Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3121 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3121 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Managò Massimo Emiliano, nato a Taurianova il
24.11.1980; da Managò Salvatore detto Franco, nato a Oppido Mamertina il
3.1.1976, e da Mirabello Gabriele, nato a Polistena il 9.2.1989;
avverso la sentenza emessa il 16 ottobre 2012 dalla corte d’appello di Reggio Calabria;
udita nella pubblica udienza del 22 novembre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
udito il difensore avv. Francesco Tropepi per Mirabello Gabriele;

Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa il 3 agosto 2011 dal Gup del tribunale di
Palmi, confermò la dichiarazione di responsabilità di:
1. Managò Massimo Emiliano, in ordine ai reati di cui ai capi 7 (detenzione a fini di spaccio di un quantitativo indeterminato di sostanza stupefacente), 9 (idem), 11 (idem), 13 (cessione di un quantitativo indeterminato di sostanza stupefacente), 14 (idem), 15 (detenzione), 16 (detenzione e trasporto), 17
(detenzione), 18 (detenzione di fucile mitragliatore), 19 (ricettazione del mitragliatore), 24 (porto di arma comune da sparo), 25 (esplosione di colpi in luogo
abitato) e rideterminò la pena inflitta in anni 5, mesi 6 e giorni 20 di reclusione
ed € 19.000,00 di multa;
2. Managò Salvatore detto Franco, in ordine ai reati di cui ai capi 16, 17,

Data Udienza: 22/11/2013

2. Managò Massimo Emiliano, a mezzo dell’avv. Giacomo lana, propone
ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 d.p.R. 309 del 1990 e vizio di motivazione. Lamenta che i giudici hanno interpretato gli elementi di riscontro delle intercettazioni in maniera generalizzata e non restando ancorati ai
fatti da provare. Nella specie la prova è fondata esclusivamente su intercettazioni che sono insufficienti ed inconferenti ai fini della prova di responsabilità. In
particolare osserva che le conversazioni captate fanno riferimento ad una condotta meramente ipotetica, assolutamente indeterminata nella sua essenza fenomenica, priva di qualsivoglia riferimento temporale. Tutti i colloqui captati risultano connotati da seria indeterminatezza e vaghezza in ordine al tipo di stupefacente detenuto, quantitativo dello stesso, effettiva disponibilità, intervenuta
o programmata cessione, esatta individuazione temporale dei singoli reati contestati, esatta individuazione del quantitativo detenuto e della loro consegna.
Non si comprende perché i giudici abbiano potuto ravvisare tanti reati in materia di stupefacenti quanti risultavano i dialoghi captati. Si è fatto discendere per
ogni colloquio (o più colloqui se intervenuti nello stesso contesto temporale)
diversi fatti di reato senza alcun approfondimento o indagine circa la sussistenza, invece, di un’unica condotta delittuosa a più riprese. Semmai le varie contestazioni di reato potevano rappresentare forme di un’unica vicenda delittuosa.
Invero, proprio le evidenti incertezze sull’effettivo quantitativo di stupefacente
detenuto, sulla esatta individuazione dei presunti acquirenti, sugli effettivi trasporti o accordi illeciti, non consentivano di poter ritenere integrate plurime
condotte illecite di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90. E’ evidente che in una situazione di tal genere, in cui le singole condotte illecite afferenti allo stesso progetto di compravendita di droga siano contestuali o cronologicamente contigue e
siano riconducibili ad uno stesso soggetto agente o a più soggetti operanti in
concorso e previo accordo tra loro, l’unitarietà e la medesimezza del fatto reato,
cioè della condotta nel suo complesso e nei suoi segmenti formativi, producono
la sussunzione (o assorbimento) del contegno illecito per dir così minore in
quello più grave. In sostanza, doveva semmai ritenersi una unica ipotesi di detenzione prolungata e preordinata ad un unico progetto criminoso.
2) violazione dell’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990 per avere erroneamente la corte d’appello escluso l’ipotesi di lieve entità in ragione della
professionalità dimostrata dagli imputati. Ed invero, secondo la giurisprudenza,
non può assumere valenza negativa, ai fini della concessione dell’attenuante, la
presunta attività continuativa di spaccio, come risulta dall’art. 74, comma 6, che
si riferisce al reato associativo. L’ abitualità e la ripetitività non escludono di
per sé l’ipotesi attenuata. Quanto alle “modalità” della condotta parimenti non
ricorre, alla stregua dei fatti esposti nella sentenza, alcuna condizione talmente
indicativa di gravità della condotta da rendere superflua ogni ulteriore specifi-

