Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31219 del 13/07/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31219 Anno 2015
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VINCI GIUSEPPE N. IL 19/02/1986
avverso l’ordinanza n. 635/2014 GIP TRIBUNALE di GENOVA, del
08/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO
CENTONZE;
lette/syftite le conclusioni del PG Dott. 5~.(.2 ,-)co KmAriA, la coviza

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Uditi difensor Avv.;

tia‘ QI,CL”c~, •

Data Udienza: 13/07/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa 1’08/10/2014 il G.I.P. del Tribunale di Genova,
quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento parziale dell’istanza formulata
nell’interesse di Giuseppe Vinci, ai sensi degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen.,
rideterminava la pena originariamente applicata all’esecutato con la sentenza
emessa dallo stesso organo giurisdizionale il 04/05/2009, divenuta irrevocabile il
26/06/2009, quantificata in anni tre, mesi tre e giorni quindici di reclusione e

Vinci veniva quantificata in anni due, mesi otto di reclusione e 22.000,00 euro di
multa.
Si riteneva, in particolare, di dovere rideterminare la pena tenendo conto
della cornice edittale prevista dall’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così
come riconfigurato dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014, n.
32, che imponevano di rideterminare unicamente la pena base, pari ad anni
sette di reclusione e 15.000,00 euro di multa, ritenuta illegale in quanto
eccedente il limite dei sei anni di reclusione.
Tali ragioni imponevano l’accoglimento parziale dell’istanza.

2. Avverso tale ordinanza l’esecutato ricorreva per cassazione, a mezzo del
suo difensore, deducendo la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione di
legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Si deduceva, in particolare, che il giudice dell’esecuzione non doveva
limitarsi a rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali, ma
doveva applicare un criterio di proporzionalità della sanzione irrogata al Vinci,
tenendo conto del fatto che, pur non potendo entrare nel merito della vicenda
processuale, non poteva non tenere conto delle modifiche radicali intervenute
sulla normativa di riferimento.
In questi termini, la sanzione irrogata al Vinci doveva ritenersi illegittima,
atteso che la pena base veniva calcolata tenendo conto di parametri edittali,
nella loro cornice edittale complessiva, che non si sarebbero dovuti applicare
laddove fossero stati rispettati dal legislatore i principi costituzionali risultati
violati con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.
Per queste ragioni, l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione doveva
essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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15.000,00 euro di multa. Per effetto di tale rideterminazione, la pena applicata al

1. In via preliminare, deve rilevarsi che l’istanza proposta nell’interesse di
Giuseppe Vinci pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si
procede per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in
quanto ritenuti in contrasto con
pf-e-~Fiel-ità-Gle.lia-penal -Q – ‘ Oda. 4- +, emvU-LACL
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con

lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.

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Sulle conseguenze applicativ -e-1

si determinava un

contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte che imponeva l’intervento
delle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260700).
La questione che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente,
scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5
novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto
intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si
pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenge sistematiche prodotte dalla?,
dli- e3AA.:God” QÀ _• sentenzL della Corte costituzionale n—-3-2–del 20147 affermavano che, in questo
caso, l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non
può essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta
dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena irrogata costituisce
un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene avvertita
come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal
giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014,
Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui succintamente
richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto:
3

efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per

«Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit.).

L A questo intervento chiarificatore ne seguiva un secondo, che riguardava
le ipotesi in cui si discuteva dell’esecutività di una sentenza intervenuta su

assimilabili a quella che si sta considerando in questa sede processuale (cfr. Sez.
U, n. 42858 del 12/01/2015, Marcon, informazione provvisoria).
In presenza di tali condizioni processuali, occorreva tenere conto dei
parametri ermeneutici affermati nel recente arresto delle Sezioni unite, le quali
intervenivano sulla questione, proposta dalla Sezione penale terza, con
ordinanza di rimessione adottata il 18/03/2014, nei seguenti termini: «Se la
pena applicata su richiesta delle parti per delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. n.
309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta
irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 debba
essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione».
Si tratta di condizioni processuali che sono certamente ricorrenti nel caso di
specie, tenuto conto del fatto che veniva applicata al Vinci la pena originaria di in
anni tre, mesi tre e giorni quindici di reclusione e 15.000,00 euro di multa, sulla
quale il giudice dell’esecuzione si limitava a intervenire rideterminando la pena
base sulla quale ricalcolare la sanzione applicabile, nel valutare la quale
occorreva tenere conto dell’esistenza di una cornice edittale che prevedeva – al
momento dell’accordo tra la parti – la pena della reclusione tra sei e venti anni di
reclusione e della multa tra 26.000,00 euro e 260.000,00 euro. (cfr. Sez. un.,
12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).
A tale questione ermeneutica le Sezioni unite fornivano una risposta
91:t:atm:re} positiva, precisando che, in questi casi, la pena deve essere
rideterminata attraverso una vera e propria rinegoziazione dell’accordo
precedentemente intervenuto, che dovrà essere ratificato dal giudice
dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione, dunque, viene coinvolto nella
decisione della questione attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal
condannato ovvero dal pubblico ministero e in caso di mancato accordo – ovvero
di esito negativo della rinegoziazione effettuata tra le parti – provvederà alla
rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
(cfr. Sez. un., 12/01/2015, Marcon, cit.).

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concorde richiesta delle parti processuale ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,

In questa direzione, del resto, non può non rilevarsi che posto che
l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. è il frutto di una scelta che il
giudice della cognizione compie, attraverso una discrezionalità guidata, in un
ambito edittale predefinito, è evidente che il mutamento radicale della cornice
derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria in sede
esecutiva – anche attesa la tipologia di sostanza stupefacente per la quale era
stata concordata la pena applicata al Vinci – una rivalutazione di tale profilo
sanzionatorio, conformemente al seguente principio di diritto: «Per effetto delle

dell’esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora
interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur
se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato,
potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione,
fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di
norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del
04/12/2014, Schettino, Rv. 261581).
Ne discende conclusivamente che, in assenza di tale preliminare
rinegoziazione dell’originario accordo delle parti processuali, il G.I.P. del
Tribunale di Genova non poteva autonomamente intervenire sul contenuto del
trattamento sanzionatorio applicato al Vinci ex art. 444 cod. proc. pen. Né è
possibile desumere la volontà delle parti da riferimento meramente rituale
all’audizione delle parti in camera di consiglio, senza alcun riferimento concreto
alla loro volontà processuale (cfr. Sez. un. 12/01/2015, Karcon, cit.). Tvk eaz
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3. Per questi motivi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al G.I.P. del Tribunale di Genova, affinché provveda a un nuovo esame,
conformandosi ai principi che sì sono esplicitati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di
Genova.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 luglio 2015.

sentenze della Corte costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice

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