Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3122 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3122 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

VISHKURTI DURIM n. 16/06/1980 in Albania

DORDA ERMAL n. 11/09/1985 in Albania

COTA SOKOL n. 19/12/1976 in Albania

avverso la sentenza n. 772/2013 della Corte d’Appello di VENEZIA in data
16/05/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni dell’Avv. F. Ceccato del foro di Venezia per tutti i ricorrenti,
che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;

Data Udienza: 22/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. VISHKURTI DURIM, DORDA ERMAL e COTA SOKOL hanno proposto, a mezzo
del proprio difensore fiduciario cassazionista, tempestivo ricorso avverso la
sentenza della Corte d’Appello di VENEZIA in data 16/05/2013, depositata in
data 14/06/2013, parzialmente confermativa della sentenza 29/11/2012 emessa

del giudizio abbreviato richiesto, alla pena di anni diciotto di reclusione e
200.000,00 C di multa ciascuno (ridotta in appello ad anni quindici di reclusione
ed C 160.000,00 di multa ciascuno), per il reato di illecita detenzione in concorso
di 130,5 kg. circa di sostanza stupefacente del tipo eroina, destinata a duso non
esclusivamente personale, fatto aggravato in ragione dell’ingente quantità di
sostanza stupefacente, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia
cautelare; gli stessi venivano dichiarati interdetti in perpetuo dai pp.uu. e in
stato di interdizione legale per la durata della pena inflitta (fatti contestati come
commessi in Roverchiara, il 4/08/2011).

2. Ricorrono avverso la predetta sentenza tutti e tre gli imputati a mezzo del
difensore cassazionista, deducendo plurimi motivi di ricorso, alcuni comuni a tutti
e tre i ricorrenti, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Con un primo motivo, comune a tutti e tre i ricorrenti, deducono violazione di
legge (art. 606, lett. c), in relazione all’art. 453, comma 1-bis, c.p.p.); nullità
della richiesta di rito immediato del PM, del decreto del GIP che ha disposto il
giudizio immediato, del provvedimento del GUP che ha disposto il giudizio
abbreviato e di tutti gli atti successivi, comprese la sentenza di primo e secondo
grado, per esservi stata attività d’indagine dopo la scadenza del termine di gg.
180 dal termine indicata nell’art. 453, comma 1-bis c.p.p.
In sintesi, la difesa dei ricorrenti eccepisce che l’atto qualificato come
“informativa finale” del GICO della Guardia di Finanza, non costituirebbe un atto
riepilogativo di risultanze processuali precedenti, ma avrebbe introdotto elementi
nuovi, conseguenti ad indagini eseguite fuori termine disposte dalla Procura, e
sarebbe stata depositata successivamente al 2/05/2012, data di emissione del
decreto di giudizio immediato, con conseguente nullità e/o inutilizzabilità di tale
informativa.

2

dal GUP Tribunale di VERONA, con cui i medesimi erano stati condannati, all’esito

4.

Con un secondo motivo, comune a tutti e tre i ricorrenti, deducono

contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione; la Corte d’appello,
secondo la difesa, avrebbe illogicamente e contraddittoriamente motivato sulla
tempestività dell’invio della predetta informativa, avendo ritenuto che la stessa
facesse parte del fascicolo del PM in quanto trasmessa alla data del 10/04/2012,
traendo prova di ciò dal report di un fax, da una mail della PG e da un appunto

dalla circostanza che detta informativa sarebbe pervenuta in segreteria del PM il
3/05/2012 e nella cancelleria del GIP solo il 3/05/2012, ossia successivamente al
2/05/2012.
Sotto altro profilo, poi, la motivazione risulterebbe contraddittoria ed illogica, in
quanto la Corte territoriale, condividendo le argomentazioni del primo giudice,
avrebbe attribuito carattere riepilogativo e non innovativo della predetta
“informativa finale”, non solo per l’intitolazione, ma anche per la quasi totalità
del contenuto ed, ancora, in quanto vi sarebbero esposti argomenti logici in
buona parte già illustrati in un’annotazione del 9/11/2011. Sul punto, si deduce il
vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione in quanto l’affermazione
iniziale (natura riepilogativa) contrasterebbe con quella, successiva, secondo cui
in realtà, avrebbe carattere innovativo, come dimostrato palese dall’uso delle
frasi “in buona parte” e “per la quasi totalità”.

