Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3098 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3098 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vanni Patrizia, nata a Grosseto il 15-06-1955
avverso la sentenza del 09-07-2014 del tribunale di Grosseto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste;
udito per la ricorrente

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Patrizia Vanni ricorre per cassazione impugnando per saltum la sentenza
indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Grosseto ha assolto l’imputata con
la formula il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Alla ricorrente era stato addebitato il delitto previsto dall’articolo 10-ter
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, in qualità di socio
amministratore della Autoricambi Vanni di Vanni P. s.n.c., avente sede legale in

complessivo di 51.229,00 euro, dovuta in base alla dichiarazione annuale
modello Iva 2010, società di capitali, relativa all’anno di imposta 2009, ovvero
non versava detta imposta entro il termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo di imposta successivo. In Grosseto il 27 dicembre 2010 e con
la recidiva infraquinquennale.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza la ricorrente, tramite il

difensore denuncia la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), codice di
procedura penale per erronea applicazione della legge penale con particolare
riferimento all’articolo 10-ter decreto legislativo n. 74 del 2000 e dell’articolo 530
codice di procedura penale.
Sostiene che il tribunale di Grosseto l’ha assolta dal reato ascritto “in quanto
il fatto non è più previsto dalla legge come reato” motivando tale decisione con
riferimento all’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 7-8 aprile
2014 n. 80, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo

10-ter decreto

legislativo n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi
sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non
superiori, per ciascun periodo dì imposta, ad euro 103.291,38.
Ciò posto, nel ricordare che la contestazione riguarda l’omesso versamento
dell’Iva per la somma di 51.229,00 euro per il periodo di imposta dell’anno 2009,
la ricorrente si duole del fatto che il tribunale ha correttamente pronunciato
sentenza di assoluzione con formula tuttavia errata “in quanto il fatto non è
previsto dalla legge come reato”, rilevando che, con la pronuncia di parziale
incostituzionalità della predetta disposizione normativa, la condotta posta in
essere dalla ricorrente ed oggetto di contestazione deve essere considerata
tamquam non esset per essere venuto meno un elemento costitutivo del fatto di
reato (l’originaria soglia di punibilità) che esclude ogni rilevanza, così come
peraltro descritto dal primo giudice nella motivazione della sentenza, il quale
avrebbe tuttavia dovuto assolvere la ricorrente “perché il fatto non sussiste”,
formula che pertanto la ricorrente invoca.

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Grosseto, ometteva di versare . l’imposta sul valore aggiunto per l’ammontare

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Va in primo luogo chiarito che è configurabile l’interesse dell’imputato
all’impugnazione di sentenza di assoluzione pronunciata con la formula perché il
fatto non è più previsto dalla legge come reato, in considerazione delle potenziali

riconducibili a tale formula assolutoria (Sez. 1, n. 28846 del 19/05/2009,
Presciutti, Rv. 244293).
Si tratta di un principio che è stato convalidato dalle Sezioni Unite della
Corte di cassazione (Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie, Rv.
252693, e in motivazione) che, attraverso una completa ricognizione della
nozione dell’interesse ad impugnare definita dagli interventi nomofilattici prodotti
nel tempo da parte delle stesse Sezioni Unite penali (Sez. U, n. 7931 del
16/12/2010, dep. 2011, Testini; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino;
Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995,
Timpani; Sez. U, n.10372 del 27/09/1995, Serafino; Sez. U, n. 6563 del
16/03/1994, Rusconi; Sez. U, n. 12234 del 23/11/1985, Di Trapani), ha chiarito
che se una sentenza penale, come quella pronunciata “perché il fatto non è
preveduto dalla legge come reato”, produce effetti giuridicamente rilevanti in
altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive
facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale
qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e
concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui
sfavorevole.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 85 del 2008, ha chiarito che le
uniche decisioni totalmente assolutorie sono quelle pronunciate con le formule “il
fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, mentre tutte le altre
formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un
riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del
fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente
idonee ad arrecare ugualmente all’imputato significativi pregiudizi di ordine sia
morale sia giuridico. All’imputato va quindi normalmente riconosciuto il diritto di
impugnare una sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con
una formula per lui migliore perché totalmente liberatoria o comunque produttiva
di effetti extrapenali più favorevoli o meno pregiudizievoli (Sez. U, n. 40049 del
29/05/2008, Guerra cit., in motiv.).

conseguenze sfavorevoli, sia in sede civile, sia in sede amministrativa,

‘sor

In altri termini – mentre resta salva la facoltà da parte delle competenti
autorità extrapenali di procedere alla verifica circa la possibilità di applicare,
attraverso un autonomo potere di accertamento e con l’attribuzione di tutte le
garanzie procedimentali del caso, le relative sanzioni se per il fatto, estromesso
dall’area della illiceità penale, esse siano applicabili – la pronuncia penale non
può recare ex se un pregiudizio scaturente dalla pretesa efficacia, radicalmente
esclusa, come si è detto, soltanto dalle formule

“il fatto non sussiste” o

“l’imputato non lo ha commesso”, della sentenza di assoluzione nei giudizi

altre formule assolutorie, nell’applicazione automatica delle sanzioni, una volta
che il giudice penale – quando in sede extrapenale si controverte intorno ad un
diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento è dipeso
dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio
penale – abbia espresso un giudizio di applicabilità delle medesime, producendosi
perciò un pregiudizio delle posizioni giuridiche soggettive, che è nell’interesse
dell’imputato rimuovere, rivendicando la formula di maggiore favore.

3. La questione che il Collegio è chiamato a risolvere è se, nei reati nei quali
sia prevista una soglia di punibilità per l’integrazione della fattispecie
incriminatrice, debba essere pronunciata, qualora detta soglia non risulti
integrata, sentenza con la formula assolutoria

“il fatto non sussiste” ovvero “il

fatto non è preveduto dalla legge come reato”.
Va precisato che la questione rileva tanto nel caso di specie (dove il limite soglia per la punibilità del delitto ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 è stato
elevato da euro 50.000 a euro 103.291,38 con la sentenza n. 80 del 2014 della
Corte costituzionale, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre
2011, nei quali rientra ratione temporis quello addebitato alla ricorrente), quanto
per le ipotesi che anteriormente o anche successivamente al 17 settembre 2011
debbono essere regolate dal d.lgs. 24 settembre 2015, n.158 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015), che
ha elevato ulteriormente la soglia di punibilità prevista in relazione all’art.10-ter
d.lgs. 74/2000, portandola ad euro 250.000,00.
Orbene, sia per effetto della sentenza n. 80 del 2014 della Corte
costituzionale e sia per le nuove previsioni di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, è
necessario, per la corretta soluzione della questione, stabilire quale ruolo
svolgono le soglie di punibilità nella struttura del reato.
3.1. La giurisprudenza di legittimità è divisa nel ritenere le soglie di
punibilità come elemento costitutivo del reato o condizione obiettiva di punibilità.
3.2. L’orientamento che propende in quest’ultimo senso è stato anche
recentemente espresso (Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep.2015, Libertone,
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extrapenali, nei quali quindi l’accertamento può tradursi, con riferimento alle

Rv. 262394) e ritiene che, nel prevedere una soglia di punibilità, il legislatore ha
inteso riservare la sottoposizione alla più grave delle sanzioni, quella appunto
penale, alle ipotesi di evasione ritenute più gravi, proprio perché superiori ad un
determinato ammontare: tale valore rappresenta, non un elemento costitutivo
del reato, ma una condizione obbiettiva di punibilità, in mancanza della quale
(ossia al di sotto della predetta soglia) l’interesse dell’amministrazione finanziaria
è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell’obbligo posto a
carico del contribuente (interessi di mora e sanzioni).

rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa, costituisce una condizione
oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da
parte del soggetto agente (Sez. 3, n. 25213 del 26/05/2011, Calcagni, Rv.
250656), sul rilievo che, quando la punibilità del fatto è subordinata alla
condizione che da esso sia derivata un’evasione delle imposte sui redditi e sul
valore aggiunto per un determinato ammontare, tale accadimento costituisce
una vera e propria condizione oggettiva di punibilità, perché non fa parte del
contenuto offensivo della fattispecie e non integra un elemento costitutivo
dell’offesa, bensì attiene a un limite quantitativo dell’evento e non all’evento
dell’omesso versamento, che è necessariamente riconducibile al dolo specifico,
posto che trattasi di uno di quegli accadimenti che, secondo la dottrina,
arricchiscono la sfera dell’offesa del reato, perché, pur attenendo alla sfera
dell’offesa del bene protetto, tuttavia non accentrano in sé tutta l’offensività del
fatto, in quanto comportano solo un ulteriore aggravamento, una progressione
dell’offesa tipica: non si richiede, pertanto, nel soggetto agente la
rappresentazione dell’ammontare del contributo evaso, ma la sola finalizzazione
della condotta all’evasione ed il reato si perfeziona nel momento in cui la
condizione si verifica, pure se essa non è voluta dall’agente medesimo.
3.3. L’indirizzo contrario ritiene invece che la soglia di punibilità rientri tra gli
elementi costitutivi del reato, pervenendo alla conclusione che la mancata
integrazione della soglia nel delitto di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000
comporta l’assoluzione con la formula “H fatto non sussiste” (Sez. 3, n. 36859
del 26/06/2014, Bottaro, Rv. 260187), coerentemente richiedendo che il
soggetto attivo del reato abbia la consapevolezza che il tributo evaso superi la
soglia di punibilità individuata dalla disposizione incriminatrice (Sez. 3, n. 12248
del 22/01/2014, Faotto, Rv. 259806).
In particolare, è stato affermato, a proposito del delitto ex art. 316-ter cod.
pen. che il superamento della soglia quantitativa, oltre la quale l’illecito
amministrativo integra il reato, non configura una condizione obiettiva di
punibilità, ma un elemento costitutivo della fattispecie, e come tale, deve essere

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In precedenza è stato sostenuto che il superamento della soglia,

oggetto di rappresentazione e volontà (Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015,
Trevisan, Rv. 264609).
Sul punto, è stato osservato come, al fine di escludere o meno che il
superamento della soglia possa costituire una
punibilità”,

occorra fare riferimento anzitutto alla

“condizione obbiettiva di
“struttura” della norma

incriminatrice, per cui la configurazione della fattispecie come reato di danno,
piuttosto che di pericolo del quale il superamento della soglia rappresenti una
progressione criminosa, appare indice rassicurante per escludere che la soglia

scelta di prevedere una “soglia” non risponde a quella di punire o meno il
soggetto, bensì di diversamente punirlo con una “sanzione amministrativa” che
potrebbe essere più afflittiva rispetto a quella penale, tanto per la “effettività”
che la caratterizza anche per la tempestività dell’intervento, cosicché si è in
presenza di una scelta dì opportunità volta a ridurre l’intervento penale, con la
conseguenza che la configurabilità del reato richiede il dolo, altrimenti il fatto
non costituisce reato e non potrà che integrare un illecito amministrativo.
Anche le Sezioni Unite hanno preso posizione in tal senso affermando, tra
l’altro, che, per la commissione del reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, è
sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate
nel periodo considerato e tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia
di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il
disvalore (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, non mass. sul punto, in
motiv. § 6).

4. Anche la dottrina è divisa sul punto.
4.1. Secondo l’opinione prevalente, la soglia di punibilità rientra tra gli
elementi essenziali del reato. La posizione contraria, a sostegno della natura di
condizioni obiettive di punibilità delle soglie in questione, fonda prevalentemente
la tesi, da un lato, sulla struttura del dolo di evasione nei reati tributari (dolo
specifico) e, dall’altro, sul presupposto della indubbia complessità del
procedimento di determinazione dell’imposta evasa, nonché dell’opinabilità dei
risultati del procedimento di accertamento, con la conseguenza che tali difficoltà
ed incertezze farebbero fondatamente ritenere che la misura dell’imposta dovuta
non derivi dalla legge (o almeno soltanto dalla legge), scaturendo invece
l’ammontare dell’imposta dagli esiti dell’esercizio di una funzione di controllo che
conferisce all’amministrazione finanziaria estesi poteri discrezionali, al punto che
il dato numerico che fonda la punibilità sarebbe, almeno a priori, inconoscibile.
Ne deriva che, se l’evasione fiscale, come conseguenza della condotta,
rappresenta l’evento costitutivo del delitto (cui la condotta deve essere
finalisticamente orientata proprio per la previsione del dolo specifico), la sua
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rientri nel novero delle condizioni obiettive di punibilità, soprattutto quando poi la

misura appare tuttavia il frutto di un processo di quantificazione e
determinazione che prescinde in certa misura dall’agire del contribuente
dichiarante ed è quindi funzionale a segnare esclusivamente un limite di
rilevanza penale di un comportamento comunque illecito sicché rappresenta
esclusivamente una condizione obiettiva di punibilità intrinseca.
4.2. Alla tesi che configura le soglie di punibilità come condizioni obiettive di
punibilità è stato obiettato che siffatto inquadramento appare inaccettabile dal
punto di vista formale – strutturale, non essendosi al cospetto (come dovrebbe

di eventi futuri ed incerti rispetto alla condotta del contribuente, ma di una
modalità della stessa condotta. Da ciò la conseguenza che l’integrazione delle
soglie costituisce un elemento del fatto di reato, non potendosi ricondurre né alla
nozione di evento, non essendovi alcun stacco logico e tanto meno temporale tra
le soglie e la condotta di presentazione della dichiarazione, né tra i presupposti
della condotta, giacché, se anche la percezione del reddito non dichiarato è un
fatto che oggettivamente preesiste rispetto alla condotta stessa, il superamento
della soglia di evasione in realtà consegue non già dal possesso del reddito ma
dall’omessa dichiarazione di esso.
E’ stato poi sottolineato che una diversa conclusione si porrebbe anche in
contrasto con l’intenzione del legislatore di superare il precedente sistema
improntato alla tutela della funzione di accertamento, posto che il verificarsi
dell’evasione, o quantomeno di una evasione quantitativamente significativa alla
luce del principio di sussidiarietà, rappresenta un elemento significativo e,
dunque, centrale nell’economia della fattispecie incriminatrice, in quanto integra
l’offesa (sub specie di danno) e pertanto assume rilevanza nella prospettiva del
bene giuridico tutelato (l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi) proprio
in relazione al principio costituzionale di offensività. Da ciò è stato tratto solido
argomento per sostenere che, in fattispecie che contemplano l’offesa all’interesse
patrimoniale alla percezione dei tributi, tale offesa (nella misura in cui è proprio
l’integrazione della soglia che le assegna una significatività penalistica) non può
essere degradata al mero ruolo di condizione obiettiva di punibilità.
Sotto altro profilo, ma con identico risultato, è stato sostenuto che le soglie
minime di punibilità sono un elemento costitutivo del reato sul rilievo che il
superamento di un determinato ammontare dei componenti reddituali non
dichiarati o di imposta evasa non è altro che il risultato dell’azione posta in
essere dal soggetto.
Infine, partendo ancora una volta dalla ricognizione degli interessi tutelati, è
stato sottolineato come le scelte politico-criminali di perseguire non più le
violazioni formali e prodromiche all’evasione fiscale, ma soltanto una porzione
dei comportamenti lesivi dell’interesse dello Stato alla percezione dei tributi,
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essere se si fosse in presenza di vere e proprie condizioni obiettive di punibilità)

siano state tradotte dal legislatore della riforma con una precisa strategia diretta
a costruire i reati di evasione come delitti di danno assegnando consistenza
penale a comportamenti di pregnante e concreta offensività per gli interessi
dell’erario attraverso lo spostamento in avanti della rilevanza penale della
condotta, incentrando la costruzione delle fattispecie – tipo, da un lato, sul
momento dichiarativo e su quello dell’imposta e, dall’altro, procedendo ad
individuare un filtro selettivo di carattere quantitativo idoneo a fungere da
spartiacque tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo.

detto, diviene necessariamente il centro, il nocciolo, il nucleo fondamentale della
fattispecie penale in quanto qualifica, definisce e costituisce l’interesse tutelato,
di cui determina la misura e l’essenza, ponendosi come un requisito di fattispecie
e come il topos in cui si incarna e vive la scelta politico-criminale del legislatore
della riforma, non sussumibile nella categoria della condizione di punibilità,
quantunque cd. intrinseca e peraltro di discutibile configurabilità dogmatica,
perché non approfondisce, ispessisce, né rimodula gli interessi oggetto di tutela
bensì li forma.
4.3. Ritiene il Collegio che, nell’art.