íL,

-2 24, 25 e rideterminò la pena inflitta in anni 4, mesi 8 di reclusione ed €
12.500,00 di multa;
3. Mirabello Gabriele, in ordine ai reati di cui ai capi 7, 9 e rideterminò la
pena inflitta in anni 4, mesi 2 di reclusione ed € 12.000,00 di multa.

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3. Managò Salvatore, a mezzo dell’avv. Guido Contestabile, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) Motivazione assente, contraddittoria o comunque insufficiente in relazione all’affermazione di penale responsabilità intervenuta per i capi 16 e 17.
Lamenta innanzitutto che la conferma della condanna nei confronti di Managò
Salvatore, per questi capi, riposa sulla preliminare identificazione del “Franco”
intercettato quale conversante all’interno dell’autovettura condotta dal Managò
Massimo nella persona dell’odierno ricorrente. Si tratta di due captazioni. La
prima del 2 febbraio 2010, relativa ad un discorso generale ed astratto, da cui
non si ricava alcun elemento preciso di addebito nei suoi confronti. L’eccezione
della difesa dell’assenza per Managò Salvatore di qualsivoglia affine a nome
Umberto non è stato adeguatamente valutata dalla corte d’appello ed è stata
quindi rigettata con motivazione contraddittoria e meramente apparente, nonché
in termini probabilistici. La mancata identificazione del «Franco» incide poi anche sul capo 16, al quale si riferisce la conversazione del 26 febbraio 2010, in
ordine alla quale la sentenza richiama sul punto le conversazioni del marzo
2010, nelle quali invece Managò Massimo non utilizza il nome “Franco” nel
mentre interloquisce con un soggetto che quantomeno per una delle due captazioni può identificarsi nell’odierno ricorrente. Del resto la sentenza non ha tenuto conto che le tonalità di voce che caratterizzano le diverse captazioni non
paiono univocamente riferibili ad una singola persona.
2) violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla mancata concessione della attenuante del fatto
di lieve entità di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990, in riferimento al capo 16). Osserva che era pacifico che si trattava di un episodio sporadico e dell’unico episodio di detenzione a fine di spaccio; che il quantitativo era
modesto (10 grammi per totali € 450), che non vi sono sintomi di una attività sistematica di spaccio. I giudici inoltre non hanno considerato che l’attenuante ha
natura oggettiva sicché non rileva la richiamata determinazione.
3) Mancata assunzione di controprova decisiva; motivazione contraddittoria o comunque illogica, in relazione ai capi 24 e 25. Lamenta che erroneamente

cazione di quali siano tali modalità.
3) violazione degli artt. 10, 12, 14 1. 494/74; 648 e 703 cod. pen. Rileva
che non vi sono prove sufficienti sulla illegale detenzione del fucile mitragliatore tipo kalashnikov e sulla consequenziale ricettazione, giacché dalla frase captata non si può escludere che il mancato prelevamento dell’arma fosse imputabile all’assenza in capo al Managò Massimo di un effettivo animus detenendi. Né
risulta una certa pregressa detenzione dell’arma. Nemmeno vi è prova che due
delle esplosioni captate siano certamente riconducibili all’uso da parte del Managò Massimo di un’arma da fuoco e non provenissero invece da un’arma giocattolo o da fuochi pirotecnici della festa patronale. Del resto non è mai stata
rinvenuta una funzionante arma da fuoco.
4) violazione degli artt. 133, 62 bis e 81 cod. pen. e vizio di motivazione in
ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

