Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3114 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3114 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Gallo Massimo

nato il 18.11.1972

avverso la sentenza del 3.11.2011
della Corte di Appello di Genova
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Angelo Di Popolo, che ha
chiesto il rigetto del ricorso

f

1

Data Udienza: 21/11/2013

1. La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 3.11.2011, confermava la sentenza del GUP
del Tribunale di Savona, emessa in data 25.6.2008, con la quale Gallo Massimo era stato
condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicata la
diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 1, mesi 9 e giorni 10 di reclusione in
relazione a due violazioni dell’art.73 DPR 309/90, ritenuta per entrambe la circostanza
attenuante speciale di cui al comma 5.
Rilevava innanzitutto la Corte territoriale, nel disattendere i motivi di appello, che l’imputato
aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato per cui non poteva lamentare l’esistenza
di carenze istruttorie, e che, potendo il processo essere definito allo stato degli atti, non era
necessario procedere alla richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
In relazione all’episodio del 4.8.2006, secondo la Corte di merito, la destinazione allo spaccio
emergeva dal dato ponderale (dal panetto di hashish sequestrato erano ricavabili 265 dosi
medie), dal fatto che la sostanza stupefacente fosse occultata sulla persona in un giorno
diverso da quello in cui (secondo lo stesso imputato) era stata acquistata, dal rinvenimento di
una somma di denaro di euro 555,00 la cui lecita provenienza non era giustificata.
Le medesime considerazioni valevano anche in relazione al reato commesso 1’8.10.2006,
risultando il quantitativo rinvenuto incompatibile con un consumo personale (le modalità del
fatto attestavano che il Gallo dovesse rispondere della detenzione di tutto lo stupefacente
rinvenuto); la destinazione allo spaccio era inoltre confermata dal rinvenimento nell’abitazione
di ritagli di cellophane e della somma di euro 800,00, risultando i rilievi difensivi in proposito
destituiti di ogni fondamento.
Infine, la pena inflitta in primo grado era congrua ed adeguata e non poteva essere concesso
il beneficio della non menzione.
2. Ricorre per cassazione Gallo Massimo, a mezzo del difensore, denunciando in relazione
all’affermazione di responsabilità per l’episodio del 4.8.2006 la contraddittorietà ed illogicità
della motivazione. Risultando provato “per tabulas” lo stato di tossicodipendenza dell’imputato,
il dato ponderale non era certo incompatibile con l’uso personale, tenuto conto del b*issimo
principio attivo (gr.6,647) e che, come emergeva da altro procedimento penale pendente (e di
cui non si è tenuto conto), il Gallo aveva appuntamento con Cavallo Francesca, con la quale
doveva consumare parte della droga.
Quanto al possesso della somma di denaro, si era chiesto di provare la lecita provenienza,
subordinando l’istanza di rito abbreviato a tale accertamento (il GUP, però, ingiustificatamente,
in violazione dell’art.441 co.5 c.p.p., rigettava la richiesta, pur trattandosi di accertamento
necessario e decisivo).
Infine, del rinvenimento di un bilancino di precisione nell’abitazione, cui fa riferimento la
sentenza di primo grado, non vi è traccia agli atti.
In ordine all’affermazione di responsabilità per l’episodio dell’8.10.2006, si denuncia la
contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Si assume che l’auto, su cui viaggiava l’imputato con due nordafricani, era stata intercettata
dai Carabinieri e mentre gli occupanti erano condotti in caserma, uno dei militari rinveniva
per terra un involucro, contenente gr.1,32 di eroina, che svuotava riponendolo nello stesso
posto. Dopo poco sopraggiungeva il Gallo (che nel frattempo era stato rilasciato), a bordo di
una moto, e prelevava l’involucro. Incomprensibilmente la Corte territoriale ha ritenuto che
l’imputato dovesse rispondere di concorso nella detenzione dell’intero quantitativo di sostanza
stupefacente contenuta nell’involucro e che, comunque, essa fosse destinata allo spaccio (il
dato ponderale non è certo incompatibile con l’uso personale).
Contraddittoria ed illogica è la motivazione anche in ordine alla somma di denaro rinvenuta
nell’abitazione (anche sul punto era stata richiesta integrazione probatoria illegittimamente
rigettata, pur essendo necessaria e decisiva) e sui ritagli di cellophane.
Denuncia, infine, il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed al rigetto
della richiesta del beneficio della non menzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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RITENUTO IN FATTO

2. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla sentenza delle Sezioni
Unite del 18.7.1997 n.4), la valutazione prognostica della destinazione della sostanza, ogni
qual volta la condotta non appaia correlabile al consumo in termini di immediatezza, deve
essere effettuata dal giudice tenendo conto di tutte le circostanze soggettive ed oggettive del
fatto, con apprezzamento di merito sindacabile in sede di legittimità solo in rapporto ai vizi di
cui alla lett.e) dell’art.606 c.p.p. Sicchè non è censurabile la motivazione che attribuisca
univoco significato della destinazione allo spaccio alla detenzione quando la quantità dello
stupefacente sia notevolmente superiore al bisogno personale per un periodo circoscritto. E’
del tutto evidente che nelle ipotesi relative a quantitativi non elevati l’indagine in relazione alla
destinazione allo spaccio debba essere, invece, più penetrante e condotta con riferimento ad
altri elementi indiziari emergenti dalle concrete modalità della fattispecie, come la qualità di
tossicodipendente, le condizioni economiche dell’imputato, l’accertato compimento pregresso di
fatti sintomaticamente rivelatori di propensione allo spaccio, le modalità della custodia e di
frazionamento della sostanza, il ritrovamento di strumenti idonei al taglio.
2.1. La Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto che
dalle risultanze processuali emergesse, senza ombra di dubbio, la destinazione allo spaccio
della sostanza stupefacente in relazione ad entrambi i capi di imputazione.
Con riferimento all’episodio del 4.8.2006 ha evidenziato, infatti, che il dato ponderale era già di
per sé estremamente significativo, essendo stato il Gallo trovato in possesso di un
quantitativo di hashish da cui potevano essere ricavate ben 265 dosi medie; la destinazione
(almeno parziale) a terzi era ulteriormente confermata dal fatto che la droga era stata
trovata occultata sulla persona dell’imputato in un giorno diverso da quello in cui egli stesso
aveva dichiarato di averla acquistata e dalla mancanza di una capacità economica tale da
consentirgli un approvvigionamento di siffatta consistenza.
Quanto all’episodio dell’8.10.2006, la Corte territoriale, disattendendo i rilievi difensivi, ha
ritenuto che la destinazione allo spaccio emergesse da una pluralità di elementi, quali il dato
quantitativo, il rinvenimento presso l’abitazione di piccoli ritagli di cellophane (utilizzati per il
confezionamento di singole dosi di sostanze stupefacente destinate alla vendita) e di una
somma di denaro (euro 800,00), incompatibile con i redditi percepiti dalla modesta attività
lavorativa svolta.
3. Il ricorrente con il ricorso ripropone i medesimi rilievi già disattesi dalla Corte territoriale.
3.1. Quanto al rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, va ricordato che l’art.438
comma 5 c.p.p. stabilisce che l’imputato può subordinare la richiesta di definizione del
processo allo stato degli atti ad una integ9zione probatoria necessaria ai fini della decisione.
Il giudice dispone il giudizio abbreviato setintegrazione probatoria richiesta risulta necessaria
ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del
procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili.
E’ necessario, dunque, perché possa farsi luogo a giudizio abbreviato condizionato che, tenuto
conto delle risultanze già acquisite, la richiesta di integrazione appaia “necessaria” e
“compatibile”. Tali requisiti debbono pacificamente ricorrere entrambi, per cui in difetto anche
di uno solo di essi il giudice deve rigettare la richiesta.
In relazione alla compatibilità con le finalità di economia processuale, il legislatore, pur
allargando con la L.16.12.1999 n.479 le “maglie” del rito abbreviato si è preoccupato,
comunque, di non snaturare le finalità proprie del rito. Evidentemente la semplificazione del
meccanismo processuale e l’intento deflattivo perseguiti (a fronte del meccanismo premiale
della riduzione di un terzo della pena) verrebbero inevitabilmente compromessi
dall’espletamento di integrazioni probatorie defatiganti e non celeri.
Quanto alle caratteristiche dell’altro presupposto, non c’è dubbio che “per l’identificazione del
carattere di “necessità” della integrazione probatoria richiesta, debba farsi riferimento ad un
titolo specifico della prova, più stringente di quella provvista dei tradizionali requisiti di
pertinenza/rilevanza e non superfluità previsti dall’art. 190.1 del codice di rito, a norma del
quale il giudice può escludere solo “le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente
sono superflue e irrilevanti”. Il valore probante dell’elemento da acquisire, cui fa riferimento

