Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31165 del 24/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31165 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PELLE ANTONIO N. IL 04/04/1962
avverso la sentenza n. 1198/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 24/04/2013

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Pelle Antonio avverso la sentenza
emessa in data 6.10.2011 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria che, in parziale
riforma di quella emessa in data 23.6.2009 dal Tribunale di Locri, con cui il
predetto era stato riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 73 e 80 comma 2
dPR 309/1990 e 61 n. 6 c.p (coltivazione di 482 piante di canapa indiana),
escludeva l’aggravante di cui all’art. 80 dPR 309/90 e rideterminava la pena in anni

Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine:
1. alla ritenuta colpevolezza dell’imputato e, in particolare, in ordine alla
destinazione della sostanza stupefacente per lo spaccio;
2. alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 6 c.p.;
3. al diniego delle circostanze attenuanti generiche;
4. all’eccessività della pena inflitta;
5. alla mancata considerazione delle pessime condizioni di salute dell’imputato che
non aveva potuto comprendere la natura e finalità del decreto di citazione a
giudizio immediato e conseguentemente non aveva avanzato richiesta di rito
abbreviato e al mancato riconoscimento di condizione di forza maggiore a tale
stato di salute.
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati,
non consentiti nella presente sede di legittimità ed aspecifici.
L’aspecificità discende dalla sostanziale reiterazione in questa sede delle medesime
doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese
con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile,
laddove ha compiutamente fornito spiegazione su ognuno dei punti sopra indicati,
oggetto dell’odierno ricorso, precisandosi, quanto alla censura sub 1, che in tema
di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze
stupefacenti sia domestica sia,

a fortiori,

in senso tecnico-agrario, ovvero

imprenditoriale, quale è quella contestata (in un bunker sotterraneo, illuminato e
con impianto irriguo temporizzato, di 482 piante di canapa indiana dalle quali era
possibile ricavare ben 4.731,6 dosi singole di stupefacente) è irrilevante, ai fini
della punibilità della condotta, la pretesa destinazione della sostanza ad uso
personale (Cass. pen. Sez. VI, n. 49528 del 13.10.2009, Rv. 245648; Sez. VI, n.
49523 del 9.12.2009, Rv. 245661).
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
2

nove di reclusione ed C 40.000,00 di multa.

argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv.
216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Per il resto, le censure addotte s’appalesano di puro fatto laddove il giudizio di
cassazione rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio
Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti
riservati in via esclusiva al giudice del merito: ma è proprio questa la tendenziale
ed inammissibile pretesa finale delle censure mosse dal ricorrente, e cioè la
rinnovata valutazione dei fatti.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24.4.2013

di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di

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