Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31224 del 06/03/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31224 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIGLIOLA GRAZIANO N. IL 13/11/1946
STIRPE PIETRO N. IL 12/01/1939
LENZI LUCIANO N. -IL 04/05/1954
avverso la sentenza n. 2116/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 04/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del
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che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 06/03/2015

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1.11 21 febbraio 2003 nel cantiere edile di Teramo in cui si stava realizzando,
per conto della società Cleopatra S.r.l., un edificio a destinazione
commerciale di tre piani complessivi, di cui due interrati ed uno fuori terra, si
verificava un gravissimo infortunio sul lavoro a seguito del quale l’operaio
Maldonado Carlos Alberto decedeva e gli operai Alfredo Enrique Rodriguez e
Perciante Damian Ariel riportavano gravi lesioni; gli stessi, mentre erano
intenti ad eseguire la posa in opera di un getto in calcestruzzo su struttura in
ferro zincato (lamiera grecata), nell’ambito dei lavori di realizzazione della
rampa di accesso ai parcheggi, precipitavano nel vuoto a seguito del
cedimento della lamiera, da un’altezza di circa 12 m, sfondando nella fase di
caduta anche la struttura in ferro del piano intermedio e finendo al piano
terra.
Del fatto venivano chiamati a rispondere i responsabili delle numerose ditte
che stavano collaborando alla realizzazione dell’opera e, per quanto riguarda il
presente procedimento, Graziano Figliola, Pietro Stirpe e Lenzi Luciano.
Committente dei lavori era stata la Cleopatra S.r.l. in persona
dell’amministratore Cantagalli Sabatino, dell’ ing. Graziano Figliola e
dell’arch. Pietro Stirpe, questi ultimi quali progettisti dell’architettonico,
progettisti delle strutture in opera, direttori dei lavori con funzioni di
coordinamento generale e direttori dei lavori delle strutture in opera. In corso
d’opera si era decisR una rilevante modifica progettuale nel senso che mentre
in origine l’intervento edilizio prevedeva esclusivamente opere strutturali in
cemento armato o strutture in cemento armato prefabbricate, e ciò anche per
quanto riguardava le rampe di accesso ai parcheggi, si era invece deciso che
tali rampe fossero realizzate attraverso strutture metalliche ( lamiere
grecate) la cui realizzazione dalla committenza era stata affidata alla ditta
IMEA snc e il cui progetto, ossia calcoli ed elaborati grafici delle strutture
metalliche, era stato redatto dall’ingegner Lenzi Luciano. Solo il giorno prima
dell’infortunio era stata depositata dalla committenza all’ufficio del genio civile
di Teramo domanda di denuncia lavori integrativa, riferita a nuove costruzioni
a struttura intelaiata in acciaio, sottoscritta dal costruttore della struttura Di
Carlantonio e corredata da relazione tecnica illustrativa sottoscritta
dall’ingegner Lenzi Luciano come progettista, dall’ingegner Figliola Graziano e
dall’architetto Stirpe Pietro quali direttori dei lavori.
Fondandosi sui contenuti della
consulenza tecnica del pubblico ministero,
sulle deposizioni dei testi ritenuti di interesse, sull’esame degli imputati, sui
risultati della articolata perizia disposta in sede dibattimentale e delle
consulenze tecniche di parte, atti tutti di cui dava pintuale ricostruzione, il
giudice di primo grado, le cui valutazioni sono sta-t:, condivise dalla Corte di
appello, riteneva che determinanti nella causaAzione dell’evento fossero stati
la superficialità e la negligenza dei professionisti della committenza, principali
titolari della posizione di garanzia, ed il mancato coordinamento tra le fasi di
lavoro che si svolgevano nel cantiere, cui si era aggiunta la inidoneità tecnica
del personale impiegato dalle ditte esecutrici direttamente intervenute nella
realizzazione dell’opera oggetto di imputazione, condotte tutte singolarmente

