Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30913 del 12/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30913 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE STEFANO MARIO DAVIDE N. IL 20/10/1991
LOPRETE LUCA N. IL 10/01/1989
avverso la sentenza n 2426/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
12/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZ7FL LA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. aludp_22. kQuotta
che ha concluso per e seLri-~.A.2.24,r›-t.e.rbo Co >c‹:it uc Pc•
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Data Udienza: 12/06/2014

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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Genova, pronunciando nei confronti di DE STEFANO MARIO DAVIDE e LOPRETE LUCA in data 12.6..2013, confermava la sentenza
emessa nei confronti degli stessi dal GIP del Tribunale di Genova in data
17.4.2012 , condannandoli alle spese processuali del grado e revocando la sospensione condizionale concessa a De Stefano con la sentenza della Corte
d’Appello di Genova del 3.3.2011 e a Loprete con sentenza del Gip di Genova del
21.12.2007.

• DE STEFANO MARIO DAVIDE alla pena di anni due e mesi 8 di reclusione ed euro 20.000 di multa (con le circostanze attenuanti generiche, la diminuente di cui all’art. 89 cod. pen. e la diminuzione per il rito).
Lo stesso era imputato:
B) del reato p. e p. dall’art. 73 Dpr 309.90 perché deteneva al fine di farne
commercio e consegnava a Neto Saverio affinché lo custodisse nella sua abitazione un quantitativo di hashish pari a 3,045 chili idoneo ai confezionamento di
14.770 dosi medie. In Genova il 24.2.2011.
• LOPRETE LUCA alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione e euro 2000 di
multa (con la continuazione tra i reati e la diminuzione del rito).
Lo stesso era imputato:
C) del reato p. e p. dagli artt. 110, 73 Dpr 309/90 perché, in concorso con
Inturri Fabio, vendevano a De Stefano Mario Davide un quantitativo di hashish
pari a 3,045 chili ed idoneo al confezionamento di 14.770 dosi medie, che De
Stefano poi consegnava a Neto Saverio perché lo custodisse all’interno della propria abitazione. In Genova in data anteriore e prossima al 24.2.2011
D) del reato di cui agli artt. 629 co. l e 2 e l n. 2 cod. pen. perché, in concorso con Inturri Fabio, al fine di assicurarsi il profitto del reato sud a, mediante
minaccia, costringevano de Stefano Mario Davide a far consegnare loro, dallo zio
de Stefano Sergio, una somma di C 4800, in parziale adempimento di un suo debito di C 5500 conseguente alla vendita dello stupefacente indicato al capo che
precede; fatto pluriaggravato perché commesso da più persone riunite anche facendo uso di coltelli. In Genova in data 12/4/2011.
Recidiva specifica infra quinquennale (articolo 99 comma due cod. pen.) per
Loprete.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio dei propri difensori, i due imputati sopra indicati deducendo i motivi di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

Il giudice di prime cure, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato:

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DE STEFANO MARIO DAVIDE:
• Erronea applicazione dell’articolo 114, co. