Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31209 del 24/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31209 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCAGLIARINI LUCA N. IL 28/04/1962
LA ROSA IOLE N. IL 02/10/1970
avverso il decreto n. 12/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del
26/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Brindisi con decreto emesso – nel procedimento numero
60/2006 – in data 26 novembre 2007, applicava a Scagliarini Luca la misura di
prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre. Con tale
decisione veniva altresì disposta la confisca di prevenzione nei confronti del
medesimo Scagliarini Luca e del coniuge La Rosa Iole di numerosi beni,
analiticamente indicati nel dispositivo di detto decreto.

appartamenti in Brindisi) nonchè alla moglie La Rosa Iole (un immobile in Roma
e due in Brindisi), di quote societarie, di beni immobili intestati alla I.S.S. e
ritenuti nella disponibilità dei coniugi nonchè di beni intestati alla I.W.M. e
ritenuti nella disponibilità dei coniugi.
Le considerazioni relative alla pericolosità sociale di Scagliarini Luca, contenute
nella decisione di primo grado, prendono in esame numerose vicende giudiziarie
nel modo che segue.
Si afferma che :
– nel 1997 Scagliarini fu denunziato per falso in bilancio e violazioni di natura
fiscale ;
– il 7 luglio del 1997 Scagliarini venne tratto in arresto per il reato di concorso in
riciclaggio, contestato nel periodo 1994 – 1997 . Si tratta di un procedimento di
una certa complessità nel cui ambito è stata contestata allo Scagliarini – quale
amministratore delegato della Tecnimare – la condotta di concorso in riciclaggio
in riferimento all’acquisto di due imbarcazioni ecologiche, operazione che
avrebbe in realtà mascherato il reimpiego di somme di denaro provenienti dal
contrabbando di tabacchi svolto dalla famiglia facente capo a Morleo Giuseppe e
D’oriano Salvatore Domenico. Il Tribunale evidenzia che nel prosieguo del
procedimento la decisione di condanna di Scagliarini Luca (per fatto qualificato
come reimpiego) è stata oggetto di annullamento con rinvio da parte di questa
Corte di legittimità ma ritiene tale dato inifluente, trattandosi di decisione che
pone in evidenza un difetto di motivazione circa la ricorrenza dell’elemento
psicologico del reato;
– il data 8 ottobre 2003 Scagliarini Luca venne tratto in arresto per fatti di
corruzione, relativi al periodo 2002/2003. Si tratta del procedimento cd.
Brindisium

nel cui ambito sono state esaminate condotte corruttive poste in

essere unitamente all’olra sindaco di Brindisi Giovanni Antonino ;
– nel 2004 si verifica un nuovo arresto per tentata concussione e nel 2005 si
apre un procedimento presso la Procura Federale di Lugano per corruzione e

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Si tratta, in sintesi, di numerosi beni immobili intestati a Scagliarini Luca (due

riciclaggio. Nella vicenda risulta coinvolto lo Scagliarini unitamente all’ora
sindaco della città di Brindisi Giovanni Antonino ;
– inoltre, nel febbraio del 2007 sì è verificato un nuovo arresto per titolo
cautelare in riferimento al reato di corruzione continuata (tra ottobre del 1999 e
marzo del 2003) sempre in riferimento alla complessa rete di rapporti
intrattenuta dallo Scagliarini con l’ex sindaco Giovanni Antonino.
Si evidenzia inoltre che lo Scagliarini nella gestione delle società di volta in volta
amministrate (Discovermare, I.S.S. e I.W.M.) avrebbe realizzato condotte di

soci) utilizzati per il sostentamento personale in modo consistente.
Le condotte corruttìve, protrattesi sino al 2003, e quelle elusive degli obblighi
fiscali e societari, protrattesi sino al 2006, portano il Tribunale ad affermare
l’attualità (al novembre del 2007) della pericolosità sociale cd. ‘semplice’, intesa
quale la condotta tenuta da chi «vive, sia pure in parte, dei proventi di attività
delittuose».
Quanto alla confisca dei beni, il Tribunale ritiene – ratíone temporis – applicabile
la previsione di cui all’art. 14 della legge n.55 del 1990, dato che uno dei reati
contestati allo Scagliarini (quello commesso tra il ’94 e il ’97) rientra in tale
previsione di legge, trattandosi della fattispecie di cui all’art. 648 ter cod.pen. .
Si ritiene, in particolare, dimostrata la sproporzione di valori tra investimenti e
risorse lecite, ciò in riferimento al fatto che le società dello Scagliarini avrebbero
incrementato i profitti in modo illecito (attraverso la corruzione di funzionari
pubblici) da un lato e dall’altro le entrate personali dei coniugi Scagliarini – La
Rosa sarebbero derivate dagli introiti delle società in modo da eludere la
normativa fiscale.
2. La Corte di Appello di Lecce decideva in secondo grado su tale vicenda con
decreto emesso il 26 febbraio 2013 (a seguito di riserva assunta il 5.12.2012).
Il lungo intervallo temporale tra le due decisioni (pari a 5 anni e 3 mesi)
determinava talune acquisizioni fattuali successive, oltre a comportare modifiche
nel quadro normativo di riferimento.
Il dispositivo emesso dalla Corte territoriale è di «conferma» del decreto
impugnato, che prevedeva sia misura personale che confisca dei beni.
In motivazione si precisa che la misura personale è stata

medio tempore

revocata dal Tribunale con decreto emesso in data 22 febbraio 2010 e tale
revoca è stata emessa in rapporto a «informazioni fornite dalla Questura di
Brindisi con nota del 16 gennaio 2010 nonchè del comportamento collaborativo
del proposto» . Si tratta pertanto di revoca anticipata ex nunc che non smentisce
la valutazione soggettiva di pericolosità al momento della decisione di primo
grado (al novembre 2007).
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elusione fiscale non dichiarando redditi in nero (per lo più anticipazioni verso

Può affermarsi pertanto che la Corte di Appello ha condiviso la valutazione del
Tribunale in tema di pericolosità sociale dello Scagliarini e le valutazioni espresse
in tema di ‘confiscabilità’ dei beni assoggettati al vincolo al termine del
procedimento di primo grado.
Ciò posto, la Corte territoriale espone una premessa iniziale in diritto ed adotta
successivamente un particolare metodo di redazione del provvedimento,
esponendo partitamente i motivi di appello in una con le considerazioni che
conducono al rigetto di ogni singola doglianza.

espresse nella sequenza contenuta nel provvedimento qui impugnato.
2.1 Nella premessa in diritto si evidenzia l’applicabilità al caso in esame del
nuovo assetto normativo in tema di confisca di prevenzione di cui alla legge n.
125 del 2008 (successiva alla definizione del primo grado di giudizio).
Ciò, in particolare, al fine di ritenere che con l’abrogazione dell’art. 14 della legge
n.55 del 1990 (norma cui era correlata la decisione di confisca in primo grado,
dato che nella constatazione di pericolosità generica dello Scagliarini era
ricompresa la considerazione della esistenza di una decisione di condanna per il
delitto previsto dall’art. 648 ter cod.pen.) sia venuta a ‘riespandersi’ la generale
previsione di cui all’art. 19 della legge n.152 del 1975 con possibile emissione del
provvedimento di confisca in rapporto alle ipotesi contemplate dall’art. 1 n.1 e
n.2 della legge n.1423 del 1956 (si cita sul tema Sez. U. n. 13426 del 2010).
Tale assetto risulta applicabile nel giudizio di secondo grado in rapporto alla
natura giuridica delle misure di prevenzione – assimilabile a quella delle misure di
sicurezza – secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 200 cod.pen.
2.2 Ciò posto, la Corte afferma che :
– in riferimento al presupposto della ‘attualità della pericolosità’ la questione
posta dalla difesa (che evidenzia una cessazione della attività pericolosa all’anno
2003) non appare rilevante posto che le modifiche normative dell’anno 2008 (e
successive) hanno introdotto in ogni caso la possibilità di operare confisca
«disgiunta» il che consentirebbe il mantenimento del provvedimento ablativo
anche in ipotesi di cessazione della pericolosità prima della decisione di primo
grado ;
– in riferimento alla pretesa inapplicabilità del sequestro e della confisca a beni
ricadenti in un fondo patrimoniale, la questione è infondata posto che i tre beni
immobili in questione (tra quelli ricompresi nel decreto di primo grado) risultano
rimasti in proprietà di entrambi i coniugi che ne hanno mantenuto la
disponibilità.
Nella parte successiva della motivazione la Corte territoriale si sofferma sui
motivi relativi alla fondatezza della valutazione di pericolosità cd. semplice – il

