Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31055 del 12/01/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31055 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
RACHELE Rocco, nato il17.03.19 68;

Avverso l’ordinanza n° 494/2016 del Tribunale del Riesame di Napoli in data
20.05.2016;

Visti gli atti e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

Sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Luigi Birritteri, che
ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il difensore avv. Michele Novella, che ha insistito per l’accoglimento delle ragioni
del ricorso;

Data Udienza: 12/01/2017

RITENUTO IN FATTO
l. Con ordinanza in data 23.02.2016 del GUP del Tribunale di Reggio Calabria

veniva applicata a Rachele Rocco la custodia cautelare in carcere per la imputazione
di partecipazione alla associazione di tipo mafioso detta “cosca Pesce” ed avere
effettuato per essa attività di contrabbando di gasolio nonché di avere, quale
amministratore di fatto della società “Rachele Trasporti srl”, la ripartizione dei

cosca, attraverso l’emissione di assegni giustificati come pagamento di fatture, ma
afferenti ad operazioni inesistenti (fatti posti in essere nel periodo 2006/2012 in
Rosarno) .
2. Il Rache!e avanzava istanza di riesame.
Con ordinanza in data 20 .05.2016 il Tribunale di Reggio Calabria confermava
l’ordinanza impugnata: si rilevava che il Rachele era stato scarcerato il 21.11.2014
per ritenuta insussistenza di un grave quadro indiziario, ma poi aveva riportato il
23.02.2016 la condanna alla pena di anni und ici di reclusione per il delitto indicato;
così il giudice applicava nuovamente la custodia in carcere. La difesa del Rachele
aveva censurato il fatto che l’unico elemento di novità era costituito dalla condanna e
che i fatti de quibus non erano recenti, mentre, successivamente alla scarcerazione, il
Rachele aveva tenuto condotta regolare, per cui non vi erano esigenze di cautela; ma
il Tribunale riteneva che l’emissione della condanna costituisse adeguato compendio
indiziario e giustificato fatto nuovo idoneo a fondare la presunzione di pericolosità
disposta dalla legge per il delitto di cui all’art. 416 bis cod .pen.: l’esito del
procedimento e le modalità del fatto accertato erano elementi sopravvenuti che si
sovrapponevano alla valutazione del passato, considerato che il procedimento non
aveva

fatto

emergere

alcun

elemento

positivo

che fosse

indicativo di

una

incompatibilità con il permanere del vincolo associativo o d i un allontanamento
definitivo da ambiti criminali, a ciò non bastando il mero trascorrere del tempo; del
resto, si trattava di un reato permanente in una realtà ‘ndranghetistica connotata
dalla impossibilità per l’intraneo di allontanarsi liberamente dalla consorteria, la
quale non era disarticolata e offriva concretamente nuove occasioni di delitto.
3. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del suo
difensore, deducendo, con il primo motivo, erronea applicazione di legge e manifesta
illog icità della motivazione: si sostiene che la motivazione dell’ordinanza impugnata
era stata depositata soltanto il 04.07 .2016 e cioè ben oltre i 45 giorni di termine di
cui al comma 10 dell ‘art 309 cod.proc.pen., poiché la decisione era stata assunta il
20.05 .2016 e questo era il dies

a quo. Con il secondo motivo si deduce erronea

applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: si sostiene che il
Tribunale non aveva r isposto alla censura difensiva relativa al fatto che la mera
sentenza d i condanna non fosse sufficiente a legittimare l’applicazione di una misura
2

proventi dei servizi resi al centro distribuzione merci CEDISA tra gli esponenti della

cautelare, giacchè il materiale probatorio era lo stesso in base al quale nell’anno

2014 il Rachele era stato scarcerato per carenza indiziaria; il giudice, quindi, aveva
applicato una misura senza operare una valutazione concreta delle esigenze cautelari
e senza considerare che non vi era stato alcun elemento sopravvenuto, mentre dopo
la scarcerazione il Rachele non aveva posto in essere alcuna condotta significativa di
un avvicinamento ad ambiti criminali né parimenti che non si poteva applicare una
misura sulla sola base della gravità del reato e in assenza di ogni elemento di

4. In udienza il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Il difensore del ricorrente
ha fatto riferimento alla data del deposito del dispositivo ed ha sottolineato che i fatti

de quibus si arrestavano all’anno 2012, per cui non vi era né concretezza né attualità
delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO
l. I l ricorso deve essere rigettato poiché infondato.

2. Con il primo motivo di doglianza si sottopone a questa Corte il problema di
verificare, alla luce della Novella dell’aprile del 2015, da quando decorre il termine
perentorio per il deposito dell’ordinanza che ha deciso una richiesta di riesame e
quando esso scada.
Fra gli aspetti di maggior impatto innovativo della L 16.4.2015 n. 47 rientra
sicuramente la nuova formulazione del comma 10 dell’art. 309 cod.proc.pen.,
introdotto dall’art. 11, comma S. Il testo precedentemente vigente prevedeva che
l’ordinanza applicativa perdesse efficacia in due sole specifiche ipotesi: l) quella in
cui gli atti posti a sostegno della richiesta di misura non fossero stati trasmessi entro
il termine di cinque giorni dalla richiesta, ai sensi del comma 5 dello stesso art . 309;
2) quella in cui la decisione sulla richiesta di riesame non fosse intervenuta entro il
termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, ai sensi del comma 9 dell’art. 309. A
tale ultimo proposito, deve rilevarsi che era del tutto consolidata, in giurisprudenza,
l’interpretazione secondo cui il termine doveva ritenersi rispettato se, entro il decimo
giorno dalla ricezione degli atti, il tribunale avesse deliberato sulla richiesta di
riesame ed avesse provveduto al deposito del dispositivo: non risultando invece
necessario il deposito, nei dieci giorni, anche della motivazione dell’ordinanza (Cass
Sez. Un. 17 aprile 1996, n. 7, Moni, Rv. 205256 e, da ultimo, Sez. II, 9 aprile 2014,
n. 23211, Morinelli, Rv. 259652).
In tale contesto normativa e giurisprudenziale, la Novella è intervenuta inserendo,
all’interno del decimo comma dell’art. 309, delle novità.
E’ stato introdotto – accanto a quelli, già indicati nel testo previgente e sopra
richiamati, per la trasmissione degli atti e per la decisione – anche un distinto ed
ulteriore termine per il deposito dell’ordinanza in cancelleria, quantificato in trenta
3

JM
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concretezza ed attualità dei rischi paventati.

giorni decorrenti dalla decisione, salvo che la stesura della motivazione si riveli
particolarmente

complessa

“per il numero degli arrestati o la gravità delle

imputazioni” : in tale ipotesi, il giud ice può disporre per il deposito un termine più
lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della
decisione. Anche il nuovo termine – come quelli relativi alla trasmissione degli atti ed
alla decisione – ha natura perentoria, essendo anche la sua violazione “sanzionata”
con la perdita di efficacia dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.

In sintesi l’attuale disciplina prevede i seguenti termini perentori: 1) entro 5 giorni
gli atti su cui si fonda la misura devono essere trasmessi al Tribunale del Riesame; 2)
il Tribunale deve decidere (dich iarando l’inammissibilità della richiesta, annullando,
riformando o confermando l’ordinanza oggetto di riesame) entro 10 giorni dalla
ricezione deg li atti; 3) l’ordinanza del Tribunale del Riesame deve essere depositata
in Cancelleria entro 30 giorni dalla decisione, salvi i casi sopra indicati relativi al
term ine di giorni 45 (Sez. 6, n° 22818 del 15.04.2016, Rv 267128).
Tanto premesso, il ricorrente afferma che non sia stato rispettato l’ultimo dei tre
termini perentori e cioè che la motivaz ione del provvedimento impugnato sia stata
depositata oltre il quarantacinquesimo giorno dalla decisione: ciò perché la decisione
era intervenuta in data 20.05.2016 e la motivazione era stata depositata in
cancelleria in data 04.07.2016.
Tuttavia è erroneo il presupposto da cui muove il ricorrente: il dies a quo da cui
computare il termine non era il giorno 20.05.2016 bensì il giorno 21.05.2016 poiché
in detto ambito non trova applicazione il disposto dell’art. 297 cod.proc.pen.
(propriamente attinente ai termini di durata delle misure cautelari), ma va applicato

il disposto del comma 4 dell’art. 172 cod.proc.pen., il quale così recita : «Salvo che la
legge disponga altrimenti, nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui ne è
iniziata la decorrenza».
In altri termini, tema di decorrenza dei termini di custodia cautelare, la previsione
di cui all’art. 297, comma l , cod . proc . pen. – per la quale gli effetti della custodia
cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo – deroga alla
disciplina generale del computo dei termini (art. 14, comma secondo, cod . pen. e

172, comma 4, cod. proc. pen .) che prevede la non computabilità del dies a quo, ma
si tratta appunto di una eccezione espressa ai principi generali sui termini ed è
applicabile al tema della decorrenza dei termini di custodia cautelare : il che, del
resto, si spiega in base alla diversa natura del termine di cui si t ratta, il quale non ha
la funzione di predeterminare il tempo utile per il compimento di un atto del
processo, ma quella di porre un lim ite temporale alla privazione d i libertà personale
dell’imputato (Sez. 5, n° 47979 del 2 1. 10.2008, Rv 242943; Sez. 6, n° 22035 del

23.05.2012, Rv 252883).

