Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3110 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3110 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
AIELLO ALESSANDRO
MICCICHE’ MASSIMO
CASCINO ANTONINO
VALENTINO ALESSANDRO
CAMILLERI SALVATORE

n. l’ 11/01/1976
n. 1’11/10/1972
n. il 05//11/1954
n. il 24/08/1968
n. il 07/02/1972

avverso la SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI PALERMO
del 12/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
Udita la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO PRESTIPINO
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Dott. Giovanni Di Leo che ha
concluso nei confronti dell’Aiello l’ per l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente
al capo 50 perché estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena; e per
l’inammissibilità, nel resto, del ricorso; nei confronti del Micchichè, per l’ annullamento senza
rinvio perché il reato è estinto per prescrizione; ni confronti degli altri ricorrenti per
l’inammissibilità dei rispettivi ricorsi; Sentiti l’ avv. Domenico Trinceri per Cascino Antonino e
l’avv. Cinzia Pecoraro per
che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi; sentito
L’avv. Franco Moretti Per la PARTE CIVILE che ha concluso per la dichiarazione di
inammissibilità o comunque per il rigetto di tutti i ricorsi, e per la condanna alle spese
dell’Aiello, del Valentino e del Camilleri.

Data Udienza: 11/12/2015

1.Con sentenza del 12.12.2012, il Tribunale di Palermo dichiarava, per quel che qui interessa:
-Aiello Alessandro colpevole del reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al
capo 2, esclusa l’aggravante di cui al co 5 dell’art. 416 cod. pen., del reato di cui all’art. 416 co
uno cod. pen. quale promotore fondatore e organizzatore dell’associazione per delinquere di
cui al capo 17 della rubrica accusatoria, dei reati di falso dì cui ai capi 5, 8, 10, 22 e 50, dei
reati di frode informatica (art. 640 ter cod. pen.) di cui ai capi 19 e 20, del reato di cui all’art.
12 D.L. nr. 143/1991 (capo 23), del reato di ricettazione di cui al capo 52
– Miccichè Massimo, colpevole del reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui
al capo 2, esclusa l’aggravante di cui al co 5 dell’art. 416 cod. pen., del reato di cui all’art. 416
co uno cod. pen. quale promotore fondatore e organizzatore dell’associazione per delinquere di
cui al capo 17 della rubrica accusatoria, dei reati di falso di cui ai capi 5, 8, 10, 22, dei reati di
frode informatica (art. 640 ter cod. pen.) di cui ai capi 19 e 20, del reato di cui all’art. 12 D.L.
nr. 143/1991 (capo 23);
-Camilleri Salvatore del reato di associazione per delinquere di cui al capo 18, in relazione al
capo 17; del reato di frode informatica di cui al capo 20;
– Cascino Antonino del reato di associazione per delinquere di cui al capo 2 e del reato di
ricettazione di cui al capo 16;
-Valentino Alessandro del reato di associazione per delinquere di cui al capo 17, come semplice
partecipe, così riqualificata l’originaria contestazione ex art. 416 co uno cod. pen., e del reato
di frode informatica di cui al capo 20;
e li condannava, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale per l’Aiello, il Camilleri, e il
Cascino, alle pene per ciascuno di essi indicate in dispositivo, previa unificazione per
continuazione dei reati ascritti all’Aiello, al Miccichè al Camilleri e al Valentino;
1.1.Con sentenza del 10.3.2015, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di
primo grado, dichiarava, nei confronti di Miccichè Massimo, la prescrizione dei reati allo stesso
ascritti ai capi 2,5,8,10,19,20,22 e 23, e rideterminava la pena, per il residuo reato di cui al
capo 17, in anni tre e mesi sei di reclusione; confermava la sentenza nei confronti dell’Aiello
del Cascino del Camilleri e del Valentino.
2. Riguardo all’Aiello (i giudici di appello procedono direttamente dall’analisi delle posizioni dei
singoli imputati senza un’autonoma valutazione “collettiva” delle contestazioni associative) la
sentenza ricorda che il procedimento era nato da una perquisizione eseguita il 22.11.2003
all’interno della sede della fantomatica soc. “Tecno clima” di via Bara all’Olivella 56, dove si
trovava in quel momento l’Aiello insieme a tale Paterna Bartolomeo Nell’occasione, i
verbalizzanti avevano rinvenuto numerose carte d’identità provenienti da furti già denunciati
dai titolari, e strumenti per la creazione di false carte d’identità. Il quadro probatorio era stato
poi completato dall’esito delle intercettazioni disposte nel corso delle indagini.
2.2. Nello specifico delle contestazioni associative di cuF ai capi 2 e 17, la Corte di merito rileva
quindi che dalle risultanze istruttorie potrebbe agevolmente desumersi che il primo dei due
gruppi criminali si incaricava sistematicamente, con l’attiva partecipazione dell’Aiello, di creare
false carte di identità per ottenere l’apertura di conti correnti ed altri rapporti presso banche o
agenzie postali, al fine di mettere in circolazione assegni intestati a soggetti di fantasia o di
utilizzare altri strumenti di pagamento. Che si trattasse di attività stabili e coordinate,
risulterebbe secondo i giudici di appello, già dall’esito della perquisizione che aveva dato avvio
alle indagini, eseguita nei confronti dell’Aiello e del Paterna nell’abitazione di via Bara
all’Olivella 56„ in ragione del copioso materiale destinato alla realizzazione del programma
criminoso, cioè numerosi timbri degli uffici comunali, documenti d’identità falsificati, dati
anagrafici di soggetti vari costretti a “prestare”, ignari, la propria identità agli ideatori del
meccanismo criminale, ecc. … (vedi aniplius, Pag. 5 della sentenza impugnata, che richiama, a
sua volta, del pag. da 5 a 8 della sentenza del Tribunale). In questo quadro “strutturale” si
sarebbe inserita anche la costituzione della Soc. “Tecno clima”, una società “fantasma” avente
sede apparente in via Bara all’Olivella n. 56 e apparentemente amministrata dal fantomatico
Dioguardi Bartolomeo. Nelle attività del gruppo sarebbero risultati inseriti, tra gli altri, oltre
all’Aiello, il Miccichè e il Cascino.
2.3.L’associazione criminale descrìtta al capo 17, e composta secondo l’accusa, oltre che
dall’Aiello, dal Miccichè, dal Valentino, dal Cannilleri e da altri soggetti, avrebbe invece operato
nel settore delle frodi informatiche, realizzando i reati fine di cui ai successivi capi 19 e 20