Ciò comporta la necessità di evidenziare – sia pure in sintesi – le valutazioni

vivere, sia pure in parte, dei proventi di attività delittuose – espressa dal giudice
di primo grado.
Nel compiere tale valutazione, si afferma che :
– le condotte emerse nei diversi procedimenti penali, nonchè le irregolarità
gestionali societarie riscontrate dal consulente del P.M. e dall’amministratore
giudiziario consentono di ritenere sussistente la pericolosità semplice dello
Scagliarini dal 1994 al 2006, con pericolosità protrattasi sino alla decisione di
primo grado (novembre 2007) ;

del reimpiego (art. 648 ter) contestatagli nell’anno 1997 (sentenza emessa dalla
Corte di Appello di Lecce, Sez. Dist. di Taranto in data 12.4.2011) se ne afferma
la sostanziale irrilevanza, essendo dipesa l’assoluzione da un precedente
annullamento con rinvio motivato in rapporto alla esistenza di dubbi circa la
ricorrenza dell’elemento psicologico del reato;
– si evidenzia altresì che lo Scagliarini è stato condannato per i delitti di
corruzione, concorso in concussione, finanziamento illecito di campagne
elettorali, riciclaggio commesso in Svizzera (fatti complessivamente commessi
tra il 1998 e il 2003) e le declaratorie di parziale estinzione per prescrizione di
altri fatti corruttivi (commessi tra il 1999 e il 2003) hanno confermato la
ricorrenza storica dei fatti . La successiva collaborazione (non si afferma quando
è intervenuta, nde) non comporta una ‘automatica recisione con il precedente
sistema di vita’ e non è dunque idonea a determinare valutazione di
insussistenza della pericolosità al momento della decisione di primo grado.
Quanto al rapporto tra la constatata pericolosità sociale e le acquisizioni
patrimoniali, la Corte territoriale premette che non vi è necessità alcuna di
«correlazione temporale» tra l’epoca del commesso reato e l’acquisizione dei
beni (si citano arresti giurisprudenziali sul tema).
Da ciò deriva la fondatezza della impostazione seguita dal giudice di primo
grado, posto che « il tenore di vita dello Scagliarini è risultato sproporzionato
rispetto alle fonti di reddito ed alla attività economica svolta e tenuto conto
altresì che i suoi beni costituiscono certamente il frutto di attività illecita e
comunque ne costituiscono il reimpiego» .
Si citano sul punto le considerazioni espresse dal consulente del Pubblico
Ministero prof. Adamo, che ha svolto verifica sulla capacità di produzione del
reddito dello Scagliarini e sul valore degli investimenti realizzati a partire
dall’anno 1987 e sino al 2005 e su quella della La Rosa dal 1999 al 2005.
A parere del consulente vi è un incongruo squilibrio che assurge al rilievo di fatto
sintomatico di provenienza illecita del patrimonio, dovendosi tenere conto delle
spese di sostentamento.
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– quanto alla intervenuta assoluzione dello Scagliarini in relazione alla vicenda

Tale valutazione è stata operata in riferimento ai gravi illeciti compiuti dallo
Scagliarini, attraverso le società allo stesso riconducibili, che comportano la
impossibilità per il consulente di imputare i relativi emolumenti a lecita
giustificazione delle disponibilità accumulate.
In particolare, viene evidenziato che secondo il consulente « le casse sociali della
ISS (e la considerazione è estesa alla Discovermare) hanno svolto per i sociamministratori Scagliarini-La Rosa funzione di vero e proprio portafoglio
personale, essendo rilevante l’entità delle anticipazioni concesse agli stessi in

estranee all’attività e alla gestione aziendale» .
Tali anticipazioni sarebbero rientrate nella disponibilità dei coniugi senza essere
oggetto di dichiarazione e tassazione in capo alle persone fisiche.
La Corte, sul tema, esamina la consulenza difensiva redatta dal dott. Caforio e
ne afferma la infondatezza in rapporto alle controdeduzioni del dott. Adamo (si
veda quanto affermato a pag. 17). In particolare non si ritiene corretto il metodo
proposto, basato sull’analisi delle disponibilità finanziarie, atteso che «assumere
il reddito complessivo, anzichè quello imponibile, quale indicatore della capacità
reddituale e finanziaria, sconta, ad ogni evenienza, il limite di prescindere dalla
considerazione di una serie di esborsi monetari che di fatto sono stati sostenuti
dal soggetto indagato e che hanno dunque ridotto la sua disponibilità finanziaria
nell’anno di riferimento».
Si conferma pertanto la disposta confisca anche in riferimento alla sproporzione
di valori tra il reddito lecito e gli investimenti operati.

3. Avverso detto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione – a
mezzo dei difensori – Scagliarini Luca e La Rosa Iole.
Si premettono alla illustrazione dei sette motivi di ricorso alcune circostanze di
fatto, riepilogative della vicenda procedimentale e di taluni fatti correlati.
Scagliarini Luca esercita l’attività di Agente Raccomandatario Marittimo dall’anno
1983 mentre la coniuge La Rosa Iole ha svolto attività di avvocato e
successivamente responsabile commerciale per alcune società e pubblicista.
Quanto alle date di acquisizione dei beni, diversamente intestati a persone
fisiche o giuridiche, si evidenzia che :
– un bene immobile risultata acquistato nel 1988 ;
– un bene immobile risulta acquistato nel 1995 ;
– due beni immobili risultano acquistati nel 2000;
– un bene immobile risulta acquistato nel 2001 ;
– un bene immobile risulta acquistato nel 2002;

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relazione al sostenimento di spese di carattere meramente personale e del tutto

- le quote della DISCOVERMARE (attuale DAFF srl) sono possedute dal 1983,
quelle della TRANSERVIS srl dal 1986, quelle della ISS dal 1999, della IWM dal
1999, della ISS ENERGY dal 2000, della MEDITERRANEAM CONSORTIUM dal
2002, della BRINDISI TURISMO dal 2000, della MLC dal 2002, della
INTERPROGETTI BRINDISI dal 2002, della SPG dal 2006.
Quanto alle vicende di tali acquisti si precisa, tra l’altro, che :
– l’immobile acquistato formalmente nel 1988 sarebbe frutto di donazione
indiretta da parte dei genitori;

indiretta da parte di una zia;
– l’immobile acquistato da La Rosa Iole nel 2000 è stato oggetto di preliminare
del 1998, con accollo di mutuo così come – in parte – l’ulteriore immobile
acquistato nel 2001 e quello acquistato nel 2002.
– la TRANSERVIS srl è stata posta in liquidazione prima dell’avvio della procedura
di prevenzione così come la I.W.M. srl e la ISS ENERGY srl .
Circa le vicende processuali, in sintesi, quanto ai fatti qui rilevanti :
– vi è stata assoluzione con sentenza irrevocabile dalla contestazione di falso in
bilancio per i fatti contestati nel 1997 e relativi al periodo 1995/1997 ;

vi è stata assoluzione con sentenza irrevocabile in riferimento alla

contestazione di riciclaggio, poi mutata in reimpiego, per i fatti 1994/1997 ;
– Scagliarini ha prestato attività collaborativa nel processo cd. Brundisium per
fatti di corruzione in concorso con Antonino Giovanni sin dall’aprile del 2007 con
restituzione piena delle somme di denaro depositate in Svizzera;
– Scagliarini dal 2003 ha cessato ogni carica sociale ad esclusione di quelle
ricoperte nella I.W.M. srl .
Si compie inoltre ampio riferimento alle intervenute condanne per fatti corruttivi
(1999 – 2003) evidenziando che le stesse derivano tutte dal rapporto intercorso
con l’ex sindaco di Brindisi Antonino.
I ricorrenti sintetizzano le doglianze che erano state poste all’attenzione del
giudice di secondo grado al fine di prospettare l’omessa valutazione nel merito di
diversi punti e svolgono ampie considerazioni preliminari in diritto circa gli
aspetti ritenuti rilevanti e consistenti nella applicazione di novum normativo in
secondo grado (legge n.125 del 2008) e nella problematica estensione – in diritto
– all’area della pericolosità cd. ‘semplice’ di istituti e principi elaborati nel senda
di normativa antimafia.
Quanto ai motivi di ricorso, nei limiti di sintesi imposti dalla previsione di legge di
cui all’art. 173 co.1 disp.att. cpp, può dirsi che :

