Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31206 del 20/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31206 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUTRI’ DANIELE FELICE N. IL 12/12/1990
avverso l’ordinanza n. 5379/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
MILANO, del 25/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/seatite le conclusioni del PG Dott.

ce£12.

Uditi difensor Avv.;

(1.15-3-3,-1.0

Data Udienza: 20/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25.6.2014, il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava il
reclamo proposto da CUTRI’ Daniele Felice contro il decreto del Capo del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria in data 6.5.2014, con cui era stato applicato nei suoi
confronti il regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis O.P. per la durata di sei mesi,

mentre questi veniva tradotto da agenti della Polizia penitenziaria presso il Tribunale di
Varese, sezione distaccata di Gallarate.
Dall’azione del commando armato, che attendeva il detenuto dinanzi alla porta
d’ingresso del Tribunale, era scaturito un conflitto a fuoco, nel quale rimase ucciso CUTRI’
Antonino, fratello di Daniele Felice, mentre quest’ultimo, con altri componenti il gruppo di
fuoco, riusciva a consentire l’evasione dell’altro fratello Domenico, utilizzando per la fuga
due autovetture parcheggiate nei pressi.
Un terzo veicolo, abbandonato dai malviventi, conteneva al suo interno un potente
arsenale di armi da guerra, palette di Polizia, giubbotti antiproiettile e altro.
L’elevato grado di pericolosità dimostrato dal CUTRI’ Daniele Felice nel descritto
episodio di evasione giustificava nei suoi confronti, secondo l’autorità ministeriale, l’adozione
del regime della sorveglianza particolare.
Il Tribunale confutava le deduzioni svolte dal reclamante, osservando quanto segue.
1.1. A proposito del rilievo per cui il CUTRI’, in qualità di “indagato”, non potesse
essere ricompreso nell’ambito applicativo dell’art. 14 bis, comma 1, 0.P., includente i
“condannati, gli internati e gli imputati”, rispondeva il Collegio che l’interessato, quale
soggetto sottoposto alla custodia cautelare in carcere, rientrava nella categoria dei
“detenuti”, contemplata dalla norma in esame e ad esso legittimamente applicata, a nulla
rilevando che fosse “indagato” e non ancora “imputato”.
1.2.Sul rilievo difensivo che metteva in risalto il carattere eccezionale dell’istituto,
giustificato solo da una pericolosità attuale, nella specie non ravvisabile per il buon
comportamento intrannurario tenuto dal CUTRI’, i Giudici di merito evidenziavano che al
predetto era stata applicata la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 14 bis O.P. che faceva,
tra l’altro, riferimento a “concreti comportamenti tenuti. ..nello stato di libertà”, nella specie
identificabili nella condotta tenuta dal reclamante, quando era ancora libero, nel concorrere
a procurare l’evasione del fratello, con modalità attuative denotanti elevata e attuale
pericolosità sociale.
Le sanzioni che la difesa sosteneva potessero essere applicate al detenuto in
sostituzione della sorveglianza particolare miravano, viceversa, a punire condotte rilevanti

1

determinato dall’avere egli concorso, in data 3.2.2014, nella procurata evasione del fratello,

esclusivamente sotto il profilo disciplinare e, quindi, di rilevanza decisamente inferiore
rispetto alla grave condotta presa in considerazione.
1.3.

Quanto, infine, alla dedotta illegittimità del provvedimento nella parte

riguardante i limiti e le cautele inerenti all’arredo della cella e alla detenzione non consentita
del fornellino individuale, osservava il Tribunale che le limitazioni disposte nei confronti del
CUTRI’ erano strettamente finalizzate ad evitare che il medesimo potesse commettere

2.

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione CUTRI’ Daniele Felice,

sviluppando sei motivi di ricorso che possono sintetizzarsi come segue.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge per esercizio, da parte del
Giudice, di potestà riservata dalla legge ad organi legislativi e in relazione all’applicazione
analogica dell’art. 14 bis O.P. anche a soggetto “indagato”, nonostante la norma di cui si
discute parli di “condannati, internati e imputati”.
Con quest’ultima espressione, ad avviso del ricorrente, il legislatore aveva inteso
riferirsi a soggetti nei confronti dei quali fosse stata quanto meno formulata un’imputazione,
onde evitare un trattamento eccessivamente severo in assenza di una seppur minima
“legittimazione” da parte dell’Autorità giudiziaria procedente.
Il Tribunale di Sorveglianza, attribuendosi funzione legislativa, aveva incluso
nell’ambito applicativo della norma anche gli “indagati”, così incorrendo in palese violazione
di legge e del divieto di analogia in diritto penale.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia erronea applicazione della legge penale in
relazione alla parte motiva dell’ordinanza correlata all’art. 14 bis, comma 5, 0.P.: mancanza
di collegamento con l’oggetto del reclamo avverso il provvedimento emesso ex art. 14 bis,
comma 1, lett. a), 0.P..
Se l’Autorità amministrativa aveva applicato il regime di sorveglianza particolare in
base al comma 1, lett. a), dell’art. 14 bis O.P. (comportamenti che compromettono la
sicurezza o turbano l’ordine negli istituti), il Tribunale di Sorveglianza non poteva motivare
adducendo i presupposti indicati al comma 5 dello stesso articolo (precedenti comportamenti
penitenziari o altri comportamenti tenuti in libertà).
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta erronea applicazione della legge penale in
relazione all’art. 14 bis, comma 1, lett. a), 0.P., nel senso che il Tribunale aveva omesso di
valutare i presupposti applicativi che si riferivano a comportamenti tenuti dentro gli istituti e
non poteva, quindi, fondare la sua ordinanza su fatti di reato esterni.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta erronea applicazione della legge penale per
travisamento della ratio e della portata dell’art. 14 bis 0.P..

2

un’altra evasione o altri reati e dovevano ritenersi adeguatamente motivate.

Il Tribunale aveva erroneamente individuato la finalità della sorveglianza particolare
(disciplinata nel capo III dell’Ordinamento penitenziario concernente le “modalità di
trattamento”) nel contenimento della pericolosità sociale, anziché della “pericolosità
carceraria” in funzione della sicurezza all’interno degli istituti di pena; per questo, dovevano
considerarsi comportamenti punibili secondo la norma in esame solo quelli, reiterati (la
norma si esprimeva al plurale), capaci di incidere sulla regolarità della vita del carcere.

dell’attualità.
A tal proposito, si evidenziava come il CUTRI’ non rivelasse una personalità
pericolosa, atteso che nessuna condotta allarmante si era potuta apprezzare durante il
periodo custodiale trascorso, in cui il detenuto non aveva posto in essere alcuna turbativa
dell’ordine e della sicurezza, sicché non poteva parlarsi di pericolosità penitenziaria “attuale”.
2.5. Con il quinto motivo, si censura l’erronea valutazione, da parte del Tribunale, dei
presupposti applicativi delle specifiche restrizioni di cui all’art. 14 quater 0.P..
2.6. Infine, con il sesto motivo, si deduce vizio di motivazione su tutte le censure
articolate.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha
concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, secondo il quale il regime
di sorveglianza particolare non sarebbe applicabile al ricorrente, in quanto “indagato” e non
“imputato”, categoria, quest’ultima, che l’art. 14 bis O.P. annovera, unitamente a quelle dei
“condannati” e degli “internati”, quale possibile destinataria del regime de quo.
La proposta interpretazione non può accogliersi, in quanto sconta un approccio alla
norma che fa rigidamente ed esclusivamente leva sul tenore letterale della locuzione,
rapportandola, tra l’altro, alla definizione tecnica di “imputato”, distinta da quella di
“indagato”, quale rinvenibile nel codice di rito vigente, ossia quella di soggetto nei cui
confronti il P.M. aveva richiesto il rinvio a giudizio.
Trascura di considerare il ricorrente che l’art. 14 bis O.P. fu aggiunto dall’art. 1 della
legge 10 ottobre 1986, n. 663, contenente modifiche all’Ordinamento penitenziario, ovvero
quando era ancora in vigore il precedente codice processuale penale, che non conosceva
affatto la nozione di “indagato”, ma solo quella di “imputato” e, dunque, solo a quest’ultima
poteva, ovviamente, fare riferimento.

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Infine, la “pericolosità penitenziaria” doveva presentare in ogni caso il carattere

E’ evidente che oggi la “vecchia” nozione di imputato va “riletta” e aggiornata in
senso estensivo (non analogico) includendo anche quella di “indagato”, in sintonia con la
volontà del legislatore che aveva inteso distinguere, nell’ampia categoria dei detenuti, presa
in considerazione insieme a quella degli “internati” (soggetti sottoposti a misure di
sicurezza), i due sottogruppi che la componevano, rappresentati dai detenuti già processati
(i “condannati”) e da quelli ancora sub iudice (gli “imputati” e oggi anche gli “indagati”).