RITENUTO IN FATTO

attraverso la fraudolenta acquisizione della titolarità di varie “numerazioni non geografiche” per
la gestione di cali center a pagamento. In sostanza, gli imputati si sarebbero inseriti nei sistemi
informatico – telematici di gestori telefonici o di centralini “istituzionali” riuscendo a dirottare gli
importi delle chiamate verso i cali center controllati dal gruppo. I giudici di appello richiamano
la conversazione del 17 settembre del 2004, di cui l’Aiello sarebbe uno degli interlocutori, nel
corso della quale lo stesso Aiello avrebbe descritto chiaramente le modalità operative del
sodalizio, spiegando in particolare all’altro colloquiante che le truffe in danno dei gestori
telefonici avvenivano con l’utilizzazione di codici forniti da un terzo soggetto.
2.4.Quanto ai delitti fine, quelli collegati all’associazione di cui al capo 2 risultavano
chiaramente, secondo la Corte di merito, dall’esito della perquisizione del 22.11.2003 e dalle
vicende relative all’apertura di un conto corrente postale intestato al fantomatico Vitale
Bartolomeo, acceso con l’utilizzazione della documentazione falsa predisposta dall’Aiello, che
doveva identificarsi con ImAlessandro” di cui era cenno in alcune conversazioni tra il Miccìchè e
il Paterna.
2.5. I reati di cui ai capi 22 e 23, che costituiscono nella ricostruzione dei giudici territoriali,
l’esplicazione del programma criminale dell’associazione di cui al capo 17, erano stati
commessi, come si legge in sentenza (pag. 7), con l’utilizzazione della falsa identità di un
inesistente Giglio Pietro, nominativo utilizzato dal Miccichè e dall’Aiello nella gestione di vari
servizi telefonici “civetta” a pagamento. Anche in questo caso, la prova dei fatti sarebbe
consolidata dall’esito delle attività intercettative.
2.5.1.Riguardo alle frodi informatiche, poi, i giudici di appello ricordano che esse procurarono
un danno effettivo ai gestori telefonici, come risulterebbe dalle indicazioni della parte civile
Telecom.
2.6. Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la particolare gravità dei fatti e l’evidente
professionalità a delinquere dimostrata dall’imputato, giustificherebbero la valutazione della
rilevanza della recidiva e imporrebbero di ritenere congrua la pena determinata dal giudice di
primo grado.
3.Cascino Antonino sarebbe identificabile (vedi pag. 9 della sentenza di appello) come uno
degli interlocutori di tale D’Angelo nelle conversazioni riportate alle pagine 23 e ss. della
sentenza di primo grado, nel corso delle quali il primo avrebbe rivolto pressanti richieste al suo
interlocutore perché gli procurasse moduli di assegni di provenienza delittuosa (di qui la
contestazione ex artt. 81 cpv. e 648 cod. pen. di cui al capo 16, che si aggiunge
all’imputazione associativa). La telefonata dimostrerebbe già il ruolo dì stabile ricettatore di
titoli da parte del Cascino al sevizio dell’associazione di cui al capo 2, e la sua piena
partecipazione al gruppo criminale, confermata peraltro dalle sue iniziative di reperire un locale
destinata all’attività illecita del sodalizio, e di fornire nominativi di fantasia da utilizzare per
l’accensione di conti correnti, come la “Car center di Nino Varruso” di cui è cenno nella
conversazione del 29.1.2004 citata a pag. 29 della sentenza di primo grado.
3.1.La Corte di merito ribadisce poi la rilevanza della recidiva e la congruità della pena inflitta
all’imputato considerando il numero e la gravità dei suoi precedenti penali e la sua implicazione
in procedimenti paralleli per fatti analoghi, potendosene desumere l’indicazione di un soggetto
stabilmente incline al delitto.
4.Valentino Alessandro, nei cui confronti è stato confermato il giudizio di condanna per il reato
associativo di cui al capo 17 e per i reati fine di cui ai capi 19 e 20, sarebbe inserito nel gruppo criminale di riferimento come gestore di sette numerazioni a tariffa speciale 899 e 166
utilizzate dai sodali per la realizzazione di frodi informatiche. La responsabilità dell’imputato
emergerebbe, secondo i giudici di appello, dalle conversazioni de 9 del 23 settembre 2004.
4.1. Anche riguardo al Valentino la Corte ribadisce la valutazione degli elementi strutturali
dell’associazione sub 17; il Miccichè riceveva i codici per effettuare le chiamate, il Camilleri e il
Valentino si occupavano dei centri servizi altri sodali effettuavano le chiamate; l’Aiello
coordinava il gruppo. Sicura sarebbe l’identificazione dell’imputato, tra l’altro personalmente
intestatario di alcune numerazioni a tariffazione speciale; pacifica l’effettività del danno
provocato ai gestori telefonici Telecom ed Eutelia (sul punto la Corte di merito richiama le
osservazioni della sentenza di primo grado, pag. 31), attraverso la canalizzazione dei proventi
delle truffe su un conto corrente postale creato dall’Aiello e dal Miccichè a nome dell’inesistente
Giglio Pietro, le cui generalità figuravano su un falso documento di identità corredato di una
fotografia del Miccichè.