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– l’immobile formalmente acquistato nel 1995 sarebbe frutto di donazione

a) al primo motivo si deduce violazione di legge in riferimento alla ritenuta
applicabilità in secondo grado della novella legislativa di cui alla legge n.125 del
2008.
Il ricorrente evidenzia come il giudizio dì primo grado – quanto alla misura della
confisca – abbia visto applicata la previsione di legge, allora vigente, di cui all’art.
14 della legge n.55 del 1990, in ragione di una pendenza giudiziaria dello
Scagliarini per il reato di cui all’art. 648 ter cod.pen. . Il Tribunale, pur in
presenza – dato noto al collegio – di un annullamento con rinvio da parte di

poter includere tale fattispecie nel giudizio dì pericolosità, ritenuta sussistente al
momento della decisione (novembre 2007).
La Corte di Appello, a fronte della definitiva assoluzione dello Scaglarini da tale
contestazione, riteneva in ogni caso di poter applicare la normativa sopravvenuta
(luglio 2008) al fine di confermare la confisca, posto che con le norme entrate in
vigore nel 2008 da un lato risulta possibile la confisca per l’intera area della
pericolosità semplice (n. 1 e 2 dell’art. 1 legge n.1423 del 1956) dall’altro è
ammissibile anche la confisca disgiunta.
Il ricorrente contesta tale applicazione delle norme sopravvenute nel giudizio di
secondo grado, trattandosi di interpretrazione retroattiva, in contrasto con i
principi generali del sistema sanzionatorio che impediscono l’applicazione di
norma sfavorevole entrata in vigore in un momento posteriore (2008) rispetto a
quello delle manifestazioni di pericolosità (1999-2003 per quanto riguarda i fatti
di corruzione, al più 2006 per le pretese violazioni fiscali e tributarie).
Si citano arresti giurisprudenziali in tal senso, evidenziandosi in particolare che è
del tutto evidente l’assenza di pericolosità dello Scagliarini al momento della
decisione di secondo grado e pertanto risulta realizzata – di fatto – anche una
confisca disgiunta.
Seppure si volesse considerare lo Scagliarini pericoloso al momento della
decisione di primo grado (novembre 2007) la Corte avrebbe regolato la
fattispecie in rapporto alla normativa sopravvenuta, essendo venuto meno il
presupposto in fatto e in diritto (la condanna per riciclaggio) che consentiva – in
quel momento – la confisca dei beni ai sensi della legge n.55 del 1990.
La Corte di Appello, in altre parole, avrebbe agito come un giudice di primo
grado, con violazione – oltre che del principio di irretroattività – delle regole
interne al sistema delle impugnazioni.
b) al secondo motivo si deduce violazione di legge per l’assenza dei presupposti
applicativi della misura personale e nullità per assenza di motivazione su tale
aspetto.

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questa Corte di legittimità della decisione di condanna per tale reato, riteneva di

Si evidenzia che a fronte della assoluzione emessa – su rinvio da questa Corte di
legittimità – per la vicenda del presunto riciclaggio o reimpiego (fatti 1994-1997)
è venuto meno uno dei dati essenziali che avevano concorso alla formulazione
del giudizio di pericolosità.
La immissione di denaro ‘sospetto’ nella società Tecnimare, proveniente dal socio
D’oriano, non può essere ritenuto, per lo Scagliarini, fatto rilevante essendo
stata accertata l’assenza di ogni consapevolezza, in capo allo Scagliarini, della
provenienza illecita.

pretesa pericolosità semplice ai fatti corruttivi avvenuti tra il 2000 e il 2003, lì
dove la Corte di secondo grado ha continuato a considerare – in violazione di
legge – anche i fatti coperti da giudicato di assoluzione.
I fatti di presunto riciclaggio avevano, peraltro, pesantemente condizionato la
valutazione del consulente del Pubblico Ministero in tema di ricostruzione della
capacità patrimoniale e anche su tale aspetto l’intervenuta assoluzione non ha
comportato rivalutazione alcuna in punto di liceità dell’attività economica svolta
in tali anni dallo Scagliarini.
Quanto ai fatti corruttivi si evidenzia – anche in rapporto al contenuto delle
decisioni citate – che la restituzione dei fondi accantonati nel conto elvetico ha
esaurito l’incidenza della fattispecie di reato sul piano strettamente patrimoniale,
posto che l’accordo corruttivo aveva ad oggetto la fornitura di carbone presso la
centrale termoelettrica di Brindisi Nord, fornitura che è stata comunque
realizzata dalle società dello Scagliarini senza vizi relativi al materiale fornito. In
rapporto a tale considerazione lo stesso Tribunale elvetico ha escluso i valori
patrimoniali (contrattuali) di spettanza degli accusati derivanti dal commercio del
carbone potessero considerarsi di «origine criminale» in rapporto a quanto
previsto dalla legislazione ivi vigente.
La revoca intervenuta medio tempore della misura personale, dunque, non
determinava alcuna carenza di interesse alla rivalutazione effettiva dei
presupposti di applicabilità della misura personale, dato anche il rilievo della
correlazione tra pericolosità e misura patrimoniale.
In particolare si evidenzia come il dato storico della intervenuta assoluzione dalla
contestazione di reimpiego sia stato solo ‘citato’ nella decisione ma non sia stato
affatto valutato.
La valutazione della pericolosità, nel senso imposto dalla norma di riferimento
(art. 1 della legge n.1423 del 1956) non sarebbe pertanto stata effettuata in
concreto, mancando da un lato l’analisi del rilievo di tale assoluzione e dall’altro
l’analisi del rapporto tra i contenuti della previsione di legge (vivere
abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose) e i fatti
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Ciò avrebbe dovuto determinare la «restrizione» dell’ambito valutativo della

accertati nei procedimenti conclusi con condanna per reati contro la pubblica
amministrazione.
c) al terzo motivo si deduce l’assenza di motivazione circa espressi motivi di
censura in tema di pericolosità, formulati nei motivi di appello.
Il motivo espone ragioni in punto di ‘assenza’ di motivazione, che si ritengono
deducibili in rapporto alla nota di limitazione del ricorso per cassazione – in tema
di prevenzione – alla violazione di legge.
Lì dove vi sia censura espressa vi è pertanto obbligo per il giudice di secondo

Il vizio, pertanto, può rinvenirsi lì dove la risposta sia meramente asgQftiva,
indichi in modo del tutto generico la ricorrenza dei presupposti di legge o si limiti
a riepilogare – come nel caso in esame – talune pendenze giudiziarie senza
compiere alcuna analisi del rilievo dei fatti emersi in tali sedi rispetto alla
tematica specifica del giudizio di prevenzione.
Il ricorrente evidenzia pertanto che l’attualità della pericolosità va desunta – per
costante orientamento di questa Corte – da fatti concreti, espressivi non già di un
pericolosità innominata ma del particolare «tipo criminologico» che il legislatore
ha ritenuto di contenere attéaverso l’applicazione della misura di prevenzione.
Nel caso in esame non si è tenuto conto della risalente attività imprenditoriale
lecita posta in essere dallo Scagliarini, fermo restando il suo coinvolgimento nei
fatti di corruzione dei primi anni 2000 (cd. Tangentopoli brindisina) e si sarebbe
in modo del tutto immotivato desunta la pericolosità ‘prevenzionale’ dall’ esito di
tali procedimenti.
I procedimenti giudiziari sono stati solo ‘nominati’, senza peraltro tener conto
degli esiti assolutori di taluni, ampiamente evidenziati in precedenza.
Peraltro anche in sede penale, lì dove si è emessa condanna, si è tenuto conto,
ai fini commisurativi della pena, della condotta processuale ampiamente
collaborativa e della restituzione delle somme depositate in Svizzera, argomenti
che la Corte di secondo grado sostanzialmente ritiene ininfluenti.
Si evidenzia inoltre che le somme depositate in Svizzera sono state ritenute di
pertinenza del soggetto corrotto (dunque il Sindaco) e non dello Scagliarini, che
si era prestato ad occultarle.
Anche da ciò deriva che dalla esecuzione del contratto – di per sè regolare – della
fornitura del carbone (sìa pure aggiudicato in rapporto all’antecedente accordo
corruttivo) non è derivato un utile di per sè illecito, come invece sembra essere
ritenuto dalla Corte territoriale.
d) al quarto motivo si deduce violazione di legge e manifesta illogicità della
motivazione sempre in punto di affermazione della pericolosità sociale.

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grado, secondo quanto afferma il ricorrente, di fornire risposta.

Si censura la sottovalutazione del percorso collaborativo che sin dall’inizio
dell’anno 2007 Scagliarini ha intrapreso, con piena rottura della abituale omertà
correlata al fenomeno degli accordi corruttivi.
Tali apporti sono stati utilizzati nei processi di pubblica amministrazione, così
come hanno consentito il recupero del denaro depositato presso i conti svizzeri.
I giudici della prevenzione, in modo del tutto generico, hanno affermato
l’irrilevanza di tale collaborazione, intervenuta prima della definizione del
procedimento in primo grado.

sussistenza dei presupposti per la confisca dei beni.
La prima doglianza riguarda la – dichiarata – disapplicazione del criterio della cd.
«correlazione temporale» tra la insorgenza della pericolosità e l’acquisto dei
beni.
Si tratta, a parere del ricorrente, di un criterio di validità sistematica della misura
della confisca, il cui abbandono determina una totale assenza di riferimenti logici
e costituzionali.
Sono stati appresi nella presente procedura beni entrati nel patrimonio della
coppia ictu ocull in periodi antecedenti alla pretesa insorgenza della pericolosità,
del tutto proporzionati alle risorse lecite del periodo.
Si ripropone, in ogni caso, l’analisi delle capacità reddituali di Scagliarini e della
La Rosa (e delle società gestite), nel corso del tempo, che ampiamente
giustificava – anche mediante il ricorso al credito bancario – gli acquisti operati.
Si tratta di entrate lecite consistenti, riepilogate in tabella incorporata nel ricorso,
anno per anno, anche in riferimento a valori di imponibile rettificati in virtù di
adesione ad accertamenti successivi a verifiche fiscali.
In rapporto alle pretese evasioni di imposta (non accertate) correlate alla
gestione delle società si richiamano i contenuti della consulenza di parte e si
denunzia la scarsa chiarezza dell’analisi riportata nel provvedimento impugnato
in rapporto alla necessaria distinzione tra gli utili di bilancio della persona
giuridiica (reddito soggetto a tassazione) e il reddito dichiarato a fini fiscali per la
persona fisica che abbia ricevuto anticipazioni.
Si ripropone pertanto la distinzione tra il reddito dichiarato da un imprenditore
commerciale e le risorse lecite di cui lo stesso ha avuto la disponibilità nel corso
dell’esercizio.
Si contesta pertanto il metodo ricostruttivo su cui è basata la consulenza del
Pubblico Ministero, posto che la stessa non tiene conto di tali flussi finanziari e
dell’imponente ricorso al credito bancario.
Si richiama, sul tema, l’assoluzione per reati fiscali relativi al periodo ’94 – ’97.