5. Con un terzo, articolato, motivo, comune a tutti e tre i ricorrenti (pag. 53 ss.
ricorso), deducono violazione di legge (art. 606, lett. b), c.p.p.) in relazione
all’art. 62 bis c.p., per la mancata concessione delle attenuanti generiche,
quantomeno equivalenti nonché il vizio di contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione (art. 606, lett. e), c.p.p.).
In sintesi, si rileva che la Corte territoriale avrebbe respinto la richiesta di
concessione delle attenuanti generiche ritenendo non sufficiente, di per sé, lo
stato di incensuratezza; diversamente, si deduce che tale status, unitamente ad
altri elementi, costituisce un buon parametro di riferimento. A tal proposito,
vengono evocati, quali elementi accessori che denoterebbero la meritevolezza
della concessione dell’art. 62 bis c.p.: a) per DORDA, la giovane età (25 anni al
momento dell’arresto); b) per COTA e VISHKURTI, la collaborazione processuale,
avendo gli stessi reso interrogatorio solo per scagionare il DORDA; il ruolo di
manovalanza, la condizione di cittadini extracomunitari rimasti senza lavoro, la
disponibilità di collaborazione negata dalla Procura e che, se coltivata dagli
inquirenti, avrebbe potuto determinare l’attenuante speciale, comunque al fine di
perequare la pena a fatti analoghi.
3

postumo del PM sull’originale. Quanto sopra, diversamente, sarebbe smentito

6. Con un quarto motivo, comune a tutti e tre i ricorrenti (pag. 65 ss. ricorso),
deducono l’eccessività della pena inflitta, pur ridotta dal giudice di seconde cure
ad anni quindici di reclusione ed C 160.000,00 di multa, in quanto ritenuta non
rispondente al dettato costituzionale di cui all’art. 27 Cost., con particolare

7. Infine, con un articolato motivo riguardante il solo ricorrente DORDA ERMAL
(pag. 10 ss. ricorso), si deduce, da un lato, violazione dell’art. 606, lett. c),
c.p.p., in relazione agli artt. 192, comma 2, c.p.p. e 530 cpv c.p.p., ovvero
violazione di legge per insussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti su cui
fondare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità del ricorrente
DORDA; dall’altro, si deduce vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p., per
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, si censura la motivazione del giudice di appello che ha ritenuto
penalmente responsabile il DORDA sulla base di indizi gravi, precisi e
concordanti, passando in rassegna i singoli punti della decisione della Corte
territoriale che qualificherebbero in termini di gravità, precisione e concordanza
gli indizi raccolti in fase di indagini preliminari, per contestarne la valenza
(esistenza di tre diverse versioni degli inquirenti circa la presenza del DORDA
all’interno dell’appartamento di Roverchiara prima del 4/08/2011; valutazione
dei rumori provenienti da un frullatore e da una mazzuola, con comparazione in
astratto tra un frullatore utilizzato dai ricorrenti e quelli usati dal consulente
tecnico di parte, geom. Tosato, di tipo domestico, compreso il phon), censurando
anche la mancata valutazione di circostanze (es. la mazzetta utilizzata dai
ricorrenti rispetto a quella utilizzata dal geom. Tosato) che, unitamente agli indizi
non convincenti, suscettibili di una diversa interpretazione e contrastanti tra loro,
determinerebbero il vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Ancora, si deduce il travisamento delle dichiarazioni del COTA in sede di
interrogatorio circa l’utilizzo del martello (c.d. mazzetta). Si procede, poi, ad una
ricostruzione dei fatti sulla base dei raccolti, qualificando gli indizi come equivoci
e suscettibili di diversa interpretazione, più favorevole alla difesa e, quindi, più
verosimile. Analoga censura colpisce, poi, la motivazione della decisione di
secondo grado quanto alle argomentazioni relative alla valutazione della
condotta del DORDA, se di mera connivenza o di concorso nell’illecita detenzione
dello stupefacente, giungendo a ritenerlo compartecipe con gli altri due sulla
base di elementi indiziari qualificati come incerti e non concordanti, tali
comunque da determinare la contraddittorietà della motivazione (in particolare
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riferimento al requisito della rieducazione del condannato.

censure investono le presunte dichiarazioni – definite come “compiacenti” dalla
Corte territoriale – degli altri due ricorrenti per scagionare il DORDA).

