Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31151 del 24/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31151 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASALINI FRANCESCO N. IL 12/11/1970
avverso la sentenza n. 5263/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del
10/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 24/06/2015

,

Motivi della decisione
Casalini Francesco ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Genova in data 10.02.2014, con la quale è stata
confermata la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Genova il 16.09.2013, in
riferimento al reato di furto aggravato indicato in rubrica.
Con unico motivo il ricorrente contesta l’affermazione di responsabilità
penale. La parte si sofferma sui termini di fatto dell’episodio, come ricostruiti in

rese dal prevenuto solo in chiave colpevolista, senza riconoscere l’attenuante di cui
all’art. 114 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che la parte deduce censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la
Corte di Appello di Genova, nel censire il relativo motivo di doglianza, ha in
particolare rilevato, sviluppando un percorso argomentativo immune dalle
denunciate aporie di ordine logico, che le dichiarazioni confessorie rese dal Casalini
trovavano riscontro nel quadro indiziario acquisito agli atti, posto che la refurtiva

– 2 —

sentenza, e rileva che la Corte di Appello ha valorizzato le dichiarazioni confessore

era stata rinvenuta sotto il bordo della tenda che lo stesso Casalini aveva
posizionato sulla spiaggia.
Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, il Collegio ha considerato
che non sussistevano elementi per modificare il giudizio di bilanciamento delle già
concesse circostanze attenuanti generiche effettuato dal primo giudice, rispetto alla
recidiva ed alle contestate aggravanti, tenuto conto della non particolare tenuità del
fatto e della personalità del reo. E’ poi appena il caso di osservare che l’intervenuta

unico autore del reato, rende in termini non conferente il riferimento, effettuato
dall’esponente, all’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma in data 24 giugno 2015.

definitiva assoluzione del coimputato Intanno e l’individuazione del Casalini quale

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