Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31188 del 24/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31188 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARUSO BIAGIO GIANLUCA N. IL 24/10/1986
avverso la sentenza n. 1593/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
09/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

A

Data Udienza: 24/04/2013

Osserva

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Caruso Biagio Gianluca avverso la
sentenza in data 9.1.2012 della Corte di Appello di Catania che, in parziale riforma di
quella in data 14.3.2011 del G.u.p. del Tribunale di Catania con cui il predetto era
stato riconosciuto colpevole, all’esito del giudizio abbreviato, del delitto di cui all’art.
73 comma 1° bis dPR 309/1990, riduceva la pena inflitta ad anni 2, mesi 8 di
reclusione ed C 12.000,00 di multa.
Deduce il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione della circostanza

applicazione del minimo della pena.
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche e manifestamente
infondate.
L’aspecificità discende dalla sostanziale reiterazione in questa sede di medesime
doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con
motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Ed è
stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del
motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato
senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett.
c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e
successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Del resto, il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata
valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere
discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini della commisurazione della pena.
L’esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in
misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena
concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Le generiche censure del ricorrente in ordine a pretese carenze motivazionali della
sentenza impugnata risultano, pertanto, manifestamente infondate, tanto più se si
considera che la pena irrogata è comunque vicina al minimo edittale.
Quanto alla mancata concessione dell’attenuante della lieve entità, la censura è
manifestamente infondata, poiché la Corte ha fatto corretta applicazione della
normativa di settore, come costantemente interpretata dalla Corte di legittimità: in
tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare
tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità
2

attenuante di cui al 5° comma dell’art. 73 dPR 309/1990 e per la mancata

e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato
(quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):
dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche
uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di “lieve entità”. E in un tale contesto valutativo, ove la quantità di
sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sé sintomo sicuro
di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di
spaccio (tra le più recenti: Cass. Pen. Sez. IV, n. 43399 del 12.11.2010 Rv. 248947).

la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di
inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24.4.2013

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,

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