RITENUTO IN FATTO

2. Hanno presentato ricorso per cassazione gli imputati.
2.1 L’avvocato Lino Nesii , nell’interesse di Figliola e Stirpe deduce i seguenti
motivi. Nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 125 terzo comma
cod.proc.pen. per mancanza di motivazione. Sostiene che la sentenza
impugnata ha fatto proprie le considerazioni di quella di primo grado in
maniera assolutamente acritica, senza confutare motivi di appello proposti,
senza dare risposta alle deduzioni che pure state precisamente formulate e
che vengono trascritte nel ricorso. Sui punti sollevati è mancata una risposta
essendosi la sentenza limitata ad un richiamo acritico, nient’affatto esaustivo
a quanto affermato dal giudice di primo grado; in particolare si deduce che
l’ingegner Figliola e l’architetto Stirpe, progettisti architettonici e delle
strutture in opera, svolgevano la funzione di coordinamento generale ed
erano direttori dei lavori delle strutture in opera; avendo la committenza
deciso di realizzare le rampe di accesso ai parcheggi in maniera diversa dalle
originarie previsioni, facendo ricorso ad una struttura in acciaio e calcestruzzo,
si era resa necessaria la nomina di un tecnico specializzato in tale settore,
individuato nella persona dell’ingegner Lenzi, al quale era stato affidato
l’incarico di progettista e direttore dei lavori di tale opera; tale qualità era
stata peraltro ammessa e chiarita dallo stesso coimputato Lenzi. In tale
chiara situazione, l’ipotesi di una responsabilità comunque dei direttori dei
lavori della strutture in opera è stata affermata con il semplice richiamo alla
constatazione che la soletta collaborante in acciaio calcestruzzo era pur
sempre una struttura in opera. Tale affermazione integra un’assoluta
mancanza di motivazione perché non tiene conto della avvenuta nomina di
un altro professionista che, anche a voler ammettere che la soletta
collaborante potesse essere considerata una struttura in opera, aveva assunto
la progettazione e direzione dei lavori della stessa, circostanza per effetto
delle quali i due ricorrenti non potevano nè dovevano sovrapporsi all’opera
dello specialista. All’epoca dei fatti la materia era disciplinata dai decreti
legislativi 626/1994 e 494/1999, e nessuna delle norme di tali testi fa
riferimento ai direttori generali dei lavori, che non possono inserirsi nelle
problematiche specifiche di cui trattasi a meno che non sia stato loro affidato
il compito di sovrintendere ai lavori con la possibilità di impartire ordini alle
maestranze. Sottolineano importanza della questione dato che ogni altro
addebito era stato ritenuto insussistente o comunque non riferibile agli attuali
ricorrenti. Sotto altro profilo si contesta la sentenza impugnata laddove ha
considerato la struttura in acciaio cemento, la c.d. soletta collaborante, come
una struttura in opera, facendo da ciò derivare un obbligo di controllo da
parte dei direttori generali, nonostante la presenza di un diverso direttore dei
lavori proprio per tale lavorazione; si insiste che tale struttura non era una
struttura in opera, ma si trattava di solai collaboranti in lamiera grecata ed
acciaio, che è entità ben diversa dalle strutture in opera.

colpose e aventi efficacia causale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente esaminati pur con le
opportune specificazioni del caso, non meritano accoglimento.
Occorre preliminarmente osservare, essendosi ripetutamente invocato il c.d.
travisamento del fatto, che il controllo di legittimita’ devoluto a questa Corte
anche a seguito delle modifiche introdotte alli 606, comma primo, lett. e) cod.
proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non è volto a verificare la rispondenza
delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle
acquisizioni processuali, ma è’ consentito solo dedurre il vizio di
travisamento della prova che si realizza allorché si introduca nella
motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si
ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; ipotesi
questa del travisamento della prova che nella specie non è neppure invocata .
Il sindacato della Corte di Cassazione resta quello di sola legittimità, sì che
continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, dovendosi la medesima
limitare a verificare la esistenza di eventuali manifeste carenze o illogicit’
4

2.2 L’avvocato Roberto Madama, nell’interesse dell’imputato Lenzi, deduce
con un primo motivo il difetto di motivazione della sentenza impugnata che si
è affidata allo stesso percorso argomentativo della sentenza di primo grado
senza chiarire in relazione ai vari addebiti colposi formulati nei confronti del
ricorrente – di omesso controllo della rispondenza tra le lamiere grecate
fornite e quelle progettate, di omesso controllo in fase di montaggio e di
erronea pianificazione della fase di getto del calcestruzzo – la rilevanza
causale degli stessi. Deduce con il secondo motivo manifesta illogicità di
motivazione e travisamento della prova non essendosi tenuto conto che la
lamiera che è stata fornita era di qualità equivalente, se non addirittura
migliore, di quella ordinata e che la differenza di larghezza non ha inciso sul
cedimento che è stato causato esclusivamente da una eccessiva quantità di
calcestruzzo riversata nel punto di sfondamento; il sovraccarico del
calcestruzzo è stato la causa principale del crollo, crollo che si sarebbe
verificato anche in assenza delle riscontrate carenze in fase di montaggio
delle lamiere, essendo meramente ipotetica la affermazione che in tal caso vi
sarebbero stati segnali premonitori del cedimento che avrebbero consentito
agli operatori di mettersi in salvo; quanto alla pianificazione delle fasi di getto
del calcestruzzo, con riferimento alla scelta di procedere al getto dall’alto anzi
che dal basso, sostiene che non rientrava nei compiti del Lenzi la
programmazione delle fasi di getto, che era di competenza esclusiva dei
coimputati Figliola e Stirpe. Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione
e violazione di legge con riferimento agli artt. 42 e 43 cod.pen. ; si ricorda che
il Lenzi due giorni prima dell’incidente aveva riscontrato una lavorazione di
montaggio non perfettamente eseguita e pertanto aveva intimato al
responsabile di cantiere di non procedere al getto di calcestruzzo fino a
quando lui non fosse tornato per visionare di nuovo i lavori; invece si
procedeva al getto a sua insaputa e in violazione all’ordine da lui impartito.

della motivazione, rese immediatamente palesi dalla lettura della sentenza
impugnata.
Tanto premesso, deve darsi per accertato, che il solaio su cui si è verificato
l’incidente sia da considerare opera in cemento armato, avendo
esaurientemente motivato al riguardo i giudici di merito sulla base delle
considerazioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero che aveva
evidenziato che “la rampa da realizzare con solaio collaborante lamiera
grecata calcestruzzo altro non è che una normale struttura in cemento armato
gettata in opera, in cui i tradizionali ferri di armatura sono sostituiti (almeno
in parte) dalla lamiera grecata, con la differenza che nella fase iniziale di getto
del calcestruzzo la lamiera grecata funge anche da cassaforma” aggiungendo,
quindi, che “con il loro ruolo, l’ing. Figliola e l’arch. Stirpe, come sono tenuti a
controllare la corretta disposizione dei ferri d’armatura (accertandone numero,
dimensioni, caratteristiche) in una normale struttura in cemento armato, cosi
Io erano nei confronti della lamiera grecata, vista, appunto, come armatura”.
Quanto alla posizione di garanzia degli imputati, va evidenziato che, come già
messo in rilievo dalla impugnata sentenza, l’art. 2, comma 2, legge
5.11.1971, n. 1086, norme per la disciplina delle opere di conglomerato
cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica,
prescrive che “l’esecuzione delle opere deve aver luogo sotto la direzione di
un ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile iscritto nel
relativo albo, nei limiti delle rispettive competenze” e che in base alla circolare
del Ministero per i Lavori Pubblici n. 1191/1974 il direttore dei lavori, soggetto
designato dal committente per controllare la corretta esecuzione dei lavori e
che ne “assume la rappresentanza in un ambito strettamente tecnico”, è
responsabile, per la parte di competenza, “della rispondenza del progetto,
della inosservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità
dei materiali, nonché, per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della
posa in opera”.
Peraltro della concorrente posizione di garanzia degli attuali ricorrenti non può
dubitarsi se solo si ricorda che la denuncia integrativa avente ad oggetto il
solaio, presentata il giorno prima dell’infortunio, era corredata da relazione
tecnica illustrativa sottoscritta dall’ingegner Lenzi Luciano come progettista,
dall’ingegner Figliola Graziano e dall’architetto Stirpe Pietro quali direttori dei
lavori; e che le risultanze processuali hanno confermato l’esercizio in concreto
della funzione di direzione e controllo, essendosi accertato (testimonianza
Sichini Domenico Claudio) che in particolare l’ing. Figliola era presente per
sovrintendere al getto del calcestruzzo e che (come si vedrà meglio avanti)
l’ing. Lenzi si era preoccupato di controllare il montaggio del solaio.
L’incidente di cui è causa, avvenuto durante la fase di getto del calcestruzzo,
si è verificato per il concorso di diversi fattori da considerarsi dati
definitivamente acquisiti al processo, perché accertati in sede di merito con
riferimento alla situazione esistente e alla dinamica dell’evento, quali
ricostruite dal giudice di primo grado con dettagliata e puntualissima
disamina di tutte le risultanze istruttorie e con un percorso argomentativo
giudici di seconda istanza; allo stesso hanno concorso la
condiviso dai
diversa qualità e dimensione della lamiera utilizzata rispetto a quella pattuita
(la lamiera utilizzata, anche a volerla ritenere equivalente quanto

