, del foro di Roma,
che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 28/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 15/6/2012, il tribunale dì Udine, sezione
distaccata di Palmanova, ha condannato Giuseppe Bertin e Paolo Pitarresi alle pene,
rispettivamente, di tre mesi e di due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del
danno in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di lesioni colpose
commesso, ai danni di Vera Corso, in violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro, in Marano Lagunare il 12/3/2008.
Ai due imputati era stata originariamente contestata la violazione dei

espressamente richiamate nei capi d’imputazione, per avere il Bertin, in qualità di
dirigente con delega antinfortunistica della ditta Artenius Italia s.p.a., omesso di
individuare e di attuare adeguate misure di prevenzione e protezione idonee a
impedire che il Pitarresi (dipendente della medesima ditta Artenius Italia S.p.A.)
investisse la lavoratrice Vera Corso con il carrello elevatore elettrico dallo stesso
condotto, in modo tale che detta lavoratrice vi rimanesse incastrata con la gamba,
riportando l’amputazione del quinto dito del piede sinistro e l’amputazione della
gamba destra al livello della coscia.
Con sentenza resa in data 21/5/2014, la corte d’appello di Trieste, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, sostituita la pena inflitta agli imputati con la
pena pecuniaria d’importo corrispondente e assegnata alla parte civile, a titolo di
provvisionale, la somma di euro 100.000,00, ha confermato, nel resto, la sentenza
impugnata.

2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del comune difensore, hanno
proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, sulla base di quattro motivi
di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio
di motivazione e violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente
proceduto alla ricostruzione del nesso di causalità tra le condotte ascritte agli
imputati e la lesione patita dalla persona offesa, attesa la riconducibilità dell’evento
dannoso all’esclusiva responsabilità della lavoratrice infortunata, Vera Corso,
dipendente della ditta Idealservice incaricata delle pulizie, per essersi avventurata
in modo gravemente imprudente all’interno di una zona dello stabilimento (il c.d.
magazzino “prodotti finiti”) a lei espressamente interdetta, volontariamente
esponendosi al rischio di contatto con i mezzi in movimento ivi esistenti, nella
specie puntualmente concretizzatosi.
Sul punto, i ricorrenti si dolgono dell’erronea valutazione operata dai giudici
d’appello circa le dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa, avendo

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tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica

quest’ultima identificato in modo largamente implausibile il luogo del contatto con il
carrello elevatore, collocandolo a una distanza di ben undici metri da quello dove la
stessa fu soccorsa, senza avvedersi dell’inverosimiglianza dell’ipotesi che la vittima
potesse essere trascinata per diversi metri dal muletto senza lasciare alcun segno
di investimento.
Ciò posto, la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di riconoscere il
carattere del tutto abnorme del comportamento della lavoratrice (come tale idoneo
a interrompere ogni legame causale tra le condotte degli imputati e l’evento di

direttive organizzative ricevute concernenti il divieto di accesso alla zona dove
l’infortunio ebbe a verificarsi.
Peraltro, la corte territoriale avrebbe inspiegabilmente sottovalutato le censure
dell’appellante circa il riparto di competenze in materia d’informazione sulla
sicurezza tra la ditta Artenius e la cooperativa Idealservice, incorrendo in un
indubbio travisamento delle prove complessivamente acquisite, dalle quali era
emerso come i dipendenti della Idealservice non avevano ricevuto alcuna adeguata
informazione, da parte della propria azienda, circa le modalità di svolgimento delle
mansioni all’interno dei locali della ditta Artenius; informazione nella specie affidata
a un banale “passaparola” tra i dipendenti, senza che all’impresa committente
potesse fondatamente contestarsi l’ipotetica violazione di un inesistente dovere di
sostituzione o di supplenza del datore di lavoro della lavoratrice infortunata, una
volta adempiuto – a dispetto del travisamento della prova sul punto ascrivibile alla
corte territoriale – all’obbligo di segnalazione del divieto di accesso presso il
magazzino “prodotti finiti” mediante l’apposizione dei corrispondenti cartelloni.