4.2.1 gravi precedenti penali dell’imputato, ripetutamente condannato per i reati di furto e
ricettazione e per violazioni finanziarie, e le modalità esecutive delle truffe, suggeriscono ai
giudici di appello di confermare la rilevanza della recidiva, attesa la personalità dell’imputato
come soggetto stabilmente dedito alla consumazione di delitti.
5.Miccichè Massimo. I giudici di appello condividono le valutazioni del tribunale (pagg. 21 e 22
della sentenza di primo grado) sul ruolo di primo piano assunto dal Miccichè all’interno delle
associazioni criminale di cui ai capi 2 e 17 e nella programmazione e realizzazione dei reati
fine. Con riferimento al capo 2, e ai relativi reati fine, sarebbe provata la partecipazione del
Miccichè alla creazione della falsa carta di identità intestata all’inesistente Giglio Pietro al fine
di accendere un conto corrente postale dove canalizzare i proventi delle truffe informatiche
telefoniche; accertati, attraverso il contenuto di alcune conversazioni intercettate, i suoi
rapporti criminali con il Paterna, al quale egli indicava i dati personali che sarebbero stati poi
utilizzati per la creazione di altri conti correnti, rivelando fra l’altro la dimestichezza con l’uso
dello scanner per la creazione di falsi documenti; ulteriormente significativa dell’implicazione
nei fatti del Miccichè sarebbe la fotografia con cui il ricorrente aveva offerto la propria
immagine al fantomatico Giglio Pietro, apparente titolare della società ISITEL, coinvolta nelle
truffe telefoniche.
5.1. Con riferimento al capo 17, la Corte di merito ricorda che il Miccichè risultava titolare
della soc. Starline (vedi capo 19 della rubrica accusatoria) titolare di una delle numerazioni non
geografiche utilizzate per alterare il funzionamento del sistema informatico telefonico della
Telecom e che intratteneva rapporti con il cittadino cingalese che forniva i codici per effettuare
telefonate ai centri servizi a pagamento organizzati per le truffe, tanto risultando dalla
deposizione del teste Morganti e da numerose conversazioni telefoniche;
5.2. La Corte dì merito giustifica poi il rigetto delle istanze difensive dirette ad una riduzione
della pena per il reato di cui all’art. 17, l’unico sopravvissuto alla prescrizione nei confronti del
Miccichè, in considerazione della gravità dei fratti, della professionalità criminale dimostrata
dall’imputato e del suo coinvolgimento in altri processi per fatti analoghi conclusisi con
sentenze di condanna.
6.Camilleri Salvatore. Secondo i giudici di merito, il Camilleri risulterebbe inserito
nell’associazione per delinquere di cui al capo 17 e sarebbe altresì coinvolto nei reati fine di
cui ai capi 19 e 20. Il Camilleri sarebbe infatti identificabile come il gestore di uno dei centri
servizi artatamente istituiti dal gruppo criminale per la realizzazione delle truffe telefoniche, la
World Line, intestataria di una delle numerazioni che consentivano la distrazione a favore degli
imputati, degli importi dovuti alla Telecom per le telefonate dirette ai centri servizi “civetta”.
La Corte di merito respinge l’obiezione difensiva incentrata sugli effettivi assetti gestori della
World Line, che risultava formalmente amministrata dalla moglie dell’imputato, richiamando le
considerazioni svolte a pag. 50 della sentenza del Tribunale sul ruolo di gestore fatto della
società assunto dal Camillerì.
6.1. In punto di trattamento sanzionatorio, i giudici di appello confermano il giudizio di
rilevanza della recidiva e ribadiscono la congruità della pena inflitta all’imputato con la
sentenza di primo grado, sottolineando la gravità delle condotte, la particolare intensità del
dolo e la pericolosità dell’imputato, desumibile anche dai suoi precedenti penali.
7. Hanno proposto ricorso per cassazione tutti i predetti imputati, il Valentino e il Camilleri
personalmente, gli altri per mezzo dei rispettivi difensori, deducendo i seguenti motivi.
7.1. Aiello Alessandro:
a) violazione degli artt. 546 lett. E) e 125 co 3 cod. proc pen. Secondo la difesa
l’individuazione dell’Aiello come uno dei soggetti coinvolti nella vicenda processuale,
deriverebbe esclusivamente dal contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, rispetto alle
quali egli sarebbe stato identificato tra gli interlocutori sulla base dell’inaffidabile
riconoscimento “vocale” DEI VERBALIZZANTI. Il ricorso si dilunga quindi sui criteri ch debbono
essere seguiti per l’interpretazione del contenuto delle intercettazioni segnalando il rischio che
attraverso il riferimento a massime di esperienza si finisca per l’attribuire alle conversazioni
significati dedotti da semplici congetture.
b) Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al reato associativo sub 2. Dopo avere
richiamato i limiti della motivazione per relationem, la difesa rileva che in realtà il
coinvolgimento dell’Aioello nella presunta struttura associativa sarebbe in larga parte il frutto
della sua arbitraria identificazione come il sogegtto di nome Alessandro a cui si riferiscono terzi
interlocutori di alcune telefonate, dovendosi al riguardo considerare la possibilità di confusione