2. Al rigetto dei ricorsi segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condànna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

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resistenza, a quella pattuita, era però di larghezza ben inferiore: 570cm.,
anzi che 761cm.), la assenza di dispositivi di fissaggio e chiodatura delle
lamiere alle travi di appoggio (adempimento che competeva al Lenzi), la
inesperienza e inidoneità della ditta esecutrice che impiegava operai inesperti,
l’assenza di dispositivi antinfortunistici, quali impalcati di protezione, a
presidio di eventuali cadute dall’alto; la scelta di procedere alla lavorazione
dall’alto verso il basso, senza la necessaria stabilità derivante dalla previa
realizzazione delle opere sottostanti, fattori evidentemente non tutti
riconducibili agli odierni ricorrenti, ma che tutti hanno contribuito a
cagionare l’infortunio verificatosi per il cedimento della lamiera grecata;
anche se non è stato possibile accertare con esattezza quale sia stato il carico
di calcestruzzo riversato sulla struttura, è stato opportunamente messa in
luce la sicura rilevanza delle modalità di posa in opera del calcestruzzo e i
difetti di ancoraggio, osservandosi dai giudici di entrambi i gradi che anche
a voler ammettere che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato nel caso
che le lamiere fossero state tutte ancorate secondo le previsioni progettuali,
tuttavia lo stesso, in tal caso , si sarebbe verificato con esiti diversi
in ragione della progressività della cessione e del rumore che avrebbe potuto
allarmare gli addetti .
Correttamente dunque è stata affermata la responsabilità degli imputati
Figliola e Stirpe per aver omesso di controllare la idoneità delle lamiere
grecate e di sorvegliare la fase di getto del calcestruzzo; e del Lenzi per l’
analoga violazione del’obbligo di controllo della lamiera e per l’omesso
controllo della correttezza della procedura di montaggio. Altrettanto
correttamente è stata disattesa la tesi difensiva sostenuta dal Lenzi secondo
cui egli, avendo riscontrato le manchevolezze della procedura di montaggio,
aveva ordinato di sospendere i lavori che sarebbero proseguiti a sua insaputa
e contro la sua volontà. Giova al riguardo richiamare quanto risulta accertato
in fatto dalle impugnate sentenze e cioè che il Lenzi ha segnalato la cosa al
capo cantiere dicendogli di provvedere e di chiamarlo prima di provvedere al
getto del calcestruzzo, ma di non aver più saputo niente; una tale
comportamento di “segnalazione”, come già hanno rilevato i giudici di merito,
non vale ad esonerare l’imputato dalle sue responsabilità; il medesimo
avrebbe dovuto informare il coordinatore per la sicurezza, formalizzare
l’ordine di sospensione dei lavori e controllarne il rispetto; si è trattato invece
solo di una segnalazione, non di un vero e proprio ordine di sospensione dei
lavori (la cui esistenza è stata invocata specie in sede di discussione) ma del
quale non vi è prova alcuna nel processo.

O

Così deciso il 6.3.2015.

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