,s,

non è stata acquisita la perizia fonica in ordine alla natura e provenienza dei
colpi registrati.
4) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata
concessione dell’attenuante ex art. 62 bis c.p.
5) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla eccessiva
misura della pena ex art. 133 cod. pen.
4. Mirabello Gabriele propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla affermazione di responsabilità per i capi 7 e 9. Lamenta che la
corte d’appello lo ha ritenuto spacciatore di un quantitativo indeterminato di sostanza stupefacente sol perché egli avrebbe avuto nella propria disponibilità una
certa quantità (non meglio individuata) di una qualche sostanza (anch’essa non
meglio individuata). Si tratta di motivazione generica ed lacunosa, che non distingue un fenomeno di consumo personale o di gruppo dello stupefacente rispetto all’ipotesi di detenzione a fini di spaccio. La motivazione è anche contraddittoria perché se, come dice la sentenza, il Mirabello costituisce, nella prospettazione dei giudici di merito, “un canale di smercio utilizzato dal Managò
per concludere affari sulla piazza di Polistena”, non si comprende come sia possibile che sia il Mirabello a dettare al Managò le condizioni economiche per la
collocazione su tale mercato dello stupefacente, e non viceversa. Non è poi verificabile l’effettiva disponibilità, in capo al Mirabello, della sostanza stupefacente. Dalla intercettazione del 3 gennaio 2010 non si desume la disponibilità da
parte sua di sostanza stupefacente e nemmeno che egli l’abbia acquistata. Uguali considerazioni valgono per il colloquio del 9 gennaio 2010, che avvalora una
ricostruzione del rapporto tra Gabriele Mirabello, Massimo Managò e Francesco Jolibert del tutto opposta ed incompatibile rispetto a quella tratteggiato dalla
sentenza poche pagine prima. Infatti, nella prospettazione derivante dal colloquio del 9 gennaio, il Mirabello, da potenziale rifornito, si trasforma in fornitore
del Managò, che tenta di collocare la sostanza stupefacente ad un prezzo superiore a quello versato dal Mirabello per l’acquisto della stessa (600 euro). Tale
ultima ricostruzione appare del tutto incompatibile rispetto al sistema dei rapporti Mirabello-Managò per come precedentemente delineati in sentenza. In sostanza apoditticamente ed erroneamente la sentenza impugnata vede nei due episodi contestati il dipanarsi di un rapporto commerciale finalizzato allo spaccio
piuttosto che due isolati contatti finalizzati ad approvvigionare di stupefacente
consumatori abituali, con una condotta riferita al Mirabello – a tutto voler concedere – perfettamente inscrivibile nell’ipotesi del consumo c.d. di gruppo.
2) violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla mancata concessione della attenuante del fatto
di lieve entità di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990. Osserva che
l’attenuante ha natura oggettiva sicché non rileva la richiamata determinazione
dimostrata. Inoltre l’abitualità e la ripetitività non escludono di per sé l’ipotesi
attenuata. Dalle intercettazioni emerge una gestione del tutto avventata ed inesperta del modesto trasporto in atto e che le comparse del Mirabello sono del

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tutto sporadiche.
3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis.
4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione
della pena ex art. 133.

