Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31036 del 24/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31036 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LAGUARDIA SALVATORE N. IL 24/04/1983

01′ tcre(c.—
avverso la sentenza n. 925/2010 CORTE APPELLO’`r
SEZ.DIST. di

TARANTO, del 20/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 24/06/2015

Motivi della decisione
Laguardia Salvatore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in data 20.01.2014,
con la quale è stata confermata la sentenza di condanna resa dal Tribunale di
Taranto il 9.03.2010, all’esito di giudizio abbreviato, in riferimento al delitto di furto
ex artt. 624, 625, nn. 2 e 7, cod. pen., così essendo stata riqualificata, da parte del
primo giudice, l’originaria imputazione di ricettazione.
Con il primo motivo il ricorrente contesta l’affermazione di responsabilità

sussistano elementi per individuare Laguardia quale autore della condotta.
Con il secondo motivo l’esponente rileva che la Corte di Appello ha
erroneamente rigettato la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella
pecuniaria della specie corrispondente.
Con il terzo motivo il deducente rileva che erroneamente la Corte territoriale
ha ritenuto che il reato non fosse estinto per prescrizione, pure facendo riferimento
alla recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen., che non risulta contestata.
Con l’ultimo motivo la parte si duole della entità della pena e della mancata
concessione dei benefici di legge.
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo di doglianza è inammissibile.
Si osserva che la parte deduce censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.

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penale. La parte si sofferma sui termini di fatto dell’episodio e ritiene che non

sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la
Corte di Appello, nel censire il relativo motivo di doglianza, ha in particolare
rilevato, sviluppando un percorso argomentativo immune dalle denunciate aporie di

in ragione del rito prescelto – avevano specificato di aver notato il prevenuto,
quando ancora si trovava a bordo dell’autovettura, lato passeggero; e che il
predetto, alla vista dei militari, si era quindi allontanato a piedi.
Il secondo motivo di doglianza è manifestamente infondato.
La Corte di Appello, invero, ha del tutto legittimamente considerato che
l’entità della pena detentiva inflitta, pari a mesi otto di reclusione, non era
ulteriormente mitigabile e che la stessa travalicava il limite legale stabilito per la
sostituzione della pena, ai sensi dell’art. 53, legge n. 689/1981. Oltre a ciò, il
Collegio ha evidenziato che Laguardia aveva usufruito per ben due volte della
sospensione condizionale della pena e che tali benefici erano stati revocati, in
conseguenza della ulteriore condanna riportata dal prevenuto.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Applicando l’art. 157 cod. pen., nel testo modificato dalla legge 5.12.2005,
n. 251, in quanto disciplina più favorevole, si ha che il termine massimo di
prescrizione, relativo al reato di furto pluriaggravato per cui si procede, commesso
il 26.02.2003, risulta pari ad anni dodici e mesi sei, termine che neppure ad oggi
risulta decorso. E’ poi appena il caso di osservare che l’individuazione del termine
ora richiamato prescinde dagli eventuali aumenti per la recidiva, di talché alcuna
rilevanza assumono le doglianze inerenti alla natura della contestata recidiva;
pertanto, la motivazione espressa dalla Corte di Appello, laddove ha rilevato che il
termine prescrizionale non risultava altrimenti decorso, tenuto anche conto della
recidiva, supera comunque la relativa prova di resistenza.
Il quarto motivo di doglianza è inammissibile.
Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente
apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per
quanto concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. E’ appena il caso
di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle
attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto
riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti
punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d.
motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con

ordine logico, che i Carabinieri, nella relazione di servizio – legittimamente acquisita

formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n.
9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai
criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano
frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n.
26908, Rv. 229298). E la Corte di Appello, soffermandosi sullo specifico motivo di
doglianza, ha espressamente considerato che il trattamento sanzionatorio non era

che Laguardia non poteva ulteriormente fruire della sospensione condizionale della
pena. E’ poi appena il caso di rilevare che il riferimento, operato dalla Corte di
Appello, alle precedenti condanne riportate dall’imputato, evidenzia pure
l’insussistenza dei presupposti per l’operatività della non menzione, ex art. 175,
cod. pen.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma in data 24 giugno 2015.

ulteriormente mitigabile; e, come sopra già si è evidenziato, il Collegio ha chiarito

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