Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31064 del 24/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31064 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI IENNO ORLANDO N. IL 30/07/1980
avverso la sentenza n. 1673/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 19/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Data Udienza: 24/06/2015

Fatto e diritto

DI IENNO Orlando ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando
quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di furto in luogo di privata

l’aggravante di cui all’art. 625, n. 2, c.p., per avere infranto il vetro di una finestra per
accedere all’interno del locale.

Con il ricorso si ripropongono questioni già disattese dal giudice di appello relative
all’identificazione della rimessa agricola, quale luogo di privata dimora, alla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 2, c.p., alla diversa qualificazione del fatto come
tentativo.

Il ricorso è inammissibile, perché è tale il ricorso per cassazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del
motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non
potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità conducente, a norma dell’articolo 591, comma 1, lettera

c),

c.p.p.,

all’inammissibilità (Sezione IV, 8 luglio 2009, Cannizzaro).

E ciò a fronte di decisione che appare incensurabile in fatto e soprattutto corretta
nell’applicazione dei principi di diritto.

Quanto alla prima censura, vale il principio secondo cui la nozione di ” privata dimora”
nella fattispecie di furto in abitazione è più ampia di quella di “abitazione”, in quanto va
riferita al luogo nel quale la persona compie, anche in modo transitorio e contingente,
atti della vita privata ( v. da ultimo, Sezione V, 17 dicembre 2014, Lattanzio, rv.
262659). Correttamente, pertanto, la Corte di merito ha ritenuto che il casolare, ove si
è introdotto l’imputato, in quanto adibito a rimessa di attrezzi agricoli e, quindi,
utilizzato dal proprietario per il compimento temporaneo di atti della vita privata, fosse
inquadrabile nella nozione di” privata dimora”.

dimora ( un casolare di campagna adibito a rimessa di attrezzi agricoli), con

Non è censurabile neanche la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2
c.p., argomentata attraverso le convergenti dichiarazioni testimoniali dell’operante e del
proprietario, rispetto alle quali le doglianze sono tipicamente di fatto e come tali, non
proponibili in questa sede.

motivato – con apprezzamento irepdacabilg jer punto di fatto- sulla acquisita
disponibilità autonoma di alcuni beni, porta i fuori dal casolare e lasciarptii dinanzi
al suo ingresso, a causa dell’arrivo del proprietario, [sia pure per un arco temporale
molto limitato] da parte dell’imputato: ciò che configura i presupposti del furto
consumato. Come è noto, infatti, in tema di furto, ai fini dell’impossessamento e della
sottrazione è sufficiente che la cosa sottratta sia passata -anche per breve tempo e
nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata- sotto il dominio esclusivo
dell’agente. Il reato è quindi consumato anche se in un secondo momento altri [ qui, la
polizia giudiziaria] o la stessa persona offesa abbia impedito al suo autore di assicurarsi
definitivamente il possesso della cosa sottratta, magari costringendo lo stesso agente
ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione. (cfr. Sez. IV, 7 aprile 2005,
Volpi).

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro,
in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 24 giugno 2015

Sul motivo afferente la configurabilità del tentativo, va rilevato che la Corte di merito ha

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