Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30940 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30940 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CORBELLINI ANTONIO N. IL 07/01/1951
avverso la sentenza n. 102/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
27/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ye . A kif
che ha concluso per ci 444it 1/10(444
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 04/07/2014

Con sentenza del 27 settembre 2013, la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città il 10 giugno 2011,
con la quale CORBELLINI Antonio era stato condannato alla pena di anni tre di
reclusbne ed euro 5.000 di multa quale imputato del delitto di usura continuata e
tentata estorsione.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale rinnovando censure già
dedotte in appello e disattese dai giudici di quel grado, lamenta che in riferimento al
delitto di usura, i giudici del gravame si siano limitati a ripercorrere i passaggi già
segnati nella sentenza di primo grado eludendo i rilievi della difesa, mentre quanto
alla tentata estorsione si lamenta che sia stata svalutata la circostanza che la persona
offesa non aveva la capacità economica di onorare gli impegni assunti, con la
conseguenza che i fatti dovevano essere qualificati come esercizio arbitrario delle
proprie ragioni. Si rinnovano poi le doglianze relative al trattamento sanzionatorio in
riferimento alla continuazione ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche
e si ripropongono le doglianze relative alla reformatio in peius rispetto alla originaria
pronuncia di primo grado, poi annullata, limitandosi ad asserire la non pertinenza
della sentenza delle Sezioni Unite n. 17050 dell’Il aprile 2006, Maddaloni, evocata
dai giudici a quibus.
Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto il ricorrente, per un verso, si
limita assertivamente a prospettare una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a
quella delibata dai giudici del doppio grado di merito, deducendo circostanze di fatto
insuscettibili di specifico risalto agli effetti dello scrutinio di legittimità, riservato alla
presente sede, e, sotto altro profilo, vendono riproposti gli stessi temi ed argomenti di
censura già ampiamente e puntualmente esaminati dai giudici dell’appello con
motivazione più che esauriente e logica, senza che i relativi argomenti abbiano poi
formato oggetto di una autonoma ed articolata critica impugnatoria da parte del
ricorrente, in tal modo rendendo conseguentemente privi di specificità i motivi
rassegnati a corredo del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da
tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua
genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre
2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001 Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000,
Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di

OSSERVA

,

una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così decì o in Roma, il 4 luglio 2014
Il Consi

e estensore

residente

P. Q. M.

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