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Tale è il caso esaminato nel presente procedimento .

Così, chiarito che il giorno di decorrenza del termine era appunto il giorno
21.05.2016, è agevole constatare che il quarantacinquesimo giorno dal dies a quo
cadeva proprio in data 04.07.2016, giorno appunto in cui è avvenuto il deposito della
motivazione in cancelleria (deposito, dunque, da ritenersi come tempestivo e
rispettoso del termine di legge).
Peraltro, anche se ininfluente, giova notare che persino nella prospettazione del
ricorrente la doglianza non avrebbe potuto essere accolta:

infatti,

in quella

sarebbe caduto in data 03.07.2016, che però era giorno festivo (trattavasi di una
domenica) e ciò avrebbe comunque prorogato la scadenza del termine al primo
giorno non festivo successivo, e cioè il 04.07.2016 (trattavasi di un lunedì). Si
consideri che, in tema di computo dei termini processuali, la regola posta dall’art.
172, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui il termine stabilito a giorni, che cade in
giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, si applica anche
agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce, pertanto, anche al termine per
la redazione della sentenza o di altro provvedimento {Sez. Un. n° 155 del
29.09.2011, Rv 251494).
3. Con il secondo motivo di doglianza il ricorrente lamenta una mancata
considerazione delle reali esigenze cautelari, giacchè il giudice avrebbe utilizzato quale argomento assorbente – l’emissione di una sentenza di condanna a carico del
ricorrente medesimo per la medesima situazione che già aveva condotto, in
precedenza, alla scarcerazione per carenza indiziaria.
Non vi è dubbio che l’emissione di una condanna per il delitto di cui all’art. 416 bis
cod .pen. sia stata il momento valutativo fondamentale per il Tribunale: ma nemmeno
sarebbe

ragionevole

affermare

che

una

simile

circostanza,

che

ripristina

il

presupposto della gravità indiziaria non potesse essere utilizzata. Del resto, la
suddetta decisione si pone nel solco degli orientamenti di questa Corte, cha ha già
affermato che i gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura
cautelare, possono essere desunti anche dal semplice dispositivo di una sentenza di
condanna, ancorchè non sia stata ancora depositata la motivazione (Sez. 3, n° 6780
del 27.01.2012, Rv. 251990).
Del resto, il Giudice della cautela (e quello della impugnazione}, nel verificare la
eventuale insussistenza delle esigenze cautelari presunte dalla legge quando si tratta
di applicare la misura in riferimento ad uno dei reati previsti nell’art. 275
cod.proc.pen., comma 3, è tenuto a considerare un ampio panorama di elementi di
fatto, ma ciò non vale a mutare i limiti dell’obiettivo della analisi demandatagli, che è
solo e sempre quello dell’apprezzamento della insussistenza di esigenze cautelari già
presunte dal Legislatore.
Il Tribunale, circa la ricorrenza delle esigenze cautelari, richiama espressamente la
presunzione relativa di sussistenza delle medesime, in virtù della confermata gravità
5

prospettazione il dies a quo era il 20.05.2016, ma, in tal caso, il termine di giorni 45

indiziaria sul del itto di partecipazione alla associazione mafiosa, contestato sino
all’anno 2012.
Il pericolo di reiterazione viene dunque ritenuto concreto ed attuale.
Il ricorrente evidenzia che il tempo decorso tra la condotta e l’emissione del titolo
imponeva una motivaz ione in positivo circa l’attualità del pericolo di reiterazione ed
in tal senso contesta l’impianto motivazionale.
Sul punto, va anzitutto affermato che il richiamo alla necessaria «attualità» delle

nel testo dell’art. 274 cod.proc .pen. dal legislatore del 2015 (art. 1 e 2 del la leM
n.47),