10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e nelle

fattispecie analoghe, che condividono la stessa struttura quanto agli enunciati di
tipicità che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, la soglia di punibilità
rientra tra gli elementi costitutivi del reato.
Le “soglie” non possono quindi essere inquadrate tra le condizioni di
punibilità, neppure cd. intrinseche, consistendo queste ultime in eventi che
rendono attuale l’offesa all’interesse protetto dalla norma violata o che
costituiscono una progressione o un aggravamento di tale offesa, con la
conseguenza che siffatti eventi, concorrendo a delineare il disvalore penale del
fatto, sono in realtà elementi costitutivi del reato, cosicché devono essere
necessariamente coperti dal dolo o, secondo i casi, dalla colpa dell’agente.
E’ fondamentale pertanto considerare che l’integrazione della soglia
quantitativa necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da un
evento futuro ed incerto (ossia da una condicio) ma dallo stesso comportamento
dell’agente che, nella presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’Iva,
sottrae all’imposizione, con il mancato versamento e, dunque, con una condotta
omissiva, una quantità di tributo che, integrata la soglia, contribuisce alla
realizzazione del fatto tipico.
L’attività di accertamento circa il superamento o meno della soglia
quantitativa – che il legislatore indica per l’integrazione di un fatto penalmente
rilevante (cioè del fatto di reato) – costituisce un

posterius rispetto alla

consumazione dell’illecito e svolge lo stesso ruolo che in altre fattispecie è

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Cosicché, in questo orizzonte di tutela, la soglia di punibilità, come è stato

spiegato dalle tecniche di accertamento processuale per provare che è stato
realizzato un elemento del fatto tipico che costituisce il reato.
L’obbligazione tributaria è infatti un’obbligazione legale (art. 23 Cost.),
sottratta, nel momento in cui essa sorge, al potere negoziale delle parti, e il suo
contenuto, anche in relazione alla determinazione e quantificazione dell’imposta,
non dipende dalla volontà dell’amministrazione finanziaria che, pur godendo di
poteri autoritativi, non ha alcuna facoltà discrezionale in proposito.
Quanto poi alla struttura del dolo, a parte il fatto che sarebbe tutta da

come elemento costitutivo del fatto di reato e la costruzione di fattispecie a dolo
specifico, deve ritenersi, risolvendosi definitivamente la questione, che
l’elemento soggettivo del reato ex art. 10-ter è sostenuto dal dolo generico (Sez.
U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, cit., in motiv. § 6).
In definitiva, la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di
rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico (ciò avviene, a titolo
esemplificativo, nell’usura, ove il requisito della usurarietà del tasso di interesse
risulta da una complessa operazione di determinazione di esso; avviene poi nei
casi in cui si ricorre alla fissazione di limiti tabellari che servono a qualificare la
tossicità degli alimenti, o il tasso alcoolemico del conducente di veicoli), con la
conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la
convinzione del legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una
“sensibilità” penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto
non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella
salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei
tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività,
dovendo alla soglia di punibilità spettare – come si legge nella Relazione di
accompagnamento al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – anche il
compito, conformemente alla previsione dell’articolo 9, comma 1, lettera b),
della legge delega, di «limitare l’intervento punitivo ai soli illeciti di significativo
rilievo economico», consentendo di riflesso un conseguente alleggerimento del
carico penale.
Nella stessa relazione è poi significativamente affermato che le soglie di
punibilità sono “da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del
reato e che in quanto tali debbono essere investiti dal dolo”.
E’ il caso poi di segnalare come la Corte costituzionale (sentenza n. 241 del
2004), convalidando siffatte opzioni interpretative, abbia assegnato alle soglie di
punibilità (nel caso dello scrutinio di costituzionalità si trattava delle soglie
contemplate dalla previgente formulazione dell’art. 2621 cod. civ.) il ruolo di
“requisiti essenziali di tipicità del fatto”.

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dimostrare la situazione di incompatibilità strutturale tra la soglia di punibilità

La soglia di punibilità rientra perciò tra gli elementi costitutivi (del fatto di)
reato in quanto completa la realizzazione della condotta punibile e dunque
partecipa pienamente all’integrazione giuridica della fattispecie penale, non
potendo collocarsi tra le condizioni obiettive di punibilità che invece
presuppongono un reato già strutturalmente perfetto nei profili oggettivi e
soggettivi cosicché il verificarsi di un evento futuro ed incerto ne condiziona
esclusivamente la punibilità, la quale è un elemento esterno alla struttura del
reato.