2.2 Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per
violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente
proceduto (anche attraverso l’omesso esame di talune censure sollevate in sede di
appello) all’accertamento dell’elemento psicologico della colpa in capo a ciascun
imputato.
Sul punto, la corte territoriale si sarebbe limitata all’affermazione di rilievi
puramente congetturali circa l’eventuale efficacia di misure alternative
asseritamente idonee a scongiurare l’evento verificatosi, trascurando come la
dirigenza aziendale avesse provveduto ad analizzare in modo concreto i rischi
interferenziali connessi alla movimentazione dei carrelli, predisponendo un’idonea
cartellonistica per la circoscrizione delle zone più pericolose, ponendo a disposizione
del personale mezzi che, all’epoca del fatto, apparivano del tutto all’avanguardia dal
punto di vista tecnico (con particolare riguardo al rispetto delle misure di sicurezza
connesse alla circolazione), affidandone la guida a personale altamente

lesivo agli stessi addebitato) essendosi la lavoratrice sottratta al rispetto delle

p

specializzato, come lo stesso Pitarresi che, nell’occasione de qua, aveva condotto il
proprio mezzo procedendo a bassissima velocità.
Nessun rimprovero, pertanto, avrebbe potuto fondatamente sollevarsi nei
confronti degli imputati, avuto riguardo all’assoluta imprevedibilità e inevitabilità
dell’evento, nella specie verificatosi per l’abnormità della condotta della persona
offesa, senza che nessun eventuale comportamento alternativo concretamente
esigibile dagli odierni imputati ne avrebbe potuto scongiurare l’accadimento, tenuto
altresì conto dell’inevitabile margine di rischio (consentito) connesso all’esercizio

imputati, del principio di affidamento circa l’adozione di condotte prudenziali da
parte di tutti i soggetti coinvolti nell’ambito dell’attività produttiva in esame.

2.3. Con il terzo e il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale
illogicamente proceduto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con
particolare riguardo alla scelta della natura e dell’entità della pena e all’esecuzione
del giudizio di bilanciamento tra le circostanze, nonché per essersi pronunciata sulla
domanda risarcitoria (mediante la liquidazione della provvisionale in concreto
riconosciuta) oltre il limite del devolutum, in assenza di specifica impugnazione
della parte civile, con particolare riguardo alla valutazione della concreta entità
del concorso di colpa della persona offesa, in palese violazione del principio della
reformatio in peius.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I primi due motivi d’impugnazione illustrati dai ricorrenti – riferiti all’esame
del nesso di causalità tra le condotte contestate agli imputati e l’evento lesivo
occorso ai danni della lavoratrice, Vera Corso, e al riscontro dell’elemento
soggettivo della colpa nella causazione di detto evento – possono essere trattati
congiuntamente, in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte.
In via preliminare, osserva il collegio come i giudici d’appello abbiano
correttamente confermato la riconducibilità, al Bertin (quale dirigente con delega
antinfortunistica della ditta Artenius Italia s.p.a.), della posizione di garanzia
riferibile all’incolumità della dipendente della ditta Idealservice (incaricata delle
pulizie all’interno dello stabilimento della Artenius) sotto il duplice profilo: 1) della
persistente responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza all’interno dei luoghi
di lavoro (segnatamente nei casi di accentuata pericolosità degli stessi) anche nei
confronti di soggetti/terzi rispetto ai lavoratori dallo stesso dipendenti; nonché 2)
degli specifici obblighi che insistono in capo al datore di lavoro appaltante in
relazione alla gestione dei rischi (c.d. interferenziali) connessi alla sovrapposizione

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dell’attività imprenditoriale de qua e alla ragionevole invocazione, da parte dei due