CONSIDERATO IN DIRITTO

8.

Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito

9. Quanto al primo motivo di ricorso comune a tutti i ricorrenti, lo stesso è
inammissibile in quanto manifestamente infondato per un duplice ordine di
ragioni.
In primo luogo, il motivo è inammissibile per tardività dell’eccezione, ove si
acceda all’assunto dei ricorrenti che si tratti di nullità. Ed invero, premesso che le
sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico
complesso motivazionale, come risulta dalla decisione gravata e da quella
emessa dal GUP di Verona, l’eccezione di nullità di cui sopra venne sollevata per
la prima volta in sede di discussione del giudizio abbreviato e, pertanto, venne
dichiarata tardiva dal GUP in quanto, dopo la pronuncia del decreto di giudizio
immediato, i ricorrenti avevano chiesto di essere giudicati con rito abbreviato.
Orbene, condivide il Collegio l’affermazione del primo giudice secondo cui la
richiesta di giudizio abbreviato, presupponendo l’accettazione degli effetti
dell’atto, comporta la sanatoria dell’eventuale nullità a regime intermedio come
rappresentata dalla difesa dei ricorrenti ex art. 183, lett. a) c.p.p. (v., in
motivazione, Sez. 6, n. 25968 del 15/04/2010 – dep. 07/07/2010, Fibbi, Rv.
247817).
In secondo luogo, il motivo sarebbe comunque manifestamente infondato,
perché il disposto dell’art. 453, comma 1-bis c.p.p., non vieta in modo assoluto come vorrebbe la difesa dei ricorrenti – lo svolgimento di “ulteriori indagini” dopo
la scadenza del termine di gg. 180 dall’esecuzione della misura.
Ed invero, in sintonia con quanto già affermato da questa Corte con riferimento
al giudizio immediato c.d. ordinario, ritiene il Collegio che il carattere tassativo
da riconoscersi al termine di gg. 180 previsto dall’art. 453, comma 1-bis, c.p.p.,
riguardi soltanto le indagini dalle quali deve risultare l’evidenza della prova
(rectius, i gravi indizi di colpevolezza, attesa la specialità del rito immediato
“custodiale” rispetto a quello “ordinario”), e non già le eventuali, ulteriori
indagini, i cui risultati, direttamente non utilizzabili, potranno però essere
acquisiti, con le debite forme, in dibattimento, al fine di arricchire il materiale
probatorio, fermo restando invece che laddove – come nel caso in esame – si
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evidenziate.

opti per la scelta del giudizio abbreviato, ciò preclude, in ogni caso, la possibilità
di eccepire l’inutilizzabilità degli atti di investigazione (con riferimento alla
previsione di cui all’art. 407 c.p.p., quanto reiteratamente affermato da questa
Corte, v.: Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011 – dep. 30/03/2012, Inzitari, Rv.
252580).
Né, in ogni caso, gli atti – ove si ritenesse provata la dedotta nullità per

da inutilizzabilità.
Ed invero – a parte la genericità del motivo non avendo i ricorrenti assolto
all’onere di chiarire quale fosse, in relazione agli atti specificamente affetti dal
vizio, l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da
potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez.
U, n. 23868 del 23/04/2009 – dep. 10/06/2009, Fruci, Rv. 243416) – deve
ricordarsi come il giudizio abbreviato costituisca un procedimento “a prova
contratta”, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a
mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza
preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere
ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel
corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono
normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del
“dibattimento”. Ne consegue, pertanto, che non rilevano ne’ l’inutilizzabilità
cosiddetta fisiologica della prova, ne’ le ipotesi di inutilizzabilità “relativa”
stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale,
donde va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità
cosiddetta “patologica”, inerente, cioè, agli atti probatori assunti “contra legem”,

la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in
tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e
dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle
negoziali di merito (v., per tutte: Sez. U, n. 16 del 21/06/2000 – dep.
30/06/2000, Tammaro, Rv. 216246).
Conclusivamente, è evidente che la contestata informativa finale del GICO
costituirebbe, come del resto dedotto dalla difesa dei ricorrenti, un atto
d’indagine effettuato dopo la scadenza dei termini prescritti, sicchè non potrebbe
parlarsi di inutilizzabilità di una prova vietata per legge (ossia, un caso di
inutilizzabilità patologica), ma solo di inutilizzabilità di tipo processuale che, in
questo caso, non opera a seguito della richiesta di giudizio abbreviato (v.,
ancora, la richiamata Sez. 6, n. 25968 del 15/04/2010 – dep. 07/07/2010, Fibbi,
Rv. 247817).
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espletamento oltre il termine di gg. 180 degli atti di indagine – sarebbero colpiti

