Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31020 del 03/07/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31020 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DUBALI VIKTOR N. IL 21/06/1979
DUBALI DANEDA N. IL 13/07/1986
avverso l’ordinanza n. 224/2015 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del
11/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
>re/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Ag-/D

r\)(45.)

Data Udienza: 03/07/2015

FATTO E DIRITTO

1. Dubali Vikto4 e Dubali Daneda ricorrono avverso l’ordinanza del Tribunale di
Bologna, in funzione di giudice del riesame cautelare, dell’11/3/2015, con la
quale venne confermata l’ordinanza del GIP di Modena, con la quale era stata
applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del Victor e
quella dell’obbligo di dimora per la Daneda, entrambi sottoposti ad indagine in
ordine al delitto di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 per aver detenuto per la

per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.

2. Con l’unitaria censura i ricorrenti, denunziando violazione di legge e vizio
motivazionale, si dolgono: a) per essere stata individuata nella condotta della
donna (la quale tentò di liberarsi dello stupefacente all’irrompere della p.g.) la
violazione dell’art. 73 cit., invece che, al più, il delitto di favoreggiamento, non
punibile a motivo del rapporto di coniugio; b) della negata configurabilità
dell’ipotesi attenuata di cui al comma 5 del predetto art. 73; c) dell’applicazione
della più gravosa delle misure cautelari ai danni del Vilktor4, che avrebbe dovuto
essere considerata sproporzionata ed inadeguata.

3. Il ricorso è privo di fondamento.
In ordine al primo profilo i ricorrenti hanno omesso di confrontarsi con la
compiuta motivazione avversata. La donna era nel possesso dello stupefacente,
stante che fu proprio lei a tentare di liberarsi dell’involucro contenente 42,60 gr.
di cocaina. L’invito a vagliare le dichiarazioni del coindagato che concernevano la
posizione della coniuge ai sensi dell’art. 192, cod. proc. pen., non ha pregio in
quanto al di là del contenuto, più o meno contraddittorio delle affermazioni del
marito (il quale, per un verso discolpa la moglie e, per altro verso afferma che la
stessa teneva in tasca lo stupefacente) è sicuramente incontroverso che lo
stupefacente era nella disponibilità materiale della donna ed appare inverosimile
che la stessa non si fosse resa conto del contenuto dell’involucro, anche tenuto
conto dell’attivo illecito commercio svolto tra le mura domestiche.
La motivazione con la quale, allo stato degli atti, il Tribunale ha escluso potersi
configurare l’ipotesi attenuata di cui al comma 5, non è censurabile in questa
sede, avendo la decisione impugnata tenuto conto dell’entità ponderale dello
stupefacente, sufficiente a confezionare numerose dosi singole, della sua qualità,
nonché della professionalità dell’illecito commercio.
Quanto, infine, alla scelta della misura, il Tribunale, esclusa l’episodicità dello
spaccio, considerata la presenza di specifici precedenti (in particolare, nel 2012 i

cessione e aver ceduto sostanza stupefacente del tipo cocaina e il primo, inoltre,

predetti coniugi erano stati arrestati flagranti con la medesima accusa) e
l’utilizzo della casa familiare quale luogo elettivo per lo svolgimento dell’illecito
commercio, ha correttamente giudicato ineludibile la custodia in carcere.

4. Nelle more del giudizio di cassazione è entrata in vigore, la legge 16/4/2015,
n. 47, pubblicata sulla G.U.23/4/2015, avente ad oggetto «modifiche al codice
di procedura penale in materia di misure caute/ari personali. Modifiche alla legge
26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in

In passato le S.U. di questa Corte (sentenza n. 27919 del 31/3/2011, depositata
il 14/7/2011), innovando un difforme consolidato orientamento, hanno statuito
che in assenza di una disposizione transitoria, la misura cautelare in corso di
esecuzione (disposta prima dell’entrata in vigore della novella che, all’epoca,
ebbe ad ampliare, modificando il comma 3 dell’art. 275, cod. proc. pen., il
catalogo dei reati per i quali vale la presunzione legale di adeguatezza della sola
custodia carceraria) non poteva subire modifiche unicamente per effetto della
nuova e più sfavorevole disposizione.
Le ragioni fondamentali di una tale condivisa impostazione riposano sulla
considerazione, che pur non essendo «in discussione il canone tempus regit
actum utilizzato>>,

seguito dalle pronunce che affermavano opposto

orientamento, «L’antica regola costituisce la traduzione condensata dell’art. 11
delle preleggi. Essa enuncia che la nuova norma disciplina il processo dal
momento della sua entrata in vigore; che gli atti compiuti nel vigore della legge
pre vigente restano validi; che la nuova disciplina, quindi, non ha effetto
retroattivo. L’indicato canone corrisponde ad esigenze di certezza, razionalità,
logicità che sono alla radice della funzione regolatrice della norma giuridica.
Esso, proprio per tale sua connotazione, è particolarmente congeniale alla
disciplina del processo penale. L’idea stessa di processo implica l’incedere
attraverso il susseguirsi atomistico, puntiforme, di molti atti che compongono,
infine, la costruzione. Tale edificazione rischierebbe di crollare dalle radici come
un castello di carte se la cornice normativa che ha regolato un atto potesse
essere messa in discussione successivamente al suo compimento, per effetto di
una nuova norma>>.
In quella sentenza si chiarì, peraltro, che se la soluzione del problema appariva
semplice applicando il brocardo di cui si è detto in presenza di atti aventi effetto
istantaneo, difficoltà sorgevano «quando il compimento dell’atto, o lo spatium
deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendono nel tempo: un tempo
durante il quale la norma regolatrice muta. Basti pensare alle norme sulla
competenza, sulle impugnazioni, sulla disciplina delle prove, sulle misure

3

situazione di gravità».

caute/ari, appunto». Proseguivano le S.U. ponendo la distinzione fra momento
genetico della misura cautelare e continua verifica circa il permanere delle
condizioni che la giustificano.
La fase genetica non può che rimanere retta e regolata dalla legge del tempo.
Per converso,

«si impone una continua verifica circa il permanere delle

condizioni che hanno determinato la limitazione della libertà personale e la scelta
di una determinata misura cautelare. La materia è regolata dall’art. 299 cod.
proc. pen. Il codificatore ha opportunamente racchiuso in un unico contesto

diverse ipotesi di revoca e sostituzione delle misure cautelari in relazione al
mutare della situazione di fatto e di diritto nel corso del procedimento. La finalità
cui la disciplina con tutta evidenza corrisponde è quella di assicurare che in ogni
momento la restrizione sia conforme ai principi di adeguatezza,
proporzionalità».
Alla luce di quanto sopra esposto, che, ovviamente rappresenta un enunciato
generale, che non muta ove il sopravvenire della nuova norma possa assumere
caratteri di favore per l’indagato, in questa sede non possono trovare
applicazione le innovazioni introdotte con la cit. I. n. 47, incidenti sulla fase
genetica della misura, emessa sotto la vigenza della legge del tempo. Altro sarà
valutarne i riflessi sulla verifica del permanere delle condizioni legittimanti e le
conferme che se ne possono trarre sul piano interpretativo della normativa
previgente.

5. L’epilogo impone condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provdimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario – competente

r°c-1–ié provveda a quanro

stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. Del c.p.p.

Così d iso f Roma 3/7/2015
Il Con est.

Il Presidente

(Giusep

(Carlo

AtiorOLIF

normativo l’aspetto per così dire dinamico della restrizione di libertà; e quindi le

CORTE SUPROMA DI CASSAZIONE
FV sez;..aue Penale

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