1.1. Il primo motivo di Managò Massimo Emiliano si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali — e in particolare del contenuto delle intercettazioni telefoniche – riservata al giudice del merito ed è comunque del tutto generico, ai limiti della inammissibilità, in quanto la censura si
rivolge indifferentemente e globalmente alla motivazione relativa alla condanna
per i capi 7, 9, 11, 13, 14, 15 e 16, senza nemmeno specificare quali vizi di motivazione vengono dedotti in relazione ai suddetti specifici capi. La corte d’appello ha invece esaminato singolarmente i diversi capi di imputazione per i quali è stata confermata la condanna, dando congrua, specifica, adeguata e puntuale
motivazione, in riferimento ad ogni episodio contestato nei diversi capi, delle
ragioni per le quali ha ritenuto che il contenuto delle diverse intercettazioni fornisse la piena prova della responsabilità dell’imputato. Poiché queste motivazioni — differenziate per i diversi episodi — non sono state specificamente contestate con il ricorso, si ritiene inutile in questa sede richiamarle, anche solo
sommariamente.
Altrettanto infondato e generico è l’assunto secondo cui si tratterebbe non
già di diversi e distinti reati unificati dal vincolo della continuazione, bensì solo
di un unico reato, in quanto le plurime condotte accertate sarebbero riconducibili ad un unico episodio di spaccio, sviluppatosi nel corso del tempo. Si tratta di
una affermazione generica e meramente apodittica, che nemmeno spiega perché
le diverse vicende di cui ai diversi capi di imputazione oggetto di condanna sarebbero state poste in essere in un unico contesto modale e in una concatenazione non interrotta e cronologicamente continua. Al contrario, anche dalla sola
lettura dei capi di imputazione dianzi riportati, emerge che si trattava di episodi
e di condotte diverse, poste in essere anche a distanza di un certo numero di
giorni fra esse, per cui esattamente è stata ritenuta la consumazione di distinti
reati, poi unificati fra loro per la continuazione. D’altra parte, anche per il capo
14 — col quale vengono contestate più condotte commesse dal 21.1.2010
all’1.3.2010 — stante la assoluta genericità del motivo di ricorso, non può ritenersi che vi sia stata una sovrapposizione e duplicazione con qualcuno degli episodi contestati ai capi 13, 15 e 16.
1.2. Il secondo motivo di Managò Massimo Emiliano, è anch’esso del tutto
generico e comunque chiaramente infondato. E difatti, come si è già dianzi evidenziato, la corte d’appello ha esaminato singolarmente i diversi capi di imputazione e per ognuno ha fondato la sua decisione con una specifica motivazione
sia in ordine alla prova dei reati ed alla responsabilità degli imputati, sia in or dine alla impossibilità di riconoscere l’ipotesi lieve di cui all’art. 73, quinto

Motivi della decisione

comma, d.p.R. 309 del 1990. Il ricorrente, invece, con questo motivo lamenta la
mancata concessione dell’attenuante complessivamente per tutti i reati ritenuti,
sicché non è specificato a quali reati si riferisce il vizio dedotto.
In ogni modo, la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata
motivazione anche sulla mancata applicazione dell’attenuante del fatto lieve, ed
in particolare ha osservato: – quanto al reato di cui al capo 7), che si trattava di
cessioni che non dovevano essere inferiori a 30-40 grammi per volta, e ciò implicava una evidente proiezione operativa dei complici verso la reiterazione delle condotte di cessione, il che rivelava una disponibilità non modica di sostanza
stupefacente, sicché il fatto (aggravato anche ai sensi dell’art. 73, comma 6) non
poteva ricondursi nella ipotesi attenuata in considerazione delle circostanze e
delle modalità dell’azione; – quanto al reato di cui al capo 9), che la statuizione
sul punto non era stata contestata da Managò Massimo con l’appello, che peraltro era inammissibile per evidente genericità; – quanto al reato di cui al capo
11), che l’appello non verteva sulla questione; – quanto al reato di cui al capo
13), che la permanente, ulteriore disponibilità di droga anche dopo la cessione
in questione e l’allarmante professionalità dimostrata dagli imputati nella attività illecita, non consentivano la ravvisabilità dell’ipotesi attenuata; – quanto al
capo 14), che tali fatti indicavano lo stabile inserimento dei tre imputati nel
mercato nero delle sostanze stupefacenti, sia quali diretti detentori di droga destinata allo spaccio, sia quali procacciatori di clienti per il Managò; e che vi era
la disponibilità di droga di varie tipologie, nonché una allarmante dedizione
professionale nella attività illecita posta in essere, il che escludeva l’ipotesi attenuata; – quanto ai capi 15, 16 e 17), che ostavano alla applicazione della attenuante, oltre alla particolare dedizione, altamente professionale, allo spaccio,
anche le modalità e le circostanze dell’azione posta in essere e l’allarmante determinazione dimostrata nel portare a buon fine il disegno criminale.
1.3. Il terzo motivo di Managò Massimo Emiliano si risolve anch’esso in
una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede
una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice
del merito, ed è comunque anch’esso infondato. Quanto ai reati di cui ai capi 18
e 19 (detenzione e ricettazione del fucile mitragliatore), la corte d’appello ha innanzitutto osservato che era sostanzialmente insussistente un gravame di Managò Massimo in ordine a questi due capi e che il rilievo avanzato circa il capo 19
era assolutamente generico, ancor prima che manifestamente infondato. La sentenza impugnata, poi, ha ricordato la conversazione tra il Jolibert e il Managò,
nella quale il primo chiede al secondo se avesse poi portato il mitragliatore alla
persona cui doveva essere consegnato e il secondo risponde che l’arma era rimasta custodita presso tale Enzo. Quanto ai reati di cui ai capi 24 e 25, la corte
d’appello ha, con congrua ed adeguata motivazione, osservato: – che la captazione ambientale aveva registrato, poco dopo le 7,30 del 19.3.2010, l’effettiva
esplosione di colpi d’arma da fuoco da parte degli imputati (e certamente da parte di Managò Massimo) e dunque aveva anche provato la detenzione ed il porto
dell’arma contestata al capo 24, verosimilmente una pistola; – che invero dalla
registrazione risultava chiarissimo che l’esplosione dei colpi era seguita o preceduta da espressi riferimenti dell’imputato al fatto che era lui che sta sparando;