10. Quanto al secondo motivo di ricorso comune a tutti i ricorrenti, lo stesso è
inammissibile in conseguenza dell’inammissibilità del motivo originario. In ogni
caso, la questione si risolve in una censura di mero fatto, incompatibile con il
sindacato di questa Corte che, ove investita dell’esame delle questioni
processuali, ha il potere-dovere di esaminare gli atti per verificare l’integrazione

dovere) di interpretare in modo diverso, rispetto alla valutazione del giudice di
merito, i fatti storici posti a base della questione (nella specie, la natura
riepilogativa anziché innovativa dell’atto qualificato come “informativa finale” del
GICO della GdF), se non nei limiti del rilievo della mancanza o manifesta illogicità
della motivazione, nel caso di specie non rilevabile.

11. Quanto al terzo motivo di ricorso comune a tutti i ricorrenti (pagg. 53/65 del
ricorso), lo stesso è inammissibile per manifesta infondatezza. La Corte di
appello, infatti, puntualmente motiva dando conto delle ragioni della mancata
concessione (e, dunque, dell’invocato giudizio di bilanciamento con l’aggravante
contestata), evidenziando come non sia sufficiente l’incensuratezza a supportare
la valutazione delle generiche né gli elementi ulteriori segnalati dal difensore
(collaborazione processuale, non potendo qualificarsi come espressive di
condotta collaborativa le dichiarazioni del COTA SOKOL e di DORDA ERMAL;
ruolo di manovalanza di COTA e VISHKURTI rispetto al DORDA).
Sul punto è sufficiente rilevare l’attuale della disposizione normativa che fa
divieto di concessione delle circostanze attenuanti generiche sul solo presupposto
dello stato di incensuratezza, introdotta dalla novella codicistica del D.L. n. 92
del 2008, conv. in L. n. 125 del 2008 (art. 62, comma 3, c.p.) nonché la
costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel concedere o negare le
attenuanti generiche, il giudice di merito è investito di un ampio potere
discrezionale, che non è sottratto al controllo di legittimità, dovendo il giudice
medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la
concessione o il rifiuto di concessione, con l’indicazione degli elementi reputati
decisivi nella scelta compiuta, senza che sia, peraltro, necessario valutare
analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (v., tra le
tante: Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999 – dep. 04/11/1999, Guglielmi e altri, Rv.
214570).
Ciò posto, nella sentenza impugnata la motivazione del diniego delle circostanze
attenuanti generiche risulta ampia, esauriente e pienamente congruente sul
piano logico, posto che la pronuncia negativa è scaturita da una coerente ed
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della violazione denunziata, senza tuttavia, avere il potere (né il correlativo

organica disamina di tutti gli elementi prospettati dal ricorrente da cui non
risultano posti in luce profili che possano giustificare una mitigazione del
trattamento sanzionatorio, neppure con riferimento agli ulteriori elementi indicati
(giovane età, collaborazione processuale prestata dai ricorrenti, il richiamato
ruolo di manovalanza; la condizione di cittadini extracomunitari senza lavoro; la
comparazione con altri casi giudiziari giudicati nel distretto di Venezia).