(o, appunto, all’interferenza) delle ordinarie attività d’impresa con le lavorazioni
affidate in appalto (come nel caso di specie, in relazione alle incombenze relative
alla pulizia dei locali di lavoro).
Ciò posto, con immediato riguardo al tema concernente il nesso di causalità,
occorre rimarcare come la corte territoriale (sulla scia delle linee argomentative
fatte proprie dal giudice di primo grado) abbia del tutto correttamente escluso il
rilievo causale del comportamento della lavoratrice infortunata nella produzione
dell’evento lesivo, evidenziando come detto comportamento non presentasse alcun

termini dell’abnormità.
Al riguardo, varrà sottolineare come l’evento infortunistico in esame ebbe a
verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui la lavoratrice era stata adibita, e
che l’infortunio in concreto occorso, lungi dal costituire un’ipotesi del tutto
imprevedibile, doveva ritenersi

ex ante

un’evenienza

icto °cui/

pienamente

compatibile con il regolare sviluppo delle lavorazioni in esame.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa
corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore
di lavoro (o i soggetti da esso legittimamente delegati), in quanto titolare di una
posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di
accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e
persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il
rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per
causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore che presenti i
caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi
come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n.
37986/2012, Rv. 254365).
Con particolare riguardo ai fatti oggetto dell’odierno procedimento, la
circostanza che la lavoratrice Corso si fosse spinta, nel corso delle attività di pulizia
cui la stessa era stata adibita, all’interno dell’area di circolazione dei carrelli
elevatori procedenti ‘alla cieca’ (c.d. magazzino “prodotti finiti”) (zona alla stessa
interdetta, pur essendo fisicamente contigua ad uno spazio dello stabilimento che la
stessa aveva il dovere di visitare per l’esecuzione delle ordinarie mansioni
attribuitele), non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo
ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di
prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al
fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili
all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.

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aspetto specifico suscettibile di giustificarne un’eventuale sua considerazione nei

Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche,
è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante
nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il
comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa
radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez.
4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
In tema, questa corte ha di recente avuto modo di sottolineare come l’errore

condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il
quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa
diretta (per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le
condizioni di rischio), che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato
a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano
state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
Al riguardo, del tutto correttamente i giudici del merito hanno evidenziato
(sulla base di una congrua interpretazione degli elementi di prova richiamati in
motivazione) l’assoluta inescusabilità del comportamento del Bertin (delegato del
datore di lavoro) per aver omesso di adottare tutte le iniziative o le misure idonee a
scongiurare ogni possibilità di verificazione di fatti dannosi connessi alla circolazione
dei mezzi all’interno del c.d. magazzino ‘prodotti finiti’, avendo lo stesso
irragionevolmente consentito che, nell’ambito di detta area, avessero a circolare
veicoli condotti da soggetti del tutto privi di visibilità frontale (e dunque ‘alla cieca’)
all’atto della movimentazione dei c.d. ‘big bags’, ossia dei carichi di peso pari a
1.000/1.100 kg., senza impedire che ciò avvenisse o – a tutto voler concedere – che
ciò potesse avvenire in presenza della (tanto rigorosa, quanto ineccepibile)
esclusione che qualunque altro soggetto frequentante lo stabilimento, procedendo a
piedi, potesse in ogni caso trovarsi, sia pure per un’accidentale (benché pur sempre
prevedibile) imprudenza o negligenza, a transitare per questa zona (così
singolarmente esposta a gravissimi rischi di collisione).
In breve, del tutto correttamente i giudici del merito hanno giudicato a tal fine
radicalmente inidonei gli scarni presidi escogitati e messi a punto dall’imputato,
essendosi quest’ultimo limitato all’apposizione di generici cartelli indicanti il divieto
di accesso all’area, o alla diffusione, affidata a un insicuro ‘passaparola’, della
proibizione di detto accesso, senza provvedere materialmente a segregare in modo
rigoroso la zona interessata alla circolazione ‘alla cieca’ dei carrelli, in modo da
escludere, senza alcun prevedibile rischio, che chiunque potesse trovarsi ad
accedere a detta area in modo accidentale, per mera distrazione, dimenticanza o
imprudenza, come drammaticamente accaduto nel caso di specie.