che emergerebbe dalla circostanza che nella vicenda processuale sono coinvolti altri due
soggetti con lo stesso nome di battesimo. Dopo avere ricordato le caratteristiche strutturali
dell’associazione per delinquere, la difesa rileva che “dai fatti processuali emerge che l’Aiello
non aveva fatto parte di alcun sodalizio o vincolo associativo stabile, né tanto meno perseguiva
un programma criminoso comune agli altri imputati. Nella specie sarebbe quindi al più
configurabile un concorso di persone nel reato continuato. Ciò sarebbe dimostrato dalla
sporadicità dei contatti tra i presunti associati D’altra parte non si comprenderebbe come un
programma associativo avrebbe potuto svilupparsi dopo il sequestro del materiale rinvenuto
nel 2003.
c) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo 17 Si tratta del
secondo reato associativo contestato all’imputato. Anche in questo caso, la difesa deduce la
configurabilità di un concorso di persone nel reato, e sostiene che l’eventuale apporto
nell’organizzazione, semmai dovesse essere ravvisabile, sarebbe stato comunque così
marginale da escludere che si fosse tradotto in una condotta di partecipazione. Anche in questo
caso, la difesa rileva un’insufficiente continuità di contatti tra i presunti associati, l’esito
negativo dei servizi di osservazione ecc., e sottolinea che nemmeno sarebbe stata accertato in
concreto alcun danno per la Telecom.
d) Errata contestazione della recidiva. Il motivo è erroneamente titolato, perché dallo sviluppo
argomentativo risulta che la difesa lamenti piuttosto l’immotivata rilevanza attribuita alla
recidiva dai giudici di merito. L’Aiello, all’epoca dei fatti stato gravato da precedenti di “minor
allarme sociale”. Esclusa la recidiva, tutti i reati dovrebbero essere dichiarati prescritti.
e) Violazione dell’art. 606 lett. B) cod. proc. Pen. in relazione all’art. 159 cod. proc. Pen.
Secondo la difesa, la sospensione dei termini prescrizionali in conseguenza dei rinvii
determinati dall’astensione “sindacale” dalle udienze dei difensori, avrebbe dovuto essere
contenuta in sessanta giorni, non potendo corrispondere all’intero intervallo di tempo rispetto
alla ripresa del dibattimento. Il calcolo corretto comporterebbe anche sotto questo profilo la
prescrizione di tutti i reati.
f) Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche. Il motivo procede dal singolare rilievo dell’incensuratezza
dell’imputato, e dall’altrettanto singolare riferimento alle condizioni di vita individuali,
ambientali e sociali di un certo Taormina Angelo. Per il resto, è sviluppato sulla falsariga di
un’ampia illustrazione della funzione delle attenuanti innominate e della giurisprudenza di
legittimità in materia. La difesa sottolinea poi particolarmente che la negazione delle proprie
responsabilità da parte dell’imputato, corrispondendo al legittimo esercizio del diritto di difesa,
non potrebbe mai inibire la concessione di dette attenuanti
7.2. Miccichè Massimo.
a) Il primo motivo riproduce le deduzioni del difensore dell’Aiello sul calcolo dei periodi di
sospensione della prescrizione in caso di rinvio del dibattimento per l’astensione dalle udienze
dei difensori.
b) Con il secondo motivo, la difesa si duole dell'”errore” della Corte territoriale rispetto
all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato associativo di cui al capo 17. Non
sarebbe sufficiente l’indicazione di prova, ritenuta del tutto isolata dalla difesa, desumibile
dall’apposizione della fotografia del ricorrente sul documento di identità intestato all’inesistente
Giglio e utilizzato per Vdel conto corrente su cui confluivano i pagamenti di Eutelia. Nella
presunta associazione si registrerebbe il protagonismo dominate dell’Aiello, non paragonabile
alla trascurabile partecipazione ai fatti del ricorrente. In ogni caso, sarebbe del tutto illogica
l’attribuzione al Miccichè del ruolo apicale supposto dall’accusa. La derubricazione del fatto nei
termini di una semplice partecipazione, comporterebbe poi la prescrizione del reato.
Cascino Antonino
c) Violazione di legge ex art. 606 lett b) in relazione agli artt. 192 cod. proc. Pen. e difetto di
motivazione ex art. 606 lett. E) . Sarebbe del tutto congetturale e apodittico il percorso
motivazionale della sentenza impugnata già con riferimento alla fondamentale questione
dell’identificazione del Cascino come uno degli interlocutori del D’angelo in alcune delle
intercettazioni ritenute significative. Non risulterebbe infatti, dal contenuto delle conversazioni,
alcun reale riferimento ad un locale nella disponibilità del ricorrente, circostanze che
refluirebbe sulla posizione associativa del Cascino. Illogica sarebbe anche la valutazione della
rilevanza probatoria delle conversazioni ai fini dell’accertamento della responsabilità del
ricorrente tanto in ordine al reato di cui all’art. 648 cod. pen. che in ordine al reato associativo,

