Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30961 del 08/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30961 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAGLIUOLO RAFFAELE GIANLUCA N. IL 18/09/1984
avverso l’ordinanza n. 529/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
14/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
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Data Udienza: 08/07/2015

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorre per cassazione a mezzo del difensore MAGLIUOLO Raffaele Gianluca avverso
l’ordinanza del tribunale della libertà di Catania che in data 14 aprile 2015 ha confermato
l’ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere limitatamente al reato di
associazione per delinquere di cui al capo A) e dei reati fine di cui ai capi 2, 2a,e 13a,
disposta nei suoi confronti dal GIP del locale tribunale in data 19 marzo 2015.
Deduce il ricorrente:
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria con
riguardo alla sua partecipazione all’associazione per delinquere; mancata
qualificazione giuridica ex articolo 110 codice penale mancanza di motivazione
circa l’inidoneità di una misura meno afflittive;
2.

violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza con riguardo ai reati fine .

Il ricorso è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di
Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,
ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,

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1.

risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati

peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( Cass. N. 37878 del 2007 Rv.
237475; N. 36079 del 2012 Rv 253511).
Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e
priva di vizi logici degli elementi che lo hanno portato all’affermazione della sussistenza del
reato associativo e della partecipazione del MAGLIUOLO (pag. da 6 a 13 del provvedimento
impugnato) a carico dell’indagato, a fronte di tale argomentare il ricorrente reitera una linea
difensiva basata su ragioni di merito già disattese con argomentazioni specifiche che hanno
tenuto conto delle doglianze difensive .
Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto propone questioni di merito non
deducendo vizi della motivazione rilevanti in questa sede ma chiedendo esplicitamente una
nuova valutazione dei medesimi elementi probatori da parte di questa Corte, attività che esule
dai suoi poteri.
Con riguardo alle esigenze cautelar’ deve osservarsi che gli atti o i comportamenti
concretamente sintomatici della pericolosità dell’indagato possono essere individuati nelle
modalità e nella gravità dei fatti, l’art. 274 c.p.p., lett. c), non impedisce infatti di trarre il
pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell’interesse protetto e
dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto,
considerate nella loro obiettività, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente e consolidato
negli anni, tanto da essere ormai costante (Cass. sez. 1, 21 febbraio 1996 n. 277 rv. 203726
cui adde Cass. sez. 3, 23 luglio 1996 n. 2631, rv. 205820; Cass. sez. 5, 4 agosto 1999 n. 1416
rv. 214230; Cass. sez. 2, 21 febbraio 2000 n. 726 rv. 215403, Cass. sez. 3, 4 maggio 2000 n.
1384 rv. 216304 e Cass. sez. 6, 21 dicembre 2001 n. 45542 rv. 220331 e di recente con
riguardo a varie sezioni Cass. sez. 3, 23 aprile 2004 n. 1995 rv. 228882, Cass. sez. 6, 4 aprile
2005 n. 12404 rv. 231323 e Cass. sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 45950 rv. 233222).
Ed invero la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri,
oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la
gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità del soggetto, come ha fatto l’impugnata ordinanza, con
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secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.

una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti (condotte non occasionali, professionalità
nel reato, personalità del prevenuto che ha commesso i reati mentre si trovava agli arresti
domiciliari) e non su criteri generici e/o automatici. Peraltro, l’attribuzione alle medesime
modalità e circostanze del fatto di una duplice valenza sia sotto il profilo della valutazione della
gravità del fatto sia sotto quello dell’apprezzamento della capacità a delinquere discende dalla
considerazione che la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico
assai significativo per valutare la personalità dell’agente e da un’interpretazione adeguatrice

dalla maggiore o minore celerità di giudizio, tra indagato già condannato per altro reato ed
altro incensurato colpito dalla misura restrittiva per una pluralità di condotte criminose,
sintomatiche di personalità caratterizzate da plurimi fatti penalmente rilevanti.
Proprio la circostanza che il MAGLIUOLO ha commesso i reati mentre era ristretto agli arresti
domiciliari ha portato il Tribunale a ritenere idonea a fronteggiare le ritenute esigenze cautelari
solo la detenzione in carcere.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp.
att. C.p.p.
Così deliberato in Roma 1’8.7.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
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(gi) Gentile

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tesa ad eliminare ingiustificate disparità di trattamento, derivanti dal mero dato temporale e

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