ma può affermarsi che la novella rappresenta

~~chiamo d~~,t,li~

all’osservanza di una nozione già presente nel sistema. Già l’intervento normativo del
1995 conteneva – in via generale – la previsione per cui nel valutare la ricorrenza dei
pericula libertatis fosse necessario tener conto del tempo trascorso dalla commissione
del reato (art. 292 cod.proc.pen.).
Se dunque si pone mente a tale prescrizione, è del tutto evidente che il realizzato
abbinamento – nel 2015 – del termine ‘attualità’ (nel corpo dell’art. 274) a quello di
‘concretezza’ (già presente) realizza una mera endiadi (figura retorica che, secondo
un dizionario comune, consiste nell ‘esprimere un solo concetto per mezzo di due
vocaboli coordinati, allo scopo di rafforzare un’idea).
Con ciò si intende affermare che la volontà del Legislatore è – anche in tal caso rappresentata da un finalismo meramente rafforzativo di un dovere già presente,
posto che un pericolo per dar luogo ad una limitazione della libertà personale deve
essere – da sempre – concreto ed attuale, pena la negazione della stessa natura della
misura cautelare, che è quella di !imitarlo.
Ciò posto, la stessa legge n.47 del 2015, nel recepire le plurime decisioni emesse
dalla Corte Costituzionale sul fronte delle presunzioni di pericolosità, ha mantenuto in
essere, il sistema della presunzione relati va di sussistenza delle esigenze cautelari a
fronte della avvenuta emersione di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di
cui all’art. 416 bis cod .pen. (con correlata presunzione assoluta di adeguatezza della
custodia in carcere) .
Nel medesimo testo di legge, pertanto, da un lato si rafforza la fisionomia
prescrittiva del pericolo correlato alle esigenze (concreto ed attuale) dall ‘altro si
conferma la ricorrenza della presunzione relativa di sussistenza, lì dove la fattispecie
di reato abbia particolari caratteri di offensività .
Va dunque precisato che l’esistenza di una presunzione relativa ex lege di
sussistenza delle esigenze cautelari (art. 275 co.3 cod.proc.pen.) inverte gli ordinari
«poli » del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che
conferma

la

misura cautelare

non

ha ,

in

tal caso,

un

primario obbligo di

dimostrazione «in positivo» della ricorrenza dei pericula libertatis (in presenza dei
gravi indizi di colpevolezza che investono, nel caso di specie, il reato di cui all’art.
6

A
/

esigenze cautelari (unitamente al profilo della concretezza) risulta anch’esso inserito

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 tar L. ~-8-95 n. 332
Rorna. lì •

2-1 GIU. 2017_ –·• /

416 bis cod.pen.) ma ha un obbligo di apprezzamento delle eventuali «ragioni di
esclusione» , tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto di detta presunzione.
Il fondamento logico e giuridico della presunzione relativa di ‘pericolosità’ va
infatti ricercato nelle particolari caratteristiche delle previsioni incriminatrici che
tuttora la sorreggono, nel senso che la riconosciuta (in sede cautelare) partecipazione
del singolo (fermandosi al primo gradino dell’inserimento} a consorzi di stampo
mafioso giustifica un inquadramento – non assoluto – della persona in un ambito di

condivisione di metodi e finalità di simili gruppi, la cui azione collettiva determina
serio pericolo per la integrità di numerosi beni giuridici.
Ciò posto, la stessa qualificazione della presunzione in termini non assoluti (ma,
per l’appunto, relativi} crea sul piano logico la ‘doverosa apprezzabilità’ della prova
contraria, i cui termini – evidentemente – devono muoversi sul terreno della
potenziale neutralizzazione di quell’effetto pregiudicante correlato al pregresso
inserimento nel consorzio mafioso o terroristico.
Questa valutazione è stata compiuta dal Tribunale che, ritenuta non decisiva
l’argomentazione del tempo passato dai fatti, ha considerato la natura permanente
del reato di cui alla condanna di primo grado ed ha constatato l’assenza di segni
positivi che contrastassero la presunzione di pericolosità già menzionata: ciò -scrive
il giudice – anche in relazione alla peculiare natura dell’associazione ‘ndranghetistica,
connotata

sia

da

una

sostanziale

impossibilità

dell’associato

di

svincolarsi

liberamente dal legame con il sodalizio mafioso sia dalla particolare vitalità delle
articolazioni criminali, che sono sempre pronte a reagire all’arresto dei suoi esponenti
per assicurare la continuità delinquenziale.
Il ricorso deve dunque essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Copia del provvedimento sarà trasmesso, a cura della cancelleria, al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.proc.pen.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali .
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Roma, 12 gennaio 2017.

tendenziale ripetitività della particolare condotta illecita, correlato alla antecedente

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