Peraltro, sarebbe rilevabile anche la genericità e fumosità della contestazione del reato di
ricettazione. -d) Riguardo al reato associativo, inoltre, il ricorrente deduce una palese
contraddizione nelle motivazioni delle due sentenze di merito, poiché quella di primo grado
afferma che la semplice intermediazione continuata nella rivendita di tioli di credito provento
dei reati fine, sarebbe di per sé non significativa e addirittura confliggente con l’ipotesi
associativa; quella di appello, che il ruolo associativo del ricorrente ben può essere raffigurato
come quello di stabile ricettatore di titoli procurati da altri.
e) Violazione di legge ex art. 606 lett. B) in relazione agli artt. 99, 157 cod. pen. e 129 cod.
proc. Pen.. Il motivo si riferisce all’erronea contestazione della recidiva reiterata e
infraquinquennale. Rileva il difensore che l’unica condanna per reati non colposi antecedente ai
fatti per cui è processo è quella di cui alla sentenza della Corte di Appello di Palermo del
15.3.199, irrevocabile il 21.2.2000, e che le altre non sarebbero quindi computabili ai fini della
recidiva. La questione ricorda la difesa, era stata posta ai giudici di appello in sede di
conclusioni all’udienza del 10.3.2015. Peraltro, i reati oggetto di questa sentenza sarebbero
stati uniifcati per continuazione con quelli di cui alla sentenza del Tribunale di Palermo del
23.6.2004, divenuta irrevocabile il 31.3.2005, cioè successivamente ai fatti oggetto del
presente procedimento. Il “ridimensionamento” della recidiva comporterebbe poi la
prescrizione di tutti i reati.
7.3. Valentino Alessandro.
Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla conferma del giudizio di responsabilità
nei suoi confronti. La mancanza di elementi probatori avrebbe dovuto piuttosto indurre la Corte
territoriale pronunciare sentenza di assoluzione. In particolare, da un’attenta lettura del
complesso delle conversazioni acquisite nel corso del processo di primo grado, emergerebbe
chiaramente la totale estraneità ai fatti del ricorrente.
7.4. Camilleri Salvatore:
a) violazione di legge in relazione agli artt. 192 cod. proc. Pen. 416 e 640 ter cod. pen. 62 bis
cod. Pen., e difetto di motivazione tanto in punto di responsabilità che, subordinatamente
rispetto alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
a.1. Sotto il primo profilo, il ricorrente ricorda, con riferimento al reato associativo, che la
World Line era intestata alla moglie, e che difetterebbero indicazioni di prova sulla sua
ingerenza di fatto nella stessa società; inoltre, i presunti reati satellite sì configurerebbero
come episodi autonomi, legati unicamente dalla coincidenza dei soggetti coinvolti, e non
sarebbe stata comunque dimostrata alcuna stabile e duratura collaborazione tra lo stesso
ricorrente e gli altri coimputati.
a.2. Quanto al trattamento sanzionatorio, il ricorrente rileva che il diniego delle attenuanti
generiche sarebbe contrario alla loro specifica funzione di mitigazione delle troppo severe pene
previste dal Codice Rocco.
Considerato in diritto
1. Sulla questione preliminare della prescrizione sollevata dalle difese, si deve premettere che
L’art. 159 c.p.p. come modificato dalla L. n. 251 del 2005, art. 6, prevede che la sospensione
della prescrizione possa avvenire per impedimento “ovvero su richiesta” dell’imputato o del suo
difensore e poi prevede il limite massimo dei sessanta giorni di sospensione solo per il caso di
impedimento. L’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze è stata regolata con la L. n.
83 del 2000, dopo che la Corte Costituzionale, con la decisione n. 171 del 1996, aveva definito
tale astensione come esercizio del diritto dì libertà sindacale e, pertanto, ne aveva sollecitata
una disciplina normativa per contemperarlo con i diritti fondamentali della difesa e con il buon
andamento dell’amministrazione della giustizia. Il fatto che tale diritto abbia acquisito piena
legittimazione giuridica e piena tutela, non toglie però che il suo esercizio rimane espressione
di una scelta e non può essere ritenuto un impedimento ai sensi dell’art. 159 c.p.p. che per
l’appunto distingue le ipotesi di impedimento, identificabili in quelle previste dall’art. 420 ter
c.p.p. e cioè di assoluta impossibilità a comparire, da quelle aventi ad oggetto una richiesta di
rinvio. La richiesta di differimento dell’udienza per aderire ad una astensione collettiva deve
quindi essere considerata una richiesta tutelata dall’ordinamento col diritto ad ottenere un
differimento, ma non costituisce un impedimento in senso tecnico, visto che non discende da
una assoluta impossibilità a partecipare all’attività difensiva e, pertanto, rientra nell’ipotesi
disciplinata dall’art. 159 c.p.p. come richiesta dì rinvio alla quale non si applica il limite
massimo di sessanta giorni di sospensione (Cassazione penale sez. fer. 29 luglio 2008 n.
32954; Sez. 3, 17 ottobre 2007 n. 4071, rv. 238544; Sez. 5, 14 novembre 2007 n. 44924, rv.

2. Del tutto generiche e per lo più assertive sono le ricorrenti deduzioni difensive sulla
presunta illogicità delle argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla ritenuta sussistenza
dei reati associativi sub 2 e sub 17.
2.1. Nel ricorso a favore dell’Aiello la “dogmatìcità” della contraria opinione difensiva è
icasticamente espressa,quanto all’associazione sub 2), dall’inciso secondo cui ” dai dati
processuali emerge che l’Aiello non faceva parte di alcun sodalizio o vincolo associativo
stabile”; l’affermazione è accompagnata dalla precisazione che l’Aiello avrebbe conosciuto, tra i
coimputati, soltanto il Paterna e il Miccichè, e il motivo è per il resto sviluppato sulla base di
considerazioni astratte sul reato associativo. A prescindere dalla considerazione che il numero
di “conoscenze” dell’Aiello sarebbe sufficiente ad integrare ìl requisito numerico minimo per
l’esistenza di un’associazione per delinquere, la Corte di merito sottolinea del tutto
logicamente quanto emerso in occasione della perquisizione del 22.11.2003, quando l’imputato
fu trovato in possesso di copioso materiale idoneo alla falsificazione di documenti di identità; e
altrettanto incisivamente indugia sull’articolazione organizzativa chiaramente desumibile dalla
predisposizione di strutture societarie come la World Line, e dalla attivazione delle numerazioni
non geografiche per la gestione di cali center.
2.1.1. Del resto, relativamente al gruppo criminale sub 17), lo stesso difensore finisce con il
riconoscere una certa strutturazione dell’attività criminale, quando rileva che “l’eventuale
apporto dell’Aiello nell’organizzazione, quando fosse stato dimostrato. .è comunque
assolutamente marginale, tale da non poter integrare la condotta di partecipazione”.
2.2. Nel ricorso a favore del Camilleri, poi, si deduce, a proposito dell’associazione sub 17, che
“i presunti reati satellite non solo si configurano come episodi autonomi, ma appaiono altresì
legati fra loro unicamente dalla coincidenza dei soggetti coinvolti, senza alcuna prerogativa di
sistematicità” affermazione che nella sua sostanziale assertività lascia pur sempre intravedere,
nelle rilevate “coincidenze” soggettive rispetto ad una pluralità di episodi criminosi, un
embrionale nucleo associativo.
2.2. In realtà, fin troppo agevolmente la Corte di merito ravvisa i tratti distintivi della
fattispecie associativa nelle risultanze istruttorie convenientemente sottolineate, che