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e) al quinto motivo si deduce violazione di legge in rapporto alla ritenuta

f) al sesto motivo si deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in
riferimento alla ritenuta pericolosità per reati fiscali.
Il ricorrente contesta in radice la possibilità di applicare le misure di prevenzione
personali e patrimoniali in ipotesi di accertate violazioni di carattere tributario.
Mancherebbe, in tesi, il requisito della pericolosità per l’ordine pubblico e la
disciplina di settore è orientata – con caratteri di specialità – a regolamentare
l’intero fenomeno con relativo apparato sanzionatorio.
L’attività di impresa produttiva di ricchezza è attività di per sè lecita e la

solo recupero dell’imposta evasa.
Nel caso concreto non vi è dubbio che nel corso degli anni lo Scagliarini e la Le
Rosa hanno posto in essere lecite attività di impresa.
Quanto all’ipotesi di reimpiego – unica che poteva astrattamente illuminare in
modo negativo un settore di attività – la stessa è stata esclusa.
La successiva ipotesi di evasione per irregolarità societarie commesse sino
all’anno 2006 è tuttora in corso di esame nel relativo giudizio di merito.
Non poteva pertanto essere affermata la pericolosità e la sproporzione
patrimoniale su dati non certi e frutto di una approssimata considerazione dei
fatti da parte del consulente del Pubblico Ministero.
g) al settimo motivo si deduce violazione di legge in riferimento alla confisca dei
beni immobili confluiti nel fondo patrimoniale.
Il fondo patrimioniale determina vincolo in favore dei figli minori, non coinvolti
nel procedimento e la priorità di tale interesse rende insuscettibili i beni di
sequestro o confisca.
h) all’ ottavo motivo si deduce violazione di legge e nullità del decreto di
secondo grado in riferimento alla identificazione dei giudici che hanno
partecipato alla deliberazione in secondo grado.
Il decreto emesso in sede di prevenzione ha pacificamente natura giuridica di
sentenza. La deliberazione collegiale ne è pertanto presupposto di validità ma nel
caso in esame il decreto – dato l’impedimento per malattia del Presidente del
Collegio – è sottoscritto in data 26 febbraio 2013 dal consigliere più anziano e dal
consigliere estensore.
Non vi è prova, a fronte di una riserva incamerata in data 5 dicembre 2012, circa
la effettiva presenza fisica del Presidente del Collegio al momento della
deliberazione.

4. La trattazione del presente procedimento è stata in più occasioni differita in
attesa del deposito delle decisioni emesse dalle Sezioni Unite di questa Corte in
riferimento alla possibile applicazione nel giudizio di prevenzione di
12

sottrazione di imposta non la rende contra legem, abilitando l’ordinamento al

sopravvenienze normative ed in merito alla opponibilità dei redditi da evasione
fiscale (Sez. U. n. 4880 del 2014 depositata il 2.2.2015; Sez. U. n. 33451 del
2014, dep. il 29.5.2014).
All’esito i difensori hanno depositato, per l’odierna udienza, ulteriore memoria,
nel corso della quale si prospetta la ricaduta nel caso in esame di alcuni principi
in diritto espressi nelle decisioni citate.
Si insiste, in particolare sulla intervenuta dimostrazione della lecita provenienza
dei beni acquistati nel corso del tempo e si evidenzia come manchi – in ogni caso

rilevanti a fini di prevenzione. Si ribadisce, quantomeno, il dato dell’assenza di
alcuna perimetrazione cronologica tra il momento di insorgenza della pretesa
pericolosità e quello dell’acquisto dei beni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è, nel suo complesso, fondato, per le ragioni che seguono.
2. Le tematiche trattate si riferiscono, in particolare, alla identificazione dei
parametri concreti in fatto sulla cui base può essere affermata la ricorrenza di
«pericolosità generica» nel senso imposto dall’art. 1 della legge n.1423 del 1956.
Vi è inoltre la necessità di chiarire – sempre in via preliminare – l’effettivo
contenuto decisòrio del provvedimento di secondo grado, i limiti di rilevabilità
dell’assenza di motivazione da parte di questa Corte di legittimità nonchè le
complesse tematiche in diritto relative al fenomeno della successione di leggi nel
tempo nello specifico settore delle misure di prevenzione, per quanto riguarda
l’istituto della confisca.
3. Appare utile, pertanto, premettere alcune considerazioni di fondo – mutuate
dagli arresti giurisprudenziali più recenti di questa Corte – circa l’intera tematica
del giudizio di prevenzione, lì dove venga in rilievo lo scrutinio di una della
ipotesi previste dall’art. 1 della legge n.1423 del 1956, attualmente trasfuse
nell’art. 1 del D.Lgs. n.159 del 2011, con piena continuità normativa.
Sul tema, va ribadito (si veda ex multis Sez.I n. 23641 del 11.2.2014, rv
260104) che nessuna misura di prevenzione (sia essa personale o patrimoniale)
può essere applicata lì dove manchi una congrua ricostruzione di «fatti» idonei a
determinare l’inquadramento (attuale o pregresso) del soggetto proposto in una
delle «categorie specifiche» di pericolosità espressamente «tipizzate» dal
legislatore all’art. 1 o all’art. 4 dell’attuale D.Lgs. n.159 del 2041 (norme che
riproducono la stratificazione legislativa intervenuta nel corso del tempo, dal
1956 a seguire).

13

– una solida base cognitiva in tema di ricorrenza delle ipotesi di pericolosità

L’avvenuto inquadramento del proposto in una delle categorie tipiche di
pericolosità consente, lì dove tale giudizio sia formulato in termini di attualità
all’esito del giudizio di primo grado (Sez. VI n. 38471 del 13.10,2010, rv 248797
) di applicare la misura di prevenzione personale, se del caso ‘congiunta’ a
misura patrimoniale, lì dove in ipotesi di pericolosità tipica sussistente, ma non
più attuale (sempre al momento della decisione di primo grado) può essere, in
presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale
della confisca ‘disgiunta’ (per tutte, Sez. U. n. 4880 del 2015, ric. Spinelli).

successione nel tempo di norme regolatrici (nel caso in esame la decisione di
primo grado è stata emessa nel novembre 2007) è il caso di soffermarsi sulla
distinzione tra «parte constatativa» e «parte prognostica» del giudizio di
prevenzione.
Affermare la «attualità» della pericolosità sociale di un individuo (in un dato
momento storico) è infatti operazione complessa che nel giudizio di prevenzione
non si basa esclusivamente sulla ordinaria «prognosi di probabile e concreta
reiterabilità» di qualsivoglia condotta illecita – così come previsto in via generale
dall’articolo 203 del codice penale, norma che non distingue la natura della
violazione commessa a monte e postula la semplice commissione di un reato ma implica il precedente inquadramento del soggetto in una delle categorie
criminologiche tipizzate dal legislatore, sicchè la espressione della prognosi
negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica

inclinazione

mostrata dal soggetto (dedizione abituale a traffici delittuosi, finanziamento
sistematico dei bisogni di vita almeno in parte con i proventi di attività
delittuose, condotte lesive della integrità fisica o morale dei minori o della sanità,
sicurezza o tranquillità pubblica, indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose
e altre ipotesi tipiche) cui non siano seguiti segni indicativi di un tangibile
ravvedimento o dissociazione.
Dunque parlare di pericolosità sociale come caratteristica fondante del giudizio di
prevenzione se da un lato è esatto, in quanto si intercetta il valore sistemico
della misura di prevenzione, che è strumento giuridico di contenimento e
potenziale neutralizzazione della pericolosità, dall’altro può essere fuorviante lì
dove tale nozione venga intesa in senso del tutto generico, senza tener conto
della selezione normativa delle specifiche «categorie» di pericolosità.
Le indicazioni del legislatore sono infatti da rienersi ‘tipizzanti’ e determinano la
esclusione dal settore in esame di quelle condotte che pur potendo inquadrarsi
come manifestazione di pericolosità soggettiva risultino estranee al «perimetro
descrittivo» di cui agli attuali articoli 1 e 4 del Decreto Legislativo n.159 del
2011.
14

