Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31180 del 24/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31180 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MARCIANO’ AGOSTINO N. IL 30/04/1979
avverso la sentenza n. 2903/2009 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 02/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 24/04/2013

Osserva
Ricorre per cassazione Marcianò Agostino avverso la sentenza emessa in data
2.11.2011 dalla Corte di Appello di Palermo che confermava quella del Tribunale di
Palermo in composizione monocratica in data 10.3.2009 con la quale il predetto era
stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 73 comma V dPR 309/1990 e
condannato con la predetta attenuante prevalente sulla recidiva, alla pena di mesi
sette di reclusione ed C 1.100,00 di multa.

essendo stata omessa l’indicazione della prova della detenzione ovvero della
cessione dello stupefacente e essendo la sentenza fondata solo sulle dichiarazioni
di testi tutti appartenenti all’Arma dei Carabinieri, inidonee ai fini probatori.
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti nella presente
sede e generici.
Il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20
febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare
i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la
fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si
trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è
tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove
acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della
possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”,
finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza
del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del
fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova
risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no
“veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. IV,
19.6.2006, n. 38424). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme
da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme,
come nel caso di specie, il limite del

devolutum non può essere superato

ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello,
al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a
contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. II,
15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. IV, 3.2.2009,
n. 19710, Rv. 243636).
Orbene, le censure addotte mirano appunto ad una improponibile rivalutazione
della prova e si risolvono in deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di
aver seguito nel presente giudizio di legittimità, sottraendosi la motivazione della

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Deduce il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta sua penale responsabilità,

impugnata sentenza ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di
completezza e di razionalità dei suoi contenuti.
Inoltre le censure addotte sono palesemente specifiche, avendo pedissequamente
reiterato in questa sede delle medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte
territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua,
immune da vizi ed assolutamente plausibile.
49523 del 9.12.2009, Rv. 245661).

motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv.
216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in € 1.000,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24.4.2013

Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su

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