237914; Sez. 2, 12 febbraio 2008 n. 20574, non massimata; Sez. 1, 17 giugno 2008 n.
25714; nel senso che La sospensione del corso della prescrizione per l’adesione del difensore
all’astensione di categoria non è limitata alla sola durata dello “sciopero”, ma si estende al
tempo resosi necessario per gli adempimenti tecnici imprescindibili al fine di garantire il
recupero dell’ordinario svolgersi del processo, ivi compresi i tempi derivanti dal così detto
“carico di lavoro”, posto che tutte le parti processuali condividono con il giudice che dispone il
rinvio la responsabilità dell’ordinato svolgimento del processo, vedi Sez. 4, Sentenza n. 46359
del 24/10/2007 Rv. 239020, Antignani. Le deduzioni difensive non hanno ben chiara la
differenza tra legittima scelta e legittimo impedimento, e d’altra parte si pongono in contrasto
con indirizzi di legittimità ormai assolutamente consolidati, senza proporre argomenti di una
qualche rilevanza per orientare un eventuale mutamento di giurisprudenza. Il calcolo del
periodo complessivo di sospensione, corretto in diritto, è stato poi analiticamente effettuato
dalla Corte di merito. Il difensore di Miccichè Massimo si riferisce soltanto al rinvio disposto
all’udienza del 26.6.2014 senza nemmeno indicare la natura dell’impedimento, e senza
contestare, in sostanza, che si trattasse di rinvio determinato dall’astensione dalle udienze,
dovendosi quindi tener fermo che (anche) quel rinvio operò sospensivamente per tutta la
durata del differimento del dibattimento (fino al 10.11.2014); non è chiaro poi se lo stesso
difensore intenda “sottrarsi” ai periodi di sospensione determinati da astensioni altrui alle quali
egli non abbia eventualmente partecipato (e che portano il periodo complessivo di sospensione
ad anni uno, mesi quattro e gg. 25, come calcolato dalla Corte, senza specifiche contestazioni
difensive rispetto al risultato totale, in quanto ottenuto con l’esclusione del limite dei sessanta
giorni). A quest’ultimo riguardo va però osservato che la sospensione del dibattimento si
estende a tutti i coimputati del medesimo processo allorché costoro, ove non abbiano dato
causa essi stessi al differimento, non si siano opposti al rinvio del dibattimento ovvero non
abbiano sollecitato l’eventuale separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili (cfr., ex
plurirnis, Cass. Sez. F, Sentenza n. 49132 del 26/07/2013 De Seriis e altri), circostanze non
dedotte dalla difesa.. Si vedrà oltre che la manifesta infondatezza delle questioni difensive
attinenti alla recidiva esclude anche per questa altra via la maturazione del termine
prescrizionale.

4.3. Rispetto alla qualifica di dirigente che l’accusa attribuisce all’Aiello nell’associazione sub
17,Ia difesa non interloquisce particolarmente, né potrebbe certo dirsi che la questione sia
interamente “assorbita” nella deduzione dell’assenza tout court di condotte di partecipazione.

permettono, anzi, di cogliere l’epifania del reato associativo anche indipendentemente dalla
realizzazione del reati fine, in relazione all’autonoma rilevazione dei mezzi predisposti per la
realizzazione del programma criminale, per sé già inequivocabilmente significativi, ciò che
concorre a privare di qualunque fondamento l’affermazione difensiva secondo cui difetterebbe
nella specie l’elemento “temporale” dell’associazione. La strumentalità dei mezzi predisposti
dagli associati al perseguimento di un programma criminale indefinito nel tempo è, infatti, di
tutta evidenza, nelle giuste valutazioni dei giudici di appello, essendosi del resto il disegno
delittuoso già esplicatosi con la realizzazione di illeciti profitti, ed essendo stato interrotto solo
da un’efficace azione di contrasto istituzionale.
2.2. Considerazioni del tutto analoghe valgono anche per l’associazione di cui al capo 17,
identicamente strutturata con l’acquisizione di numerazioni non geografiche per la gestione di
cali center a pagamento, e con la creazione di apposite società.
3. Quanto alle singole posizioni, va subito rilevata l’assoluta genericità del ricorso del
Valentino, che si riassume nell’apodittica deduzione che “la mancanza di elementi probatori
avrebbe dovuto indurre la Corte di Appello dì Palermo a riformare la sentenza di primo grado
e, per l’effetto, assolvere l’imputato in ordine a reati a lui ascritti per non avere commesso il
fatto”. Lo stesso vale anche per il reato fine contestato allo stesso ricorrente al capo 20,
accomunato dalla difesa al reato associativo nella vaghissima e assertiva deduzione della
inesistenza di prove, senza alcuna interlocuzione sulle ampie argomentazioni dedicate al
ricorrente alle pagg. 11 e ss. della sentenza impugnata.
4. Per quel che riguarda Aiello Alessandro, si è già detto che la difesa svaluta del tutto
arbitrariamente la rilevanza probatoria della perquisizione del 22.11.2003, che costituisce un
dato di prova fondamentale nelle valutazioni della Corte territoriale. Ma la decontestualizzazione, rispetto al complessivo quadro probatorio, delle indicazioni di prova a
carico dell’imputato, è evidente anche nella deduzione difensiva sulla presunta arbitrarietà
dell’identificazione dell’imputato in quel soggetto di nome “Alessandro” a cui si riferiscono gli
interlocutori (il Paterna e il Miccichè) di alcune conversazioni significative oggetto di
intercettazione. La difesa sottolinea soprattutto che nel processo figurano coinvolti vari
soggetti dì nome “Alessandro”, ma l’attribuibilità dello stesso nominativo al ricorrente è
dedotta del tutto correttamente dalla Corte di Appello sulla base del riferimento degli
interlocutori alla sparizione di alcuni certificati dai quali ricavare i dati occorrenti per la
creazione di false identità, cioè lo stesso materiale rinvenuto nella “centrale” associativa di via
Bara all’Olivella gestita dal ricorrente (peraltro ivi sorpreso insieme al Paterna, cioè proprio uno
dei due interlocutori delle conversazioni in oggetto).
4.1. La questione dell’inattendibilità dell’identificazione “vocale” del Paterna e del Miccichè da
parte degli inquirenti, è posta poi dalla difesa senza alcun riferimento a specifiche risultanze
istruttorie e non compare tra i motivi di appello elencati nella sentenza impugnata. La Corte di
merito non accenna in alcun modo a tale tipo di identificazione e del resto nella sentenza di
primo grado (richiamata sul punto a pag. 12 di quella di appello) si accenna all’individuazione
delle utenze intercettate e alla loro riferibilità “nominativa”). le ampie dissertazioni difensive
sull’attendibilità di un’identificazione vocale si rivelano così del tutto sterili oltre che in astratto
infondate (sull’ammissibilità del riconoscimento vocale, cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 22722 del 06/03/2007 Ud. (dep. 11/06/2007, Rv. 236763 Imputato Grande
Aracri e altri; Cass Sez. 2, Sentenza n. 47673 del 23/11/2004 Cc. (dep. 09/12/2004 ) Rv.
229909 Imputato Teri). Le deduzioni sui contenuti delle conversazioni sono poi alquanto
generiche e assertive, senza contare che la Corte di merito cita anche il coinvolgimento diretto
dell’Aia° in altre conversazioni significative (pag. 6 della sentenza impugnata).
4.2.. Non si registrano specifiche deduzioni difensive sui reati fine, salva la questione
dell’effettivo danno subito dalle società telefoniche vittime delle truffe. Anche sul punto, però,
le censure difensive sono del tutto generiche, a fronte delle precise puntualizzazioni contenute
nella sentenza impugnata (pag. 8, dove il riferimento alle indicazioni desumibili da una
conversazione dell’Aiello del 17.9.2004 e alla deposizione del rappresentante della Telecom).
Per il resto, le ampie argomentazioni delle sentenze di merito rimangono prive di effettiva
confutazione.