Ora, prima ancora di pasare ad esaminare il complesso fenomeno della

Trattandosi, infatti, di applicare in via giurisdizionale misure tese a delimitare la
fruibilità di diritti della persona costituzionalmente garantiti, o ad incidere
pesantemente e in via definitiva sul diritto di proprietà (si veda quanto affermato
da Corte Cost. n. 93 del 2010) le misure di prevenzione, pur se sprovviste di
natura sanzionatoria in senso stretto, rientrano in una accezione lata di
provvedimenti con portata afflittiva (in chiave preventiva) il che impone di
ritenere applicabile il generale principio di tassatività e determinatezza della
descrizione normativa dei comportamenti presi in considerazione come ‘fonte

4. Da ciò deriva la considerazione della ineliminabile componente «ricostruttiva»
del giudizio di prevenzione, tesa a rappresentare l’apprezzamento di «fatti»
idonei (o meno) a garantire l’iscrizione del soggetto proposto in una delle
categorie tipizzate di cui sopra.
Il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione, in altre parole, non
viene ritenuto «colpevole» o «non colpevole» in ordine alla realizzazione di un
fatto specifico, ma viene ritenuto «pericoloso» o «non pericoloso» in rapporto al
suo precedente agire (per come ricostruito attraverso le diverse fonti di
conoscenza) elevato ad «indice rivelatore» della possibilità di compiere future
condotte perturbatrici dell’ordine sociale costituzionale o dell’ordine economico e
ciò in rapporto all’esistenza delle citate disposizioni di legge che «qualificano» le
diverse categorie di pericolosità.
L’iscrizione in tali categorie criminologiche – rapportata ai sottostanti elementi di
fatto – è condizione necessaria ma non sufficiente per l’applicazione della misura
di prevenzione personale, dato che tali categorie rappresentano, a loro volta,
indicatori della pericolosità del soggetto, come chiaramente evidenziato dalla
disposizione contenuta nell’art. 1 comma 3 della legge-delega del 13.08.2010 n.
136 (recante il piano straordinario contro le mafie, nonche’ la delega al Governo
in materia di normativa antimafia) che in tal modo esplicitava il criterio direttivo
alla stregua del quale riordinare la materia ; .. che venga definita in maniera
organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e
patrimoniali, ancorandone la previsione a presupposti chiaramente definiti e
riferiti in particolare all’esistenza di circostanze di fatto che giustificano
l’applicazione delle suddette misure di prevenzione e, per le sole misure
personali, anche alla sussistenza del requisito della pericolosita’ del soggetto.
Ciò, peraltro, rappresenta l’approdo inevitabile della fisionomia costituzionale
assunta da tale versante della giurisdizione a seguito di numerose decisioni della
Corte Costituzionale, tra cui va ricordata la sentenza n.177 del 22.12.1980, con
cui proprio in ragione della difficoltà dimostrativa dei generici presupposti di fatto
venne cancellata la categoria criminologica dei ‘soggetti proclivi a delinquere’ :
15

giustificatrice’ di dette limitazioni.

invero, se giurisdizione in materia penale significa applicazione della legge
mediante l’accertamento dei presupposti di fatto per la sua applicazione
attraverso un procedimento che abbia le necessarie garanzie, tra l’altro di serietà
probatoria, non si può dubitare che anche nel processo di prevenzione la
prognosi di pericolosità (demandata al giudice e nella cui formulazione sono
certamente presenti elementi di discrezionalità) non può che poggiare su
presupposti di fatto previsti dalla legge e, perciò, passibili di accertamento
giudiziale.., nonchè l’altrettanto fondamentale sentenza del 23 marzo 1964, n.

all’epoca sollevate dai giudici di merito sul testo della legge 1423 del ’56
non è esatto che dette misure ..possano essere adottate sul fondamento di
semplici sospetti; l’applicazione di quelle norme, invece, richiede una oggettiva
valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della
persona.. .
Non vi è dubbio alcuno, dunque, circa la volontà espressa dal legislatore
delegante del 2010 di rimarcare – al di là del mero inquadramento criminologico
del soggetto – la necessità di un autonomo giudizio di pericolosità soggettiva
legittimante l’applicazione della misura, con norma ricognitiva di un preciso filone
giurisprudenziale espresso da tempo nella presente sede di legittimità.
Peraltro, circa il requisito della «attualità» della suddetta pericolosità (che va
ovviamente rapportato al momento della decisione di primo grado, sia per la
natura di impugnazione dell’appello che per la immediata esecutività del
provvedimento applicativo della misura personale) è evidente che la valutazione
in parola, una volta constatato il modello criminologico, deve rapportarsi alla
«intensità» dei sintomi di deviazione riscontrati ed alla loro «prossimità
temporale» rispetto al momento della decisione.
5. Ciò posto, per restare sul piano dell’inquadramento soggettivo del proposto
Scagliarini Luca, va apprezzato il significato della previsione utilizzata dai giudici
del merito come modello in cui calare l’analisi delle condotte emerse : il vivere
abitualmente, anche in parte, dei proventi di attività delittuose (art. 1 col lett. b
d.lgs. 159 del 2011).
Tale inquadramento, da operarsi sulla base di idonei elementi di fatto (ivi
compreso il riferimento alla condotta e al tenore di vita) presuppone come
realizzate con esito positivo, quanto alla parte constatativa del giudizio, le
seguenti verifiche :
a) la realizzazione dì attività delittuose (trattasi di termine inequivoco) non
episodica ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della
vita del proposto;

16

-ai

23, con cui la Corte Cost. ebbe a dichiarare infondate le numerosi questioni

b) la realizzazione di attività delittuose che oltre ad avere la caratteristica che
precede siano produttive di reddito illecito (il provento) ;
c) la destinazione, almento parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei
bisogni di sostentamento della persona e del suo eventuale nucleo familiare.
L’attività contra legem (importata da correlato procedimento penale o ricostruita
in via autonoma in sede di prevenzione) deve pertanto caratterizzarsi in termini
di delitto – quantomeno ricorrente – produttivo di reddito.
In ciò la norma non eleva a presupposto di ‘pericolosità generica rilevante’ la

Nel caso portato all’attenzione di questa Corte l’analisi del presupposto della
ritenuta pericolosità generica del proposto (che la Corte di secondo grado ha in
più punti della decisione ritenuto sussistente sino al novembre del 2007, data
della decisione di primo grado, salvo affermare – in altri passaggi – la possibile
applicazione di confisca ‘disgiunta’ ) è affetto da vizi espressivi che rendono non
comprensibile il ragionamento giustificativo della decisione, denunziabili e
rilevabili anche in un sistema che vede limitato il ricorso per cassazione, in tema
di prevenzione, alla violazione di legge, con fondatezza del secondo, terzo e
quarto motivo di ricorso. Va ricordato infatti che in tema di ricorso per
cassazione – avverso le decisioni applicative di misure di prevenzione – l’ articolo
4 della legge n.1423 del 1956 prevede che il ricorso è ammesso per le sole
violazioni di legge, con esclusione dei vizi di contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione. Da tale assetto normativo, per costante orientamento
di questa Corte, deriva che è sindacabile in sede di legittimità la sola
«mancanza» del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di
un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità
(motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere
l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. I 26.2.2009, tv 242887).
In tali casi, infatti, non è la congruità logica delle singole affermazioni probatorie
ad essere valutata, quanto la mancata osservanza del generale obbligo di
motivazione imposto dall’art. 125 comma 3 cod.proc.pen. e richiamato dallo
stesso articolo 4 della legge regolatrice n.1423 del 1956 (Sez. V n.19598 del
8.4.2010, rv 247514).
6. In particolare, va osservato che la Corte di secondo grado omette di valutare
in modo espresso il rilievo delle intervenute decisioni di assoluzione sia nel
procedimento penale per violazioni fiscali risalenti al periodo 1995 – 1997 che
nell’ambito del procedimento sorto nel 1997 in riferimento alla contestazione di
riciclaggio, poi mutata in reimpiego.
Sul punto, se è vero che l’autonomia del procedimento di prevenzione – rispetto
a quello penale – consente in termini generali la valutazione del ‘fatto’ comunque
17

realizzazione di un qualsiasi illecito, per quanto si è affermato in precedenza.