nel ricorso è stata, altresì, denunciata la contraddittorietà e/o manifesta illogicità
della motivazione con riguardo ad atti del processo specificamente indicati
nell’impugnazione, conformemente alla disciplina risultante dal testo del vigente
articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p.
In proposito deve osservarsi che in una delle prime decisioni successive (Sez. 6,
n. 10951 del 15/03/2006 – dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233711) alle modifiche
apportate dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, questa Corte ha precisato che il
vizio della motivazione consistente nella non compatibilità del contenuto della
decisione con gli atti del processo specificamente indicati nel ricorso postula che
detti atti non siano stati presi in considerazione dal giudice di merito e siano
autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che, per il
carattere di decisività, la loro capacità rappresentativa abbia l’effetto di
disarticolare il ragionamento su cui poggia la decisione, determinando al suo
interno radicali incompatibilità al punto da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
In argomento è stato precisato che l’innovazione normativa introdotta
dall’articolo 8 della legge n. 46 del 2006 non autorizza a dedurre come motivo il
“travisamento del fatto”, giacché è preclusa la possibilità per il giudice di
legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito; mentre consente di dedurre il
“travisamento della prova”, che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di
merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un
risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale: con la precisazione
che, in quest’ultimo caso, la Corte di Cassazione non è chiamata a reinterpretare
gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma a
verificare se questi elementi esistano (cfr Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 – dep.
06/02/2007, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235656), nel senso che deve
essere accertata la “non fedeltà” della sentenza al processo, l’incompletezza
informativa della motivazione, nonché l’inconciliabilità della stessa con gli “atti
del processo” specificamente indicati dal ricorrente, che, essendo decisivi,
risultano in grado di giustificare una decisione differente da quella accolta nella
8

Relativamente al medesimo tema del diniego delle attenuanti generiche

sentenza impugnata (Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006 – dep. 22/11/2006,
Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Così tratteggiata la categoria del vizio logico di contraddittorietà della
motivazione risultante dalla nuova disposizione di legge, è evidente che le
deduzioni del ricorrente non riescono a capovolgere i risultati dell’apprezzamento
compiuto dalla Corte di merito per il preciso motivo che gli atti processuali

di valutazione critica sorretta da un apparato argomentativo del tutto esauriente
e corretto nell’impostazione e nello sviluppo logico, onde il discorso giustificativo
della decisione resta immune dai vizi denunciati e non palesa alcuna
contraddittorietà interna ed esterna.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, tenuto conto che la
concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla
discrezionalità del giudice, tenuto a motivate nei soli limiti atti a far emergere in
misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 1, n. 46954 del
04/11/2004 – dep. 02/12/2004, P.G. in proc. Palmisani ed altro, Rv. 230591),
deve conclusivamente riconoscersi che mancano del tutto di pregio le censure
formulate dal ricorrente in ordine alla mancata applicazione delle circostanze
attenuanti generiche.

12. Quanto al quarto motivo di ricorso comune a tutti i ricorrenti (pagg. 65/66),
lo stesso è all’evidenza inammissibile in quanto meramente ripetitivo dell’identico
motivo di appello, in relazione al quale la Corte territoriale non ha mancato di
fornire adeguata e congrua giustificazione, scevra da qualsiasi profilo di illogicità.
È, invero, inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod.
proc. pen. il ricorso per cassazione nel quale venga riproposta una questione che
abbia già formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è
pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici (Sez. 2, n.
22123 del 08/02/2013 – dep. 23/05/2013, Panardi e altri, Rv. 255361). Che, del
resto, la Corte lagunare abbia operato una corretta valutazione delle censure
difensive sul punto, è provato dall’avere i giudici di appello apprezzato la
richiesta di riduzione della pena, mantenendo quale pena base una pena
superiore alla media tra il minimo ed il massimo edittale e giustificando, altresì,
la ragione del paritario trattamento sanzionatorio riservato ai ricorrenti, per
avere gli stessi manifestato (v. pag. 29 dell’impugnata sentenza), a prescindere
dai ruoli accertati nel processo, un profilo di pericolosità sociale sostanzialmente
paritario.
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richiamati attengono ad elementi di prova diffusamente esaminati e fatti oggetto

