Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31030 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 31030 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

44aCV
5.
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•- A
sul ricorso proposto da:
DESALVATORE VINCENZO N. IL 12/10/1986
avverso la sentenza n. 9594/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di SALERNO, del 18/12/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 24/06/2015

Motivi della decisione
De Salvatore Vincenzo ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Salerno in data 18.12.2013, con la quale,
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle
parti in ordine al reato di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
La parte si duole del mancato apprezzamento dei presupposti legittimanti la
pronuncia di sentenza liberatoria ex art. 129 cod. proc. pen.; e denuncia il vizio

Il ricorso impone le considerazioni che seguono.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.

motivazionale in relazione alla entità della pena.

Applicando i richiamati principi al caso di specie, deve osservarsi che i motivi
di doglianza risultano inammissibili.
Ciò posto, osserva il Collegio che l’inammissibilità del ricorso non impedisce
di rilevare d’ufficio l’illegittimità della pena, in riferimento alle sopravvenute
modifiche normative.
Nel caso di specie, è stata riconosciuta l’ipotesi di cui al V comma, dell’art.
73, d.P.R. n. 309/1990, interessata da rilevanti modifiche, intervenute nelle more

secondo le previsioni contenute dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146,
convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014,
n.10, è stata oggetto di un ulteriore intervento correttivo, ad opera della legge 16
maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo
2014, n. 36, recante Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio
sanitario nazionale (pubblicata in G.U. n.115 del 20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73, comma
5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i
mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità
delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a
quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.
Come si vede, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del
presente giudizio, in base al principio di retroattività della legge più favorevole, ex
art. 2, comma 4, cod. pen., prevede pene inferiori, rispetto a quelle alle quali
hanno fatto riferimento le parti nel concludere l’accordo di poi ratificato dal giudice.
In conclusione, la pena concordata si colloca in una diversa fascia del
trattamento sanzionatorio, relativo al reato per il quale si procede.
Conseguentemente, deve rilevarsi che la valutazione effettuata dal giudice,
nell’apprezzare la congruità della pena concordata dalla parti, non risulta altrimenti
conferente, stante l’intervenuta modifica sostanziale del quadro sanzionatorio di
riferimento. Non è chi non veda, allora, che l’accordo concluso dalle parti e
ratificato dal giudice concerne l’applicazione di una pena che non può ritenersi
legittima.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
giacché l’evidenziata illegittimità della pena che è stata applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen. rende invalido il complessivo patto concluso dalle parti. Deve
disporsi la trasmissione degli atti al Tribunale di Salerno, perché proceda a nuovo

del presente giudizio. Come noto, l’autonoma ipotesi di reato di cui oggi si tratta,

giudizio. La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le
parti sono reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e
che, in mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez.
1, Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Salerno per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, in data 24 giugno 2015.

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