accertato, quale eventuale sintomo di pericolosità è pur vero che tale
affermazione esige da un lato la «effettività» di una autonoma valutazione, che
nel caso in esame manca del tutto (si veda sul tema Sez. I n. 7585 del
22.1.2014 rv 259672) ma soprattutto va rapportata alla tipologìa di pericolosità
‘prevenzionale’ che si ipotizza sussistente.
Il principio della «autonoma valutazione» (di fatti accertati o comunque
desumibili da decisioni di assoluzione emesse in sede penale) si è infatti
affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della contiguità mafiosa ed in
di appartenenza

all’organismo mafioso) che tollera, per la sua diversità

ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno (art. 416 bis)
la diversità di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime
circostanze di fatto (le frequentazioni stabili con il soggetto mafioso, ad esempio,
ben possono rappresentare indice rivelatore di contiguità – ove accertate – pur se
ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa di penale
responsabilità).
Ma nel settore della pericolosità ‘semplice’ di cui all’art. 1 D.Igs. n.159 del 2011,
ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi della lettera b – su cui si incentra la
decisione – molto minore, per non dire assente, è la possibilità dì porre in essere,
sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di
tassatività prima descritta, una simile operazione.
La norma di riferimento, come si è detto, impone di constatare la ricorrente
commissione di un delitto (attività delittuose) produttivo di reddito.
Se la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale – e ciò sia in rapporto
all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere
una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca uno dei
presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie.
Di ciò il giudice della prevenzione ha l’obbligo di tener conto, pena la violazione
del principio di tassatività e di quello, ancor più generale, di unitarietà
dell’ordinamento e di non contraddizione (in termini generali, nel settore delle
impugnazioni, si veda Sez. VI n. 624 del 14.2.1997, rv 208003).
Nel caso in esame, per la vicenda Tecnimare ed acquisto delle due motobarche
anti-inquinamento, la Corte di Appello di Lecce, Sez. Dist. di Taranto con
sentenza del 22 dicembre 2009 ha assolto Scagliarini Luca perché il fatto non
sussiste, con successiva declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dal
Procuratore Generale territoriale da parte di questa Corte (sent. n. 802 del 2012
emessa dalla Sez. VI). In particolare la Corte di rinvio evidenziava che la
condotta dell’imputato non poteva essere inserita – nè sul piano oggettivo nè su

18

riferimento ad una descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato

quello soggettivo – nell’alveo dell’impiego consapevole di denaro di provenienza
delittuosa, in rapporto a specifiche circostanze di fatto.
Analogamente, l’assoluzione per le ipotesi di falso in bliancio e violazioni fiscali
per gli anni 1994-1997 non consente una autorffna rivalutazione dei fatti, ai fini
qui considerati e per le ragioni prima descritte.
L’unica ipotesi – a ben vedere – di possibile valutazione autonoma dei ‘fatti
accertati’ in sede penale che non abbiano dato luogo a sentenza di condanna, lì
dove si discuta dell’inquadramento del soggetto proposto nella categoria di cui

per intervenuta prescrizione (limite esterno alla punibilità del fatto) lì dove il
fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza nella decisione di proscioglimento
o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti.
Va pertanto, al di là del profilo di nullità del provvedimento per omessa
motivazione su un punto di particolare rilievo della ricostruzione in fatto (l’analisi
delle ricadute della assoluzione definitiva dalla contestazione di concorso in
reimpiego), enunciato, anche al fine di orientare i poteri del giudice di rinvio, il
seguente principio di diritto :
– in sede di verifica della pericolosità di soggetto proposto per l’applicazione di
misura ai sensi dell’art. 1 co.1 lett. b D.Lgs. n.159 del 2011 il giudice della
prevenzione non può ritenere in via autonoma rilevante il fatto coperto da
giudicato di assoluzione, stante la testuale formulazione della norma di
riferimento che richiede la constatazione di ricorrenti attività delittuose
produttive di reddito.
7. Il constatato vizio, rilevante anche al fine della eventuale «perimetrazione
cronologica» della constatazione di pericolosità (dovendosi in ogni caso escludere
il rilievo a fini prevenzionali delle condotte tenute dallo Scagliarini sino alla fine
degli anni ’90) non esaurisce le incompletezze e incongruenze rinvenibili, sulla
base dei motivi proposti, nel provvedimento impugnato.
Se infatti è certa la realizzazione di attività delittuose da parte dello Scagliarini,
dati gli esiti dei diversi giudizi, nel periodo 1999/2003 (in particolare reati di
corruzione) non è al contempo stato debitamente ricostruito in sede di merito il
secondo aspetto previsto dalla norma di riferimento.
Il delitto commesso – anche in via ripetuta – deve essere produttivo, in quanto
tale di un provento qualificabile come illecito.
Anche su tale aspetto gran parte delle doglianze difensive risultano fondate.
Per il principio, già ricordato, della unitarietà dell’ordinamento giuridico, il giudice
della prevenzione non può limitare il suo esame alla verifica della sussistenza
dell’illecito – nel caso in esame la corruzione – ma è altresì tenuto a considerare

19

all’art. 1 co.1 lett. b D.Lgs. n.159 del 2011 riguada le ipotesi di proscioglimento

t

in che termini il reato in questione possa dar luogo – ed abbia dato luogo – a un
profitto illecito.
Solo ove emerga – nella parte constatativa del giudizio – l’effettiva percezione di
un provento illecito, destinato, anche in parte, al soddisfacimento dei bisogni di
vita può dirsi integrata la fattispecie di riferimento.
Ora, è noto come sia problematica – nella giurisprudenza di questa Corte l’individuazione del profitto del reato corruttivo (in capo al corruttore) lì dove la
prestazione oggetto del contratto sia stata comunque eseguita.

gli aspetti rilevanti sul tema, tenendo presente l’orientamento più volte ribadito
da questa Corte di legittimità per cui in presenza di un contratto di appalto
ottenuto con la corrizione di pubblici funzionari, la nozione di profitto confiscabile
al corruttore non va identificata con l’intero valore del rapporto sinallagmatico
instaurato con la pubblica amministrazione, dovendosi in proposito distinguere il
profitto direttamente derivato dall’illecito penale dal corrispettivo eseguito per
l’effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa
amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in
ragione della illiceità della causa remota (Sez. VI n. 17897 del 26.3.2009 rv
243319, con ulteriori riferimenti alla linea seguita).
In altre parole, se è vero che la commissione di più fatti di corruzione – in un non
trascurabile arco temporale – è di per sè fattore che orienta verso una
pericolosità sociale (nel senso comune, di cui all’art. 203 cod.pen.), in caso di
erogazione di prestazioni contrattuali non può sostenersi – senza una verifica
della produzione e della entità del profitto derivante dal reato – che ciò sia di per
sè sufficiente a ritenere il soggetto iscrivibile nella previsione di legge di cui
all’art. 1 co.1 lett. b del D.Lgs. n.159 del 2011.
Anche su tale aspetto, dunque – pure a fronte di stimoli provenienti dalla difesa
del ricorrente, che ha prospettato la regolarità delle forniture di carbone presso
la centrale elettrica e la pertinenza a soggetto diverso (il corrotto) delle somme
di denaro recuperate in svizzera – la motivazione manca del tutto, non potendosi
ritenere «illecita» l’intera attività imprenditoriale nel cui ambito si sia fatto
ricorso alla agevolazione corruttiva, a differenza di quanto stabilito (anche da
questa Corte) per l’impresa cd. mafiosa (tra le molte Sez. I n. 29667 del 2014).
Nel caso della impresa mafiosa, infatti, vi è tendenza al reimpiego nella attività
aziendale di capitali provenienti da esponenti della consorteria (e pertanto
derivanti da pregressa attività illecita) o vi è espressione del potere di
intimidazione della consorteria tale da condizionare ed alterare in modo stabile
l’ordine economico, il che giustifica la qualificazione di piena illiceità degli interi

20

Non può dunque prescindersi, anche in sede di prevenzione, dalla verifica di tutti

profitti conseguiti, senza distinzione tra componente lecita e componente illecita
dell’attività aziendale.
Nel caso di ottenimento di appalto tramite attività corruttiva vi è di certo
alterazione delle regole in punto di concorrenza e buon andamento della pubblica
amministrazione ma, per quanto detto sopra, va operata una verifica in concreto
della entità del profitto conseguito e della sua incidenza nell’ambito della
prosecuzione della attività aziendale, non essendo applicabile la presunzione
generalizzante di illiceità della intera attività svolta.

tema e vi è pertanto omissione di motivazione.
Sul tema, appare necessario, anche al fine di orientare i poteri del giudice di
rinvio, esprimere il seguente principio di diritto :
– in sede di verifica della pericolosità di soggetto proposto per l’applicazione di
misura ai sensi dell’art. 1 co.1 lett. b D.Lgs. n.159 del 2011 il giudice della
prevenzione, lì dove il reato oggetto di previa cognizione in sede penale sia
rappresentato dal delitto di corruzione – stante la testuale formulazione della
norma di riferimento che richiede la constatazione di ricorrenti attività delittuose
produttive di reddito – non può prescindere dalla verifica, a carico del corruttore,
della effettiva derivazione di profitti illeciti dal reato commesso.
8. Ed ancora, anche in tema di esistenza – ai fini della constatazione di
pericolosità rilevante – delle pretese violazioni societari e fiscali il percorso
motivazionale non brilla per chiarezza e non consente di ricostruire l’effettivo
percorso di sostegno alla decisione.
In presenza di giudicato assolutorio va esclusa, per quanto detto sopra, la
rilevanza di un procedimento penale apertosi nell’anno 1997.
Quanto alle condotte successive (si assume sino all’anno 2006) la Corte
essenzialmente compie rinvio alle considerazioni espresse dal consulente del
Pubblico Ministero – in assenza di perizia – che hanno evidenziato il ricorrente
fenomeno delle anticipazioni di utili da parte delle società gestite dallo
Scagliarini, per spese non correlate all’oggetto sociale.
In ciò va affermato che è senz’altro possibile – in assenza di giudicato penale – la
ricostruzione in via autonoma da parte del giudice della prevenzione dei «fatti»
rilevanti al fine di inquadramento della pericolosità del proposto.
Tuttavia, anche in tal caso, deve trattarsi – dato il contenuto della norma
azionata, più volte ricordato – di delitti produttivi di reddito, successivamente
impiegato per le proprie esigenze di vita.
In tal senso, la valutazione autonoma – da parte del giudice della prevenzione deve dar conto di ogni aspetto della punibilità, ponendosi come valutazione
incidentale idonea a produrre l’effetto di un accertamento penale mancante.
21