3

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

4.,

3.1.1. Il GIP, nel rigettarla richiesta di rito abbreviato condizionato, aveva ritenuto, in ordine
alla ricezioneAel luglio 2006,di un assegno a titolo rimborso Irpef, irrilevante l’accertamento
richiesto “in quanto non pertinente a quella che è l’ipotesi accusatoria”; la richiesta, poi, di
acquisizione di verbali di arresto, e/o pedinamento, e/o perquisizione e/o interrogatorio
relativi a Hatmi Fathi e Aissa Soufiene riguardava altro procedimento e, comunque, tali atti
avrebbero potuto essere prodotti dalla difesa (cfr. ver. ud. Prel. 26.3.2008).
La Corte territoriale, a sua volta, ritenendo implicitamente corretta l’ordinanza del GIP, ha
rigettato la richiesta di integrazione probatoria, potendo il processo essere definito allo stato
degli atti.
In effetti, come si è visto in precedenza, la destinazione allo spaccio viene desunta da una
pluralità di elementi. E il riferimento alla somma di denaro trovata in possesso dell’imputato (la
cui lecita provenienza da un rimborso Irpef costituiva una mera allegazione difensiva) è
utilizzato dalla Corte di merito al solo fine di dimostrare l’infondatezza della tesi
dell’approvvigionamento per uso meramente personale (“..non si comprende come il Gallo,
tossicodipendente, con una modesta attività lavorativa, dopo aver acquistato 265 dosi di
hashish per uso meramente personale, spendendo 450 euro, potesse ancora essere in
possesso della somma di euro 555″).
Anche in ordine all’episodio
dell’8.10.2006, ha ritenuto non necessari ulteriori
approfondimenti,
risultando dalle stesse modalità e svolgimento dei fatti la penale
responsabilità dell’imputato.
3.2. In relazione a quest’ultimo episodio/ anche con il ricorso si continua ad affermare che, del
tutto incomprensibilmente i Giudici di merito hanno ritenuto che l’imputato dovesse rispondere
della detenzione a fini di spaccio dell’intero quantitativo di sostanza stupefacente.
E’ pacifico che il termine”detenzione” non implichi necessariamente un contatto fisico
immediato tra il soggetto attivo e la sostanza stupefacente, altrimenti lo stesso si
identificherebbe con il portare indosso, ma deve essere inteso nel senso di disponibilità di
fatto della sostanza stupefacente, realizzata attraverso l’attrazione della stessa nell’ambito
della propria sfera di custodia, anche in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un
potere manuale da parte del soggetto attivo (cfr. Cass.pen. Sez. 4 n.47472 del 13.11.2008).
La distinzione, poi, tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da un altro
soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un
comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo
richiede, invece, un contributo partecipativo positivo – morale o materiale- all’altrui condotta
criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della
droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale
questi può contare (cfr. ex multis Cass.pen.sez. 4 n.4948 del 22.1.2004; conf. Cass.sez.6
n.14086 del 18.2.2010).
I Giudici di merito hannox ampiamente e correttamente argomentato, in ordine alla riferibilità
all’imputato di tutta la sostanza stupefacente, evidenziando che il Gallo non solo si era recato
ad acquistare lo stupefacente insieme ai due nordafricani, ma poi aveva cercato di riprenderlo
dopo che, a seguito dell’inseguimento dei Carabinieri, era stato gettato fuori dall’auto (pag. 4
sent. app.).

4

l’art. 438.5 c.p.p., va sussunto piuttosto nell’oggettiva e sicura utilità/idoneità del probabile
risultato probatorio ad assicurare il completo accertamento dei fatti rilevanti nel giudizio,
nell’ambito dell’intero perimetro disegnato per l’oggetto della prova dalla disposizione generale
di cui all’art. 187 c.p.p.. Di talché, la doverosità dell’ammissione della richiesta integrazione
probatoria ne riflette il connotato di indispensabilità ai fini della decisione e trova il suo limite
nella circostanza che un qualsiasi aspetto di rilievo della regiudicanda non rimanga privo di
solido e decisivo supporto logico-valutativo” (Cass.sez.un.n.44711 del 27.10.2004)
La giurisprudenza successiva si è attestata su tale indirizzo interpretativo, sottolineando che la
necessità dell’integrazione probatoria “…presuppone da un lato l’incompletezza di
un’informazione probatoria in atti, dall’altro, una prognosi di positivo completamento del
materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa, valutazione insindacabile in sede
di legittimità se congruamente e logicamente motivata” (cfr.cass. sez.2 n.43329 del
18.10.2007).

A-

3.3. Anche con riferimento alla determinazione della pena ed al rigetto della richiesta di
concessione del beneficio della non menzione la motivazione è adeguata ed immune da vizi
logici e come tale non è sindacabile in sede di legittimità.
Ha rilevato, infatti la Corte. lerritoriale che la pena inflitta in primo grado non era suscettibile
di riduzioni di sorta, avendaeGIP tenuto conto, da un lato, della circostanza che l’imputato si è
volontariamente sottoposto ad un programma riabilitativo, ma, dall’altro, anche del
comportamento processuale improntato a negare anche l’evidenza, delle modalità dei fatti e
del quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto.
E, sulla base di tali evidenziati elementi negativi, ha ritenuto che l’imputato non potesse
neppure beneficiare della “non menzione”.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21.11.2013

Tale ulteriore comportamento attestava, in modo inequivocabile, che il Gallo dovesse
rispondere “della detenzione di tutto lo stupefacente di cui al capo di imputazione con i due
nordafricani e non solo pro quota” (pag.3 sent.).

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