In ogni caso, il dominante protagonismo del ricorrente nel sodalizio di cui al capo 17 è messo
bene in luce dalla Corte di merito (vedi pag. 6, dove fra l’altro il riferimento alle attività di
“reclutamento” di soggetti incaricati di effettuare le chiamate ai servizi a pagamento con
addebito, e di coordinamento con altri incaricati di fornire i codici per le chiamate.

4.4.1. In ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, l’impianto
argomentativo delle corrispondenti censure difensive è irrimediabilmente destabilizzato dal
riferimento a un tal Taormina Angelo, del tutto incensurato, riferimento evidentemente frutto
di un qualche refuso “informatico”.
5. Il ricorso del Camilleri muove da astratte considerazioni sulla struttura del reato associativo,
per poi tentare una assai debole e generica contestazione del ruolo assunto dal ricorrente di
gestore di fatto della World Line, formalmente intestata alla moglie. Il ricorrente si limita a
rilevare sul punto che l’iter motivazionale che ha condotto i giudici ad attribuirgli tale ruolo
“risulta viziato sia sotto il profilo logico che sotto quello giuridico” ma non spiega in alcun modo
perché; piuttosto oscuro, e alquanto contraddittorio, è il successivo inciso, dove l’osservazione
che “tale assunto -cioè il ruolo di gestore di fatto della World Line- può semplicemente
dimostrare l’occasionalità dell’intervento dell’odierno ricorrente…..”.
5.1. La Corte di merito, con il rinvio alle motivazioni del giudice di primo grado, rievoca in
sostanza il riferimento al contenuto di numerose intercettazioni (pag. 50 e ss. della sentenza
del tribunale) dalle quali risulta lo stretto collegamento tra l’Aiello e il Camillerí nella
realizzazione delle frodi informatiche, che trovavano nella World Line un essenziale, e
intrinsecamente durevole, strumento operativo, e su questi dati di prova non si registra
nessuna interlocuzione difensiva.
5.2. I motivi in punto di trattamento sanzionatorio, in particolare con riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche, sono persino più vaghi; il ricorrente non va oltre la
considerazione della loro funzione di mitigazione delle severe pene previste dal Codice Rocco,
ovviamente, però, non attivabile indiscriminatamente, con l’aggiunta del rilievo del carattere
non ostativo della gravità del fatto. Manca però del tutto, in ricorso, l’indicazione di
circostanze concrete particolarmente favorevoli al ricorrente, anche selezionate al di fuori del
catalogo dell’art. 133 cod. pen., che avrebbero dovuto suggerire alla Corte di merito una
diversa valutazione della meritevolezza delle circostanze innominate.
6. I motivi in punto di responsabilità formulati nell’interesse del Cascino, muovono da una
soltanto suggestiva e fuorviante interpretazione dei contenuti di prova analizzati dalla Corte di
merito con riguardo all’identificazione del ricorrente come l’interlocutore del D’Angelo nelle
telefonate di cui alle pagg. 23 e 30 della sentenza di primo grado. L’identificazione sarebbe
stata resa possibile, secondo i giudici di appello, sulla base delle risultanze istruttorie che
indicavano un soggetto di nome “Nino” (corrispondente al diminutivo del nome di battesimo
del ricorrente) come quello attivatosi per reperire un locale da mettere a disposizione
dell’associazione di cui al capo 2, e che successivi accertamenti avevano localizzato all’interno
dello stabile.
6.1.La difesa obietta che nessuna indicazione a carico del ricorrente si ricaverebbe dal tenore
delle conversazioni il cui contenuto è oggetto di integrale riproduzione nella sentenza di primo
grado, cercando così di “oscurare” il dato di prova effettivamente utilizzato per l’identificazione
del Cascino, cioè non le intercettazioni letteralmente riprodotte, ma quelle citate nella sentenza
di primo grado con rinvio per relationem alla perizia di trascrizione in atti (pagg. 101-103; vedi
pag. 23 in fine della sentenza di primo grado). E proprio sulla base di queste intercettazioni
“altre” furono eseguiti gli accertamenti di pg che portarono all’individuazione del magazzino
ubicato all’interno dello stabile condominiale in cui risiedeva il ricorrente (vedi pag. 9 della
sentenza di appello). Sotto questo profilo il ricorso si rivela peraltro a-specifico, e i dati di