dal tenore dell’art. 14 quater 0.P., disciplinante i “contenuti del regime di sorveglianza
particolare”, in cui il legislatore, accanto agli “internati”, menziona i “detenuti” senza alcuna
specificazione, confermando l’inclusione nella categoria dei due sottogruppi prima indicati,
tenendo presente l’accezione di “imputato” siccome comprensiva di quella di “indagato”,
introdotta dal codice di rito vigente.
1.2. Possono trattarsi insieme il secondo e il terzo motivo di ricorso, perché muovono
dal comune presupposto della mancanza di collegamento tra la motivazione del Tribunale e il
contenuto del provvedimento amministrativo impugnato con il reclamo.
Va ricordato che accanto alle ipotesi previste dall’art. 14 bis, comma 1, così come
introdotto dall’art. 1 della legge n. 663 del 1986, che fa riferimento all’attualità della
condotta del detenuto o dell’internato, il legislatore ha ritenuto al comma 5 di inserire
un’ulteriore ipotesi di sottoposizione al regime di sorveglianza particolare legata, non già
all’attualità di determinate condotte, ma sulla base di precedenti penitenziari o di altri
comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell’imputazione, nello stato di
libertà, con l’unica esclusione di un mero riferimento alla natura del reato per il quale il
detenuto ha subito condanna. Ne consegue la netta distinzione tra le ipotesi di cui al primo e
al quinto comma del citato articolo (Sez. 1, n. 3989 del 7/10/1987, Puinti, Rv. 177035).
Ciò posto, deve escludersi una contraddizione tra la motivazione del Tribunale e
quella del provvedimento del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in
quanto entrambe fanno, all’evidenza, riferimento, quale presupposto del regime di
sorveglianza particolare applicato al CUTRI’, al gravissimo episodio del concorso
nell’evasione del fratello con annesso conflitto a fuoco contro gli operanti della Polizia
penitenziaria di cui sopra si è detto, dunque a uno di quei “concreti comportamenti
tenuti.. .nello stato di libertà” descritti e previsti dal quinto e non dal primo comma dell’art.
14 bis 0.P..
Il richiamo operato dal Capo del D.A.P. – di cui fa menzione il Tribunale a pag. 2
dell’ordinanza impugnata – all’art. 14 bis, comma 1, costituisce semplice elemento di
raccordo della situazione contemplata dal comma 5, che giustifica il regime particolare, con

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Anche sul piano sistematico, trattasi di opzione ermeneutica obbligata, come si evince

la finalità di garantire la sicurezza e l’ordine degli istituti, che viene esplicitata solo dal
suddetto comma primo (lettera a) e non ripetuta dal quinto.
E’, allora, manifestamente infondata la censura per cui il Tribunale avrebbe dovuto
valutare, quali presupposti applicativi del regime

de quo, i comportamenti intramurari

descritti dal primo comma citato e non i comportamenti esterni, previsti dal successivo
comma quinto.

merito di aver “travisato” la ratio e la portata dell’art. 14 bis 0.P..
E’ vero che, come rimarcato dal ricorrente, la “pericolosità penitenziaria” non va
identificata con la “pericolosità criminale” e si riferisce alla capacità, attitudine e propensione
del soggetto a turbare l’ordine e la sicurezza negli istituti.
Tuttavia, il comportamento presupposto per l’applicazione delle restrizioni previste
dalla norma, in quanto sintomatico di “pericolosità penitenziaria”, non è solo quello, previsto
dal primo comma dell’art. 14 bis 0.P., tenuto dall’interessato all’interno dell’istituto
penitenziario.
Come già detto nei paragrafi precedenti, al CUTRI’ è stato applicato il regime
restrittivo in base al quinto comma dello stesso articolo, perché soggetto già valutabile
negativamente, sotto il profilo della “pericolosità penitenziaria” come sopra definita, al
momento dell’ingresso in carcere, sulla base di comportamenti serbati in concreto nello
stato di libertà (Sez. 1, n. 3992 del 7/10/1987, De Santis, Rv. 177036).
Si ripete, inoltre, che il provvedimento, per quanto detto, non è legato all’attualità
delle condotte, ma alla proiezione delle stesse in senso negativo sull’ordine negli istituti
Il Tribunale di Milano ha fatto corretta interpretazione della norma in argomento,
spiegando con motivazione scevra da vizi logici le ragioni per le quali doveva considerarsi
giustificata l’applicazione del regime di sorveglianza particolare al detenuto ai sensi del
comma quinto dell’art. 14 bis 0.P..
Le censure del ricorrente non possono, quindi, trovare accoglimento.
1.4. E’ aspecifico il quinto motivo di ricorso, in quanto in esso ci si diffonde sulle
specifiche prescrizioni applicate ex art. 14 quater al ricorrente dall’Autorità amministrativa,
senza misurarsi su aspetti censurabili dell’ordinanza impugnata, cui si rimprovera
genericamente di aver “erroneamente valutato i presupposti applicativi di cui all’art. 14
quater 0.P.”.
1.5. Ancor più aspecifico l’ultimo motivo di ricorso, con cui ci si limita genericamente
a censurare anche sotto il profilo del vizio di motivazione i punti oggetto dei motivi
precedenti.

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1.3. E’ parimenti infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta al Giudice di

2. Il ricorso, in conclusione, va, nel complesso, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere es,téore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2015

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