La Corte di secondo grado non ha espresso, come si è detto, alcuna verifica sul

Nel caso in esame, vi è descrizione generica di condotte apparentemente
‘distrattive’ di utili percepiti dalle compagine societarie ma non è chiaro se tale
comportamento sia stato produttivo di danno nei confronti della società e/o di
sottrazione di imponibile.
In particolare, dovendosi escludere una doppia imposizione fiscale (in capo alla
società ed alla persona fisica) non è chiaro se trattasi di utili comunque
dichiarati, nel bilancio di esercizio, dalle persone giuridiche (e dunque
assoggettati ad imposta, con potenziale irrilevanza penale dell’omessa

tali utili ‘di fatto’ siano stati accantonati e destinati a spese personali con costi
riversati sul bilancio delle società (in tal caso vi è sottrazione di imponibile, posto
che nel bilancio delle società sarebbero stati riportati costi estranei al
perseguimento delle finalità sociali, con corrispondente riduzione dell’utile
dichiarato).
Sul tema, appare necessario, anche al fine di orientare i poteri del giudice di
rinvio, esprimere il seguente principio di diritto :
– in sede di verifica della pericolosità di soggetto proposto per l’applicazione di
misura ai sensi dell’art. 1 co.1 lett. b D.Lgs. n.159 del 2011 il giudice della
prevenzione, in assenza di giudicato penale sul tema, può ricostruire in via
autonoma la rilevanza penale di condotte emerse durante l’istruttoria, dando
conto in motivazione della ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie incriminatrice idonea alla produzione di proventi illeciti.
Ora, è peraltro evidente che lì dove fosse congruamente dimostrata (per quanto
sinora detto, in sede di rinvio) la ‘serialità’ e l’incidenza penalmente rilevante
della evasione fiscale da parte dello Scagliarini Luca legittima sarebbe la
constatazione di pericolosità ‘prevenzionale’ ai sensi dell’art. 1 d.lgs. n.159 del
2011, dovendosi disattendere, in tale parte, i rilievi formulati al sesto motivo di
ricorso.
Questa Corte, infatti , nella decisione Sez. I n. 32032 del 10.6.2013, rv 256540,
ampiamente ripresa da Sez. U. n. 33451 del 29.5.2014 ric. Repaci, si è
pronunziata sul tema, ritenendo il soggetto dedito in modo continuativo a
condotte elusive degli obblighi contributivi «iscrivibile» nella categoria di cui
all’art. 1 co.1 lett. b D.Lgs. n.159 del 2011.
In tale arresto, si è infatti affermato – rispondendo ad analoga doglianza – che …
quanto alla possibilità di inquadrare il soggetto che realizza ingenti profitti illeciti
mediante condotte violatrici degli obblighi tributari nella categoria di riferimento
di cui all’art. 1 comma 1 legge n.1423 del ’56, questa Corte condivide il percorso
seguito dalla Corte territoriale, dovendo ritenersi sussistente la previsione di cui
al numero 2 di detto comma. Ed invero, va sul punto constatato che il soggetto
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dichiarazione da parte della persona fisica destinataria della anticipazione) o se

dedito – in modo massiccio e continuativo – a condotte elusive degli obblighi
contributivi realizza, in tal modo, una provvista finanziaria che è indubbiamente
da considerarsi quale «provento» di delitto (inteso quale sostanziale vantaggio
economico che si ricava per effetto della commissione del reato, secondo
l’insegnamento di Sez. U. n.9149 del 3.7.1996). Ora, anche lì dove la quota
indebitamente trattenuta venga successivamente reinvestita in attività di tipo
commerciale – come nel caso qui in esame – è al contempo evidente che i profitti
di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento della

tragga mezzi di sostentamento – anche in via di fatto – da tali attività, può senza
dubbio affermarsi che costui «viva abitualmente, anche in parte» con i proventi
di attività delittuose, in ciò risultando integrato il presupposto di legge.
Da ciò deriva che il tema – con le precisazioni in diritto prima evidenziate – va
rimesso alle valutazioni del giudice del rinvio.
Tale giudice, peraltro, sarà tenuto a valutare – in rapporto al momento della
decisione di primo grado – la eventuale permanenza della pericolosità semplice
(ove riconosciuta) in riferimento al tema delle condotte processuali di tipo
collaborativo poste in essere dallo Scagliarini, e ciò in rapporto al fatto che la
parte cd. prognostica del giudizio dì prevenzione (quella rivolta al futuro) non
può prescindere dalla concreta verifica di rilevanza di simili comportamenti;
inoltre, per quanto si dirà in seguito, andrà esplicitato il momento temporale di
insorgenza di detta pericolosità (sempre in ipotesi di ritenuta sussistenza) e la
sua durata.
9. Da quanto sinora detto consegue che l’intero tema della ricorrenza o meno
della pericolosità ‘prevenzionale’ (id est rilevante ai fini di applicazione di una
misura di prevenzione) di Scagliarini Luca alla data della decisione di primo
grado (novembre 2007) e in periodo antecedente va rimessa alle nuove
valutazioni del giudice del rinvio.
Ciò, tuttavia, non comporta il totale assorbimento dei motivi residui, sia in virtù
della necessità di identificare detto giudice in quello di primo o di secondo grado
(dato il contenuto dei motivi di ricorso) che in virtù della correlata necessità di
esprimere le dovute valutazioni sul tema della successione nel tempo delle
previsioni regolatrici in tema di misura patrimoniale.
In effetti, il primo dato che viene in rilievo circa il tema della confisca è la
evidente contraddizione interna del percorso motivazionale del provvedimento
impugnato su un tema essenziale.
La Corte di secondo grado non chiarisce in che termini si sia effettivamente
«servita» delle norme sopravvenute del 2008 e del 2009.

23

frazione imputabile alle pregresse attività elusive. Lì dove il soggetto proposto

Se da un lato esprime condivisione circa la permanenza della pericolosità dello
Scagliarini sino al momento della decisione di primo grado (dunque confisca
congiunta, sia pure regolata dalla previsione normativa di cui all’art. 14 legge
n.55 del 1990) in altri passaggi fa espresso riferimento alla possibilità di
realizzare confisca «disgiunta» (dunque ipotizzando la cessazione della
pericolosità prima della decisione di primo grado) e in ogni caso dichiara
applicabile l’estensione derivante dalla legge n.125 del 2008 in punto di
confiscabilità dei beni derivanti dalle ordinarie forme di pericolosità generica di

Ora, è opinione del Collegio che la Corte di Appello abbia inteso confermare il
provvedimento di primo grado nella sua interezza (ritenendo la pericolosità
sussistente al momento della decisione di primo grado, pur se la misura
personale era stata oggetto di revoca ex nunc) e pertanto il riferimento alla
possibile applicazione di confisca «disgiunta» è stato apposto come argomento
meramente teorico e non incidente sulla decisione emessa.
Il giudice dì secondo grado (in chiave di controllo della decisione emessa dal
primo giudice del merito) avrebbe realizzato – infatti – una forma di confisca
disgiunta solo in ipotesi di mancata condivisione della ‘permanenza’ della
pericolosità al momento della decisione di primo grado ed al contempo di
constatazione della sua esistenza in un periodo antecedente, con applicazione del
novum normativo in secondo grado, ferme restando le risultanze di fatto.
Non vanno dunque valutate le doglianze del ricorrente che vengono mosse sul
presupposto della applicazione da parte del giudice di secondo grado di una
confisca ‘disgiunta’, fermo restando quanto si dirà in seguito, a fini di
orientamento dei poteri del giudice di rinvio.
Poco chiara risulta anche la ipotizzata applicazione del

novum normativo

rappresentato dall’effetto di abrogazione del limite contenuto nella legge n.55 del
1990 da parte del legislatore del 2008 (art.