4.4.Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di merito ha motivato in concreto sulla
rilevanza delle recidiva, in considerazione della particolare intensità del dolo e dei precedenti
penali a carico del ricorrente; la difesa oppone il generico rilievo della presunta scarsa
rilevanza dei precedenti, che sarebbero relativi a reati di minor allarme sociale.

prova posti a base delle valutazioni della Corte di merito rimangono definitivamente
incontestati.

6.2. Per quel che riguarda il motivo sulla recidiva, basterebbe già rilevare che esso non fa
parte del devolutum alla stregua dell’atto di appello. In ogni caso, anche considerando come
unico precedente quello di cui alla sentenza della Corte di Appello di Palermo del 15.3.199,
divenuta irrevocabile il 21.2.2000, troverebbe comunque applicazione il comma 2 dell’art. 99
cod. pen. con il conseguente aumento di pena della metà e, nella stessa misura, del termine
ordinario “basico” di prescrizione, e con l’allungamento del termine prorogato stabilito, per i
recidivi “qualificati” dall’art. 161 co 2 cod. pen. Tanto basterebbe comunque a scongiurare la
prescrizione, anche senza l’ulteriore aumento dei termini per la recidiva qualificata reiterata.
Del tutto erronea in diritto è infatti la tesi suggerita in sostanza dal ricorrente secondo cui i
fatti di cui alla sentenza del 2000 non varrebbero ai fini della recidiva perché ritenuti in
continuazione con i reati di cui alla sentenza del Tribunale di Palermo del 23 giugno del 2004,
divenuta irrevocabile solo il 31.3.2005, trattandosi di una singolare e irricevibile pretesa di
“aggiornamento” temporale dei reati precedenti. La continuazione spiega effetti soltanto
all’interno del rapporto tra i reati interessati (e, peraltro, all’interno di tale rapporto non è
incompatibile con la recidiva), e ogni fatto conserva la sua autonomia giuridica e la sua
specifica connotazione fattuale ad ogni altro effetto, come ad es agli effetti della prescrizione.
7. Per quel che riguarda il Miccichè, la questione sull’effettivo ruolo del ricorrente all’interno
dell’associazione di cui all’art. 17 è mal posta dalla difesa in termini impropriamente
“comparativi”, cioè con riferimento al protagonismo assertivamente più dominante dell’Aiello
nello stesso sodalizio, e con la presunta riferibilità al solo Aiello degli atti di riscossione delle
somme ricavate dalle truffe. A prescindere dalla più che dubbia decisività di quest’ultima
circostanza, le deduzioni difensive sul punto sono fondate sull’evidente forzatura di un
passaggio della motivazione della Corte di merito,perché i giudici di appello, in un altro
passaggio argomentativo (pag. 15) affermano in realtà inequivocabilmente che anche il
Miccichè provvedeva agli incassi. E’ vero però, soprattutto, che la posizione apicale del
ricorrente nell’associazione è con ben maggiore incisività affermato in sentenza in ragione del
suo ruolo centrale nella ISITEL, la società utilizzata per le truffe, e con la sottolineatura che il
ricorrente curava i rapporti con il cittadino cingalese che forniva i codici di accesso ai servizi
“civetta”. La difesa nega anche quest’ultima circostanza, ma ancora una volta solo
assertivamente.
Alla luce delle precedenti considerazioni i ricorsi vanno dichiarati inammissibili per genericità
e/o manifesta infondatezza, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. Pen. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
1000,00 alla cassa delle ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi
ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità; Aiello Alessandro, Camilleri
Salvatore e Valentino Alessandro (la difesa di parte civile ha escluso dalle proprie richieste il
Miccíchè, mentre il Cascino non risulta coinvolto nelle truffe a danno della Telecom) vanno
altresì condannati, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado del giudizio
dalla parte civile Telecom Italia c.p.a., liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

6.1.1. E’ ovvio poi che l’attivismo del ricorrente a favore dell’associazione proprio rispetto alle
sue esigenze organizzative, concorra a dimostrare, come bene hanno ritenuto i giudici di
appello, la sua intraneità al gruppo criminale, privando del tutto di rilievo le presunte
contraddizioni tra sentenza di appello e sentenza di primo grado in relazione alla valutazione,
in termini di affectio societatis, dell’attività del Cascino come stabile ricettatore per conto degli
altri affiliati, e ciò, prescindendo dalla considerazione che rileverebbero semmai le
contraddizioni “interne” all’elaborato motivazionale della sentenza di appello, non quelle
rilevabili da un confronto tra questa e la sentenza di primo grado, attesi tra l’altro i poteri di
integrazione e di rettifica riconosciuti al giudice di appello rispetto alle motivazioni della
sentenza impugnata.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende, nonché Aiello
Alessandro, Camilleri Salvatore e Valentino Alessandro alla rifusione in solido delle spese
sostenute nel presente grado del giudizio dalla parte civile Telecom Italia c.p.a., che liquida in
€ 5.500 oltre s se forfettarie nella misura del 15%, C.P.A. e I.V.A.
ad 1’11.12.2015.
Così deciso

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