Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31180 del 24/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31180 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAPASSO SALVATORE N. IL 20/04/1979
SALZANO PASQUALE N. IL 15/12/1957
avverso la sentenza n. 3071/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
03/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 24/06/2015

Motivi della decisione
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 3.06.2014, in riforma
della sentenza di condanna resa dal G.i.p. presso il Tribunale di Napoli il 3.02.2014,
all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di Capasso Salvatore e Salzano
Pasquale, chiamati a rispondere, in concorso, della violazione dell’art. 73, d.P.R. n.
309/1990, in riferimento alla detenzione di gr. 203,95 di marijuana, rideterminava
la pena originariamente inflitta e confermava nel resto.

per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del difensore.
Con unico motivo gli esponenti si dolgono del mancato riconoscimento
dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Sotto altro
aspetto censurano la valutazione relativa alla entità della pena, come effettuata
dalla Corte distrettuale.
L’imputato Capasso Salvatore, a mezzo del difensore e procuratore
speciale, ha depositato rinuncia all’impugnazione.
Il ricorso che occupa muove alle considerazioni che seguono.
Con riguardo alla posizione di Capasso Salvatore, l’impugnazione deve
essere dichiarata inammissibile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 589 e
591 lett. d) cod. proc. pen.; ciò in quanto è stata acquisita, nei termini sopra
richiamati, rituale rinuncia della parte ricorrente all’impugnazione di legittimità.
Segue la condanna del Capasso al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 500,00 in favore della cassa delle Ammende.
Venendo ad esaminare il ricorso in riferimento alla posizione dell’imputato
Salzano, si osserva che l’impugnazione è affidata a motivi manifestamente
infondati.
Occorre considerare che, in riferimento alle condizioni per l’applicabilità
dell’ipotesi di cui al V comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, secondo il prevalente
orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della concedibilità o
del diniego della fattispecie di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente
valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione
(mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto
materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della
condotta criminosa), dovendo escludere la concedibilità dell’attenuante quando
anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene
giuridico protetto sia di “lieve entità” (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del
22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha condiviso la valutazione effettuata
dal primo giudice, tenuto conto del quantitativo di marijuana di cui si tratta, dal
quale sono ricavabili 580 dosi droganti. Sulla scorta di tali rilievi, il Collegio ha

Avverso la predetta sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso

quindi escluso che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di
“lieve entità”.
Orbene, le valutazioni espresse dal giudice del gravame, nell’apprezzare la
non sussumibilità del fatto nell’ambito applicativo dell’ipotesti di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, non presentano aporie di ordine logico e risultano
perciò immuni da censure rilevabili in sede di legittimità. La Corte territoriale,
invero, ha soddisfatto l’obbligo motivazionale afferente alla qualificazione giuridica

sviluppando un percorso argomentativo saldamente ancorato agli acquisiti dati di
fatto e non manifestamente illogico; e, come noto, sfugge dalla cognizione della
Corte regolatrice la possibilità di procedere ad una considerazione alternativa degli
elementi di fatto, come scrutinati in sede di merito.
Tanto chiarito, preme evidenziare che la decisione impugnata risulta sorretta
da conferente apparato argonnentativo, che soddisfa appieno l’obbligo
motivazionale, anche per quanto concerne la determinazione del trattamento
sanzionatorio. E’ appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari
elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio
di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del
sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte
non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n.
36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez.
VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative
al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in
riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo
quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16
giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). E la Corte di Appello, tenuto conto della più
favorevole cornice edittale applicabile nel caso di specie, per effetto della sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, ha del tutto legittimamente ridotto il
trattamento sanzionatorio applicato dal primo giudice, muovendo dalla pena base di
anni tre di reclusione, oltre la multa. Al riguardo, deve osservarsi che il giudice del
gravame, nell’applicare il nuovo e più mite scenario sanzionatorio, non era affatto
vincolato dalle valutazioni sulla dosimetria della pena operate dal Tribunale (che
aveva fissato la pena base in misura corrispondente al previgente minimo edittale).
Ed invero, la Corte regolatrice ha chiarito che, in casi di tal fatta, nella
rideterminazione della pena, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., il giudice procedente
deve unicamente rispettare i limiti edittali dell’art. 73, cit., previsti, in relazione alla
tipologia di condotta e di sostanza stupefacente oggetto di contestazione nel
processo, dal d.P.R. n. 309 del 1990, nella versione antecedente alle modifiche
apportate dalla legge n. 49 del 2006, poi dichiarate incostituzionali con sentenza

del fatto ed ha giustificato il mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità,

della Consulta n. 32 del 2014 (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 52981 del
18/11/2014, dep. 19/12/2014, Rv. 261688, in motivazione).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente Salzano al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 24 giugno 2015.

processuali nonché Capasso al versamento della somma di C 500,00 e Salzano di C

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