13. Infine, quanto al motivo riguardante il solo ricorrente DORDA ERMAL, lo
stesso dev’essere parimenti dichiarato inammissibile, dovendosi, ancora una
volta, ricordare che è inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione
dell’art. 192 cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di
ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed

quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati
specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono
essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma primo, lett. c),
cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle
norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 dep. 20/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
Né miglior fortuna merita l’associata doglianza di cui al presente motivo
attinente al solo DORDA, afferente l’invocato vizio di cui all’art. 606, lett. e),
c.p.p., per contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.
Ed invero, la manifesta infondatezza del motivo in questione emerge
all’evidenza dall’attenta analisi dedicata dalla sentenza impugnata ai profili di
colpevolezza del DORDA (v. pagg. 19 ss.). I giudici d’appello, infatti, esaminano
puntualmente i singoli elementi “a discarico” sostenuti dalla difesa del ricorrente,
fornendo una giustificazione pienamente logica ed adeguata delle ragioni del
convincimento giudiziario di un suo coinvolgimento nella vicenda in esame
(presenza del Dorda nell’appartamento da diverse ore prima che fosse stato
visto dalla GDF uscirvi verso le 18; ammissione da parte dei coimputati
dell’ininterrotta presenza del Dorda all’interno dell’abitazione fino a quell’ora;
percezione diretta da parte degli operanti di “forti rumori di martello e frullatori”
provenienti dall’appartamento e di “forte odore acre derivante dalla lavorazione
dell’eroina”; presenza di oltre 130 kg. di eroina; presenza di completa
attrezzatura per la lavorazione; modalità in cui lo stupefacente si presentava al
momento dell’accesso nell’immobile; inidoneità degli elementi difensivi, anche a
mezzo c.t., a scalfire la prova oggettiva del coinvolgimento del Dorda,
consentendo alla Corte di affermare “con ragionevole elevata probabilità logica
razionale che Dorda Ermal fosse ben consapevole della presenza dell’eroina nella
casa adibita a laboratorio e della lavorazione in atto di grossi quantitativi”: cfr.
pag. 22 impugnata sentenza), giungendo ad analizzare con meticolosità il profilo
della sua compartecipazione, escludendo che potesse trattarsi di mera
connivenza non punibile, fornendo altresì adeguata giustificazione in merito alle
ragioni che propendevano per far ritenere non credibili, oltre che illogiche, le
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indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in

dichiarazioni compiacenti dei coimputati Vishkurti e Cota (v. pag. 23/24
dell’impugnata sentenza) nonché in merito all’irrilevanza della circostanza per la
quale il Dorda fosse risultato negativo allo screening degli oppiacei all’ingresso in
carcere e dell’assenza di tracce di impronte del Dorda sugli attrezzi usati per la
lavorazione dell’eroina (v. pagg. 25/26 dell’impugnata sentenza). Risponde,
dunque, ai canoni della logica e razionalità la conclusione che emerge dal

della presenza del Dorda all’interno dell’appartamento fosse stata quella di
garantire la custodia dell’ingente quantitativo di stupefacente sequestrato
durante il periodo di assenza dei due complici, essendo invero del tutto
inverosimile che il Vishkurti lo avesse lasciato da solo inconsapevole, atteso il
valore economico elevatissimo, la cui perdita avrebbe potuto comportar eil
rischio di morte, avendo lo stesso Vishkurti precisato di essere rimasto a dormire
la sera prima del 4 agosto a Roverchiara, dove lo stupefacente era stato già
spostato, perché non poteva abbandonare la droga.
La Corte distrettuale ha, dunque, efficacemente evidenziato, con
completezza e puntualità di riferimenti, gli elementi fattuali e le fonti probatorie
da cui inferire la consapevole partecipazione del DORDA ERMAL alla vicenda
criminosa de qua, di talché le deduzioni del ricorrente, esposte in 43 pagine, in
ordine a pretese carenze motivazionali della sentenza impugnata risultano prive
di pregio per le ragioni evidenziate, risolvendosi in inammissibili censure in fatto,
indulgendo il ricorrente in una personale ricostruzione della vicenda finalizzata ad
escluderne la compartecipazione nell’illecito oggetto di volontà comune. Non
deve, sul punto, dimenticarsi, come il sindacato di questa Corte resta quello di
sola legittimità, sì che esula dai poteri della Cassazione quello di una rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, anche laddove venga
prospettata dal ricorrente — come nel caso in esame – una diversa e più
adeguata valutazione delle risultanze processuali, anche sotto il profilo di un
incensurabile travisamento del fatto (v., da ultimo: Sez. 6, n. 25255 del
14/02/2012 – dep. 26/06/2012, Minervini, Rv. 253099).

14. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero,
al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione
pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

11

percorso motivazionale della sentenza impugnata secondo cui la reale ragione

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2013
Il Presidente

Il Co igliere est.

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