Romano, l’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 configura reato omissivo proprio (di
mera condotta e, dunque, cd. formale) e di danno, il cui oggetto specifico della
tutela penale è costituito dall’interesse dello Stato alla percezione dei tributi ed i
cui elementi costitutivi sono: a) la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di
agire; b) la condotta omissiva (non facere quod debetur) la quale deve risolversi
in un mancato versamento che raggiunge o supera la soglia quantitativa
richiesta per l’integrazione del fatto tipico; c) il termine, esplicito o implicito, alla
cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si consuma
l’illecito; d) il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del
reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta sul
valore aggiunto legalmente dovuta. Ne consegue che tale coscienza e volontà
deve investire anche la soglia di punibilità (ora di Euro duecentocinquantamila a
seguito del d.lgs. n. 158 del 2015), che è un elemento costitutivo del fatto di
reato, contribuendo a definirne il disvalore e che dunque deve rientrare, in uno
agli elementi costitutivi del fatto tipico, nel fuoco del dolo, con la sottolineatura
che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione
annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve,
quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro
duecentocinquantamila, entro il termine lungo previsto.
Infatti, il debito verso il fisco relativo ai versamenti Iva è collegato al
compimento delle operazioni imponibili sicché ogni qualvolta il soggetto
d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del
servizio) l’Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario,
organizzando le risorse disponibili in modo da poter, alla scadenza, adempiere
all’obbligazione tributaria (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, cit., in
motiv.).

5. A questo punto, la formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata
integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’art.

10-ter d.lgs. n.

74 del 2000 – vuoi perché, essendo stato contestato un fatto integrante la soglia,
Io stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia

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Conclusivamente, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite

oppure vuoi perché, come nel caso di specie, la soglia di punibilità è stata
elevata a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disposizione che la
prevede o, ancora, vuoi perché tale elevazione sia da attribuire allo
superveniens

ius

è di semplice soluzione, avendo le Sezioni Unite penali affermato

che nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato
contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula «il fatto non
sussiste», non con quella «il fatto non è previsto dalla legge come reato», che
riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui

250975; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, cit.) e che, dunque, non potrebbe
essere utilizzata neanche nell’ipotesi di mancanza di una condizione obiettiva di
punibilità.
In buona sostanza, secondo il dictum delle Sezioni Unite Orlando, l’adozione
della formula «il fatto non è previsto dalla legge come reato» dipende dal tenore
formale dell’imputazione, dalla circostanza cioè che con essa si assume la
riconducibilità della fattispecie concreta ad una fattispecie astratta mai esistita,
abrogata o dichiarata (in toto) costituzionalmente illegittima. Mentre, quando il
fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie, ad essere
sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo
del reato, occorre adottare la formula «il fatto non sussiste» (Sez. U, n. 37954
del 25/05/2011, Orlando, cit.).

6. Resta soltanto da chiarire – per una ragione che è, per un verso,
speculare rispetto a quella per la quale è stata ritenuta la presenza dell’interesse
ad impugnare – che l’insussistenza del fatto dichiarata, come nel caso in esame,
per la mancata integrazione della soglia di punibilità, attiene all’inconfigurabilità
della fattispecie incriminatrice quanto all’accertamento che non sussiste il fatto
che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la
realizzazione del reato, con la conseguenza che è esclusivamente rispetto a tale
fatto che, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di
assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato,
restando impregiudicata, come in precedenza anticipato, l’eventuale mancato
versamento dell’Iva in misura inferiore alla soglia di punibilità (che integra un
fatto diverso, penalmente irrilevante e sanzionabile in via amministrativa) e
potendo l’amministrazione finanziaria quindi procedere in via amministrativa
all’accertamento della violazione e all’irrogazione delle relative sanzioni in
relazione all’imposta dovuta e non versata, purché sotto soglia.

7.

Ne deriva l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio

dell’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste.

11

ricondurre il fatto imputato (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 05/11/2015

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