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sulla legittima aspettativa che non si verifichino

L’insufficiente e inadeguata gestione del rilevantissimo rischio indotto dalla
circolazione di carrelli circolanti ‘alla cieca’ all’interno di un’area aziendale non
materialmente segregata dalle zone circostanti, al fine di scongiurare l’eventuale
contatto con altri lavoratori, vale dunque a giustificare il riconoscimento della colpa
correttamente ascritta dai giudici di merito a carico del Bertin, trattandosi di una
scelta organizzativa incongrua e foriera di gravi rischi come quello nella specie
puntualmente concretizzatosi.
Quanto alla posizione dell’imputato Pitarresi, osserva il collegio come, al fine di

causativo delle lesioni sofferte dalla lavoratrice infortunata, valga l’affermazione del
principio (già peraltro in precedenza statuito da questa corte di legittimità in un
caso consimile: cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14429 del 05/07/1990, Rv. 185672) ai
sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, deve ritenersi concorrente nel
delitto, per la violazione delle norme di prudenza, diligenza e di prevenzione degli
infortuni, il lavoratore dipendente che – alla guida di un mezzo privo di idoneo posto
di manovra e senza la presenza di incaricati alle segnalazioni, in condizioni di
precaria visibilità e, quindi, di estrema pericolosità – investe una persona
causandogli lesioni. Il lavoratore dipendente, infatti, pur non potendo ingerirsi
nell’organizzazione aziendale, ha l’obbligo di rifiutarsi di operare in simili condizioni
di estremo rischio per la sicurezza collettiva, con la conseguenza che l’accettazione
del rischio connesso all’esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione
comporta l’inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli
eventi lesivi in concreto provocati.

4. Del tutto prive di fondamento devono ritenersi le doglianze avanzate dai
ricorrenti con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio da parte
della corte territoriale, avendo i giudici d’appello espressamente sottolineato, al fine
di giustificare la scelta della natura e della severità della pena inflitta, l’estrema
gravità del fatto commesso (con particolare riguardo all’entità del danno alla
persona causato e alla straordinaria rilevanza del rischio assunto attraverso la
messa in circolazione di carrelli elevatori in totale assenza di visuale) e la
circostanza che tale danno non fosse stato ancora interamente risarcito: si tratta di
considerazioni dotate di coerente adeguatezza logica, che le censure in fatto sul
punto inammissibilmente sollevate dai ricorrenti non valgono a scalfire.

5. Da ultimo, al fine di disattendere il corrispondente motivo d’impugnazione
illustrato dagli imputati, osserva il collegio come il sottolineato contrasto di
giurisprudenza evocato dai ricorrenti, sul tema relativo alla liquidabilità, da parte
dei giudici d’appello, della provvisionale non concessa dal giudice di primo grado in

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confermare la rimproverabilità dello stesso per il comportamento immediatamente

assenza di impugnazione della parte civile, pena la violazione del principio del
divieto della reformatio in peius (per la liquidabilità v.,

ex plurimis, Sez. 1,

Sentenza n. 17240 del 02/02/2011, Rv. 249961; contra Sez. 1, Sentenza n. 13545
del 04/02/2009, Rv. 243132), si presti ad essere agevolmente superato, ad avviso
del collegio, in forza della considerazione – da ritenersi ineludibile sul piano dei
meccanismi d’indole processuale – secondo cui l’istanza rivolta al conseguimento di
una somma di danaro a titolo di provvisionale non vale a integrare gli estremi per la
proposizione di una domanda autonoma (in particolare sotto il profilo di

indipendenti dalla proposizione della principale domanda risarcitoria estesa all’an e
al quantum),

essendosi il legislatore del codice di rito limitato alla prevista

formulazione, ad opera dell’interessato, di un’istanza per la concessione di una
somma a titolo di provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la
prova (art. 539 c.p.p.).
Proprio il rilievo della mancata integrazione degli estremi per la proposizione di
un’autonoma domanda vale ad assicurare la proponibilità di detta istanza in ogni
momento, da parte dell’interessato, e pertanto per la prima volta anche in appello,
senza che il relativo accoglimento, da parte del giudice di secondo grado (sulla
premessa della già avvenuta condanna dell’imputato al risarcimento del danno da
liquidarsi in separata sede), valga ad integrare la violazione del principio del divieto
della reformatio in peius.

6. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione segue il rigetto
dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.

un’autosufficiente considerazione dei requisiti della causa petendi e del petitum

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