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che ciò dimostrava che almeno alcune (non meno di due) delle esplosioni registrate risultavano certamente riconducibili all’uso da parte di Managò Massimo
di un’arma da fuoco che in quel momento i due fratelli recavano con loro a bordo dell’auto su cui viaggiavano; – che pertanto era irrilevante che alcune delle
altre esplosioni registrate fossero eventualmente invece riferibili a fuochi di artificio.
1.4. Il quarto motivo di Managò Massimo è infine manifestamente infondato, in quanto la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi compreso il diniego delle attenuanti generiche, in considerazione della circostanza che non era dato rinvenire nelle condotte (anche
processuali) poste in essere alcun elemento atto a giustificare una attenuazione
del trattamento sanzionatorio, nonché in considerazione della complessiva riunione dei fatti commessi sotto il vincolo della continuazione con una individuazione della pena nel complesso benevola, anche per l’esclusione della recidiva.
In ogni caso, il ricorso sul punto è anche assolutamente generico, perché non è
stato specificato quali circostanze — che avrebbero potuto portare alla applicazione delle attenuanti generiche — non sono state considerate dal giudice del
merito.
Il ricorso di Managò Massimo Emiliano va dunque rigettato.
2.1. Il primo motivo del ricorso di Managò Salvatore si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una
nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali ed è comunque infondato in quanto la sentenza impugnata ha fornito congrua, specifica ed adeguata
motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto il ricorrente responsabile per i
reati di cui ai capi 16 e 17, ed in particolare sulle ragioni per le quali Managò
Salvatore deve appunto identificarsi con il «Franco» intercettato il 2.2.2010 e il
26.2.2010 quale conversante all’interno dell’auto condotta dal fratello Managò
Massimo.
Va ricordato che, in ordine al reato di cui al capo 16, con l’appello Managò
Salvatore aveva contestato la sua partecipazione al fatto, eccependo che egli era
solo trasportato sull’autovettura condotta dal fratello Massimo e non era consapevole del trasporto di sostanze stupefacenti. Sul punto, la corte d’appello ha,
con congrua ed adeguata motivazione, osservato che i dialoghi intercettati avevano un tenore limpido e che lo sviluppo del dialogo intercettato il 26.2.2010
confermava al di là di qualsiasi dubbio che Managò Salvatore fosse perfettamente consapevole della presenza della sostanza illecita trasportata (tant’è che
lui stesso ne segnalava per primo la presenza dei carabinieri), avendo pure consapevolmente e volontariamente accompagnato il germano a ritirarla; e che era
poi palese il contributo dato alle manovre di aggiramento del posto di blocco,
laddove il fatto che nemmeno per un attimo avesse invitato il fratello a disfarsi
del pericolo carico manifestava il comune interesse a mantenerne la detenzione
e portarne a buon fine il trasporto; il che peraltro era in linea con lo stretto legame criminale esistente tra i due germani ampiamente testimoniato da tutta la n
vicenda processuale.

Quanto al reato di cui al capo 17, con l’appello Managò Salvatore aveva
contestato la sua identificazione con il soggetto indicato come il “Franco” a colloquio con Managò Massimo sull’autovettura di questi nel progressivo 1264; e
ciò perché nel corso del colloquio si faceva riferimento al fatto che l’interlocutore avrebbe avuto un cognato a nome Umberto, mentre Managò Salvatore non
aveva cognati con questo nome. La corte d’appello ha rigettato questo motivo di
impugnazione osservando plausibilmente: – che la qualità di “cognato” potrebbe
essere stata utilizzata da Massimo anche in senso improprio, ovvero per riferirsi
a soggetto solo affine del fratello Salvatore e che avesse con quest’ultimo una
qualche, anche indiretta, relazione anche discendente da un semplice rapporto
sentimentale con persona al medesimo legata; – che comunque non risultava affatto che l’imputato non avesse all’epoca cognati o affini (in senso largo) a nome
Umberto, mentre la correttezza della sua identificazione con il Franco protagonista dei colloqui intercettati non pareva dubbia per una serie di altre ragioni.
2.2. Il secondo motivo di Managò Salvatore — con il quale si censura la
mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R.
309 del 1990 per il reato di cui al capo 16 — è infondato. La corte d’appello ha
invero basato la sua decisione su congrua ed adeguata motivazione, osservando
che ostavano alla applicazione della attenuante sia la considerazione complessiva della particolare dedizione, altamente professionale, allo spaccio di stupefacenti attribuibile ad entrambi gli imputati, sia le modalità e circostanze dell’azione posta in essere, nonché l’allarmante determinazione dimostrata dagli stessi
nel portare a buon fine il proprio disegno di profitto criminale.
2.3. E’ infondato anche il terzo motivo di Managò Salvatore, con il quale si
censura, in riferimento ai capi 24 e 25, la mancata acquisizione della perizia fonica in ordine alla natura e provenienza dei colpi registrati. La corte d’appello
ha infatti ricordato: – che già in occasione della formulazione della richiesta di
abbreviato all’udienza preliminare, i germani Managò avevano inizialmente subordinato l’accesso al rito speciale allo svolgimento di una perizia fonica volta
ad accertare se gli spari registrati il 19.3.2010 fossero da riferire all’esplosione
di colpi di arma da fuoco o viceversa a fuochi d’artificio; – che dopo il rigetto
della richiesta gli imputati avevano comunque richiesto il rito abbreviato senza
integrazioni istruttorie, il che già era ostativo alla richiesta di acquisizione in
appello della c.t. di parte allegata ai motivi aggiunti; – che l’acquisizione era
comunque palesemente ininfluente ai fini del decidere non essendovi dubbi —
come dianzi ricordato in relazione all’analogo motivo di ricorso di Managò
Massimo – che la captazione ambientale aveva registrato, poco dopo le 7,30 del
19.3.2010, l’effettiva esplosione di colpi d’arma da fuoco da parte degli imputati. Si rinvia quindi a quanto dianzi osservato, con la precisazione che il concorso di Managò Salvatore nel reato – pur essendo stati i colpi di arma da fuoco
sparati dal fratello Massimo – è stato ravvisato anche perché Salvatore, a domanda del fratello, non aveva esitato a indicare dove si trovavano le cartucce.
2.4. Il quarto e il quinto motivo di Managò Salvatore sono manifestamente
infondati, in quanto la corte d’appello — al pari di quanto avvenuto per Managò
Massimo – ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio
del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi

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compreso il diniego delle attenuanti generiche, in considerazione del fatto che
non era dato rinvenire nelle condotte (anche processuali) poste in essere alcun
elemento atto a giustificare una attenuazione del trattamento sanzionatorio,
nonché in considerazione della complessiva riunione dei fatti commessi sotto il
vincolo della continuazione con una individuazione della pena nel complesso
benevola, anche per l’esclusione della recidiva. In ogni caso, il ricorso sul punto
è anche assolutamente generico, perché non è stato specificato quali circostanze
— che avrebbero potuto portare alla applicazione delle attenuanti generiche o ad
una attenuazione della pena — non sono state considerate dal giudice del merito.
Il ricorso di Managò Salvatore va dunque rigettato.
3.Va rigettato altresì il ricorso di Mirabello Gabriele.
3.1. Anche il primo motivo di tale ricorso si risolve in una censura in punto
di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa
valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito ed è comunque infondato, in quanto il giudice del merito ha fornito congrua, specifica
ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la responsabilità del Mirabello per i reati di cui ai capi 7 e 9.
Quanto al reato di cui al capo 9, la corte d’appello ha, invero, osservato: che andava confermata l’interpretazione del contenuto del dialogo intercettato
data dal giudice di primo grado; – che da tale dialogo si evinceva che al Mirabello era stato commesso di individuare sulla piazza di Polistena al medesimo
congeniale possibili acquirenti della droga (leggera) già nella disponibilità dei
correi e che quest’ultimo aveva già raggiunto con gli stessi gli accordi relativi su
quantità (30, 40 gr. per cessione) e prezzo (5-5,50 euro a grammo); – che invero
solo interpretati in questo modo assumevano significato compiuto i passaggi del
dialogo in cui si faceva cenno ad accordi di massima già conclusi e ci si proiettava già verso la consegna della droga, da effettuare al più tardi il giorno successivo, con la sola avvertenza, rappresentata dallo stesso Mirabello, che gli acquirenti erano comunque particolarmente esigenti sulla qualità; – che era quindi
evidente che il dialogo seguiva a delle indicazioni operative già precedentemente concordate, in particolare tra Managò e Mirabello, il che giustificava che
quest’ultimo avesse già concluso degli accordi di massima ai prezzi dallo stesso
indicati nel dialogo; – che tale indicazione non contrastava con il ruolo di “canale di smercio” riconosciuto al Mirabello (tanto più che era sempre il Managò a
ribadire i quantitativi minimi da cedere a quel prezzo); – che la finalità di cessione a terzi era ampiamente provata dal contenuto delle intercettazioni.
Quanto al reato di cui al capo 9, la corte d’appello ha osservato che non vi
era alcun ostacolo logico a ritenere che in quella — diversa – occasione fosse stato il Mirabello a reperire (pagandola 600 euro) la sostanza stupefacente, che al
Managò, per un inopportuno transito dei carabinieri, non era riuscito di vendere
agli stessi clienti che gliela avevano comprata la sera prima e che si riprometteva di portare a casa per venderla quella sera.
3.2. E’ infondato anche il secondo motivo del Mirabello, con il quale si
contesta la mancata applicazione della attenuante di cui all’art. 73, quinto cornma, d.p.R. 309 del 1990. Va ricordato che l’attenuante in questione era stata ri-

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4. In conclusione, tutti e tre i ricorsi debbono essere rigettati con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuaCosì deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 22
novembre 2013.

– Iochiesta dal Mirabello, con l’atto di appello, solo in relazione al reato di cui al
capo 7. Sul punto, la corte d’appello ha con congrua ed adeguata motivazione
(come si è già ricordato in riferimento all’analogo motivo del ricorso di Managò
Massimo) che proprio il riferimento a cessioni che non dovevano essere inferiori a 30-40 grammi per volta, implicava una evidente proiezione operativa dei
complici verso la reiterazione delle condotte di cessione, il che rivelava una disponibilità non modica di sostanza stupefacente, sicché il fatto (peraltro aggravato anche ai sensi dell’art. 73, comma 6) non poteva ricondursi nella ipotesi attenuata in considerazione delle circostanze e delle modalità dell’azione.
3.3. Il terzo ed il quarto motivo del Mirabello sono — al pari dei corrispondenti motivi degli altri ricorrenti – manifestamente infondati, in quanto la corte
d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio
del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi
compreso il diniego delle attenuanti generiche, in considerazione del fatto che
non era dato rinvenire nelle condotte (anche processuali) poste in essere alcun
elemento atto a giustificare una attenuazione del trattamento sanzionatorio,
nonché in considerazione della complessiva riunione dei fatti commessi sotto il
vincolo della continuazione con una individuazione della pena nel complesso
benevola, anche per l’esclusione della recidiva. In ogni caso, il ricorso sul punto
è anche assolutamente generico, perché non è stato specificato quali circostanze
— che avrebbero potuto portare alla applicazione delle attenuanti generiche o ad
una attenuazione della pena — non sono state considerate dal giudice del merito.

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