11 ter del di. n. 92 del 2008

convertito in legge n.125 del 2008) con riespansione della generale previsione di
applicabilità di sequestro e confisca all’intera area della pericolosità semplice
(art. 19 della legge n. 152 del 1975) come ribadito da Sez U. n. 13426 del
25.3.2010 rv 246272.
In effetti, tutto ruota intorno alla intervenuta assoluzione dello Scagliarini dal
delitto di reimpiego di cui all’art. 648 ter cod.pen. – verificatasi dopo la decisione
di primo grado – posto che la condizione di condannato per tale delitto
‘specializzante’ aveva consentito la confisca in primo grado in un momento in cui
era vigente il limite (legge 55 del 1990) rimosso nel 2008.
Il giudice di secondo grado ne prende atto, mantiene tuttavia la valutazione di
pericolosità dello Scagliarini (come si è detto omettendo di valutare l’incidenza
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cui all’art. 1 della legge n.1423 del 1956.

effettiva di tale assoluzione) e al contempo «conferma» il decreto di primo
grado, anche mediante il riferimento alla norma sopravvenuta.
Ora, in riferimento a tale incostante andamento motivazionale (e fermo restando
l’annullamento per i vizi già individuati della decisione) il tema rilevante sta anche in rapporto al giudizio di rinvio – nella individuazione dei poteri del giudice
di secondo grado in rapporto alla possibilità o meno di applicare una norma
sopravvenuta in tema di prevenzione.
Ad avviso del Collegio tale possibilità va ritenuta sussistente, per le ragioni e con

Le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente decisione n. 4880 del 2015 ric.
Spinelli hanno affermato che le modifiche normative del 2008 e del 2009 non
hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del
procedimento di prevenzione, di guisa che rimane tuttora valida l’assimilazione
alle misure di sicurezza e dunque l’applicabilità, in caso di successione di leggi
nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod.pen. .
Da ciò deriva che lì dove il procedimento teso alla verifica della sussistenza dei
presupposti applicativi della misura patrimoniale sia pendente, all’atto della
entrata in vigore di nuova disciplina (pur se peggiorativa) in fase di merito (e
dunque anche in secondo grado) il giudice procedente può tener conto ovviamente garantendo il rispetto del contraddittorio – della modifica del quadro
normativo.
Ciò deriva, ad avviso del Collegio e pur nella consapevolezza di interpretazioni
difformi (si veda quanto recentemente affermato da Sez. VI n. 21491 del
16.2.2015) da un complesso di considerazioni, che vanno espresse nel modo che
segue.
L’art. 200 co.1 cod.pen. esprime il principio generale – applicabile anche
all’ipotesi di confisca in virtù di quanto previsto dall’art. 236 co.2 cod.pen. – della
regolazione delle misure dalla legge vigente al tempo della loro «applicazione»
senza compiere Oriferimento alcuno, data la natura di norma regolatrice
sostanziale, alle diverse fasi del procedimento di merito .
Non vi è dubbio che

l’applicazione

della misura è fenomeno che va

ordinariamente correlato al contenuto della decisione di primo grado, lì dove il
giudizio di secondo grado ha funzione di controllo della fondatezza della
decisione adottata, sulla base dei motivi di doglianza proposti, ferma restando la
rilevante differenza circa il regime di esecutività delle decisioni in tema di misura
personale (ove l’appello non ha effetto sospensivo) rispetto a quelle di confisca
(nel cui ambito la esecuzione resta sospesa sino alla definitività del
provvedimento) .

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i limiti che seguono.

Tuttavia, la lettura della norma e la sua correlazione in via logica alle diverse fasi
processuali del giudizio di merito va impostata sulla possibilità o meno di
emissione di una «conferma» in appello del medesimo provvedimento applicativo
di primo grado (la confisca, rimasta sospesa) in ragione non già di una
sopravvenienza in fatto o di una indebita estensione dell’oggetto in assenza di
impugnazione dell’accusa (anche in materia di prevenzione vige il principio del
divieto di reformatio in peius secondo quanto affermato da Sez. I n. 545 del
5.2.1991, rv 186445) quanto in ragione della esistenza di una ragione giuridica

giudizio di primo grado.
In tal caso l’operazione interpretativa nel senso della applicabilità dell’art. 200
co.1 consiste nella presa d’atto della esistenza – in diritto – di ragioni
sopravvenute tali da giustificare la conferma del medesimo provvedimento di
primo grado (che

quella

confisca aveva applicato) e dunque idonee a

determinare, in una con gli aspetti fattuali – e sia pure con valutazione ora per
allora – il mantenimento della disposta confisca.
Detta opzione non appare – ad avviso del Collegio – in contrasto con la previsione
di legge in esame, sempre che nell’ambito del giudizio di secondo grado sia stato
stimolato in modo adeguato il contraddittorio sul tema giuridico, con
«prevedibilità» di una conferma del provvedimento di confisca da correlarsi non
solo alla emergenza dei dati fattuali già scrutinati (su cui il contraddittorio è stato
ampiamente esercitato) ma che si estenda ai profili normativi di
regolamentazione dell’istituto (in termini generali sul rilievo del contraddittorio in
secondo grado in tema di prevenzione Sez. VI n. 10148 del 4.10.2012, rv
254409).
Ciò perchè non vi è ampliamento – in tale ipotesi – della base cognitiva del
giudizio in secondo grado o differenza di oggetto materiale, il che rende possibile
la modifica delle ragioni giustificatrici in diritto, trattandosi di una fase di merito.
Dunque, nel caso in esame, risulta astrattamente possibile – e qui lo si afferma al
fine di orientare i poteri del giudice di rinvio – la conferma della confisca disposta
in primo grado pur se la valutazione di pericolosità sociale venga ritenuta
insussistente al momento di tale decisione (ma presente in fasi temporali
antecedenti) realizzandosi (ora per allora) confisca disgiunta, così come non può
dirsi di ostacolo alla conferma della confisca di primo grado la ‘riespansione’ della
confiscabilità all’intera area della pericolosità generica derivante dalla scelta
normativa del 2008, ferma restando la ricognizione in fatto della sussistenza
della pericolosità nei termini prima descritti.
E’ evidente tuttavia che nella verifica della sproporzione tra valori
(redditi/investimenti) o comunque nella eventuale valutazione di pertinenzialità o
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diversa che esplichi i suoi effetti sulla situazione di fatto, così come elaborata nel

derivazione diretta, non possono essere appresi i beni la cui acquisizione si sia
verificata in un ‘tempo’ che preceda le manifestazioni di pericolosità, secondo il
parametro della necessaria «correlazione temporale» tra manifestazioni di
pericolosità ed accumulazioni patrimoniali, recentemente evidenziato come
principio regolatore dell’istituto della confisca proprio dalla già citata decisione
delle Sezioni Unite di questa Corte, ric. Spinelli.
In tal senso, le statuizioni patrimoniali contenute nel decreto impugnato,
dichiaratamente derivanti dalla ritenuta inapplicabilità del suddetto principio

tale decisione, cui si compie ampio rinvio, evidenziandosi esclusivamente la
sintesi massimata per cui .. la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto
ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo
ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità
generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di
tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla
c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come
ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia
individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale,
al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al
proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez.
U. n.4880 del 26.6.2014 rv 262605).
10. Le ulteriori deduzioni difensive vanno ritenute assorbite nelle individuate
ragioni del disposto annullamento, che conducono alla necessità di una
rielaborazione complessiva del provvedimento, a partire dal tema fondante della
ricorrenza o meno (nonché della perimetrazione temporale) della possibilità di
inquadramento – in fatto e in diritto – del soggetto proposto nella categoria
criminologica che si è ritenuto di individuare.
Nel richiamare, sul tema, i principi di diritto già espressi in parte motiva, va
esclusivamente precisato – in via ulteriore – che la ricostruzione patrimoniale
esige non soltanto la esatta perimetrazione temporale degli acquisti (intendendo
per tali il momento, anche prolungato, della incidenza dei medesimi sul
patrimonio del soggetto acquirente) in rapporto alla pericolosità soggettiva ma
anche la esplicita comparazione dei valori tra entità dell’investimento e risorse
disponibili nel periodo, considerando le fonti lecite ed escludendo le quote di
reddito derivante da evasione fiscale (Sez. U. n. 33451 del 2014).
Inoltre, nessun rilievo può essere attribuito al vincolo di destinazione del fondo
patrimoniale, dato che pacificamente i beni restano nella disponibilità del
soggetto che li ha costituiti ed il vincolo di destinazione – in ipotesi di confisca di
prevenzione – non è opponibile, posto che la disciplina pubblicistica prevede la
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vanno – in ogni caso – rivisitate alla luce delle chiare argomentazioni contenute in

prevalenza dell’interesse generale al recupero di patrimoni «derivanti» dalla
constata attività illecita del soggettó che ha realizzato l’accantonamento. La
derivazione dalla attività illecita – ove ritenuta sussistente – consente
attualmente il recupero del bene anche in ipotesi di successione mortis causa ,
ipotesi che pure vede soccombenti i diritti di terzi estranei alla realizzazione degli
illeciti, così come alla realizzazione degli investimenti.
Per le ragioni sinora esposte il provvedimento impugnato va annullato con rinvio

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della
Corte di Appello di Lecce.
Così deciso il 24 marzo 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce.

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