Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31169 del 24/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31169 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LUCERA GIUSEPPE DONATO N. IL 14/10/1985
avverso la sentenza n. 1386/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
20/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 24/04/2013

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Lucera Giuseppe Donato avverso la
sentenza emessa in data 20.19.2011 dalla Corte di Appello di Bari che confermava
quella del Tribunale di Lucera in data 14.3.2007 con la quale il predetto era stato
riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73 commi 1 e 4 dPR
309/1990 e condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed €
4.000,00 di multa.
Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla sussistenza

stupefacente.
E’ stata depositata una memoria con cui si contesta la proposta inammissibilità del
ricorso.
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti nella presente
sede ed aspecifici.
L’aspecificità discende dalla sostanziale reiterazione in questa sede delle medesime
doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese
con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile,
laddove ha ritenuto carente la prova dell’acquisto in comune della sostanza
rinvenuta e della stessa destinazione di essa all’uso di gruppo atteso l’esorbitante
quantitativo di gr. 500, idoneo alla confezione di ben 1105 dosi.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv.
216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Peraltro, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato
dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di
apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha
alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e
non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva,
non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove
acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della

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del reato sostenendo la tesi dell’uso di gruppo cui era destinata la sostanza

possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”,
finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza
del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del
fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova
risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no
“veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. IV,
19.6.2006, n. 38424). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme
da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme,
devolutum non può essere superato

ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello,
al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a
contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. II,
15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. IV, 3.2.2009,
n. 19710, Rv. 243636).
Orbene, le censure addotte mirano appunto ad una improponibile rivalutazione
della prova e si risolvono in deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di
aver seguito nel presente giudizio di legittimità, sottraendosi la motivazione della
impugnata sentenza ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di
completezza e di razionalità dei suoi contenuti. In particolare, l’uso di gruppo è
stato escluso per ragioni puntuali di fatto (quantitativo eccessivo dello
stupefacente rinvenuto e circostanze emerse dai controlli di p.g) onde a nulla
rileva la recente pronunzia (che attiene all’integrazione giuridica della fattispecie)
di questa Corte nel peculiare argomento richiamata dal ricorrente.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in € 1.000,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24.4.2013

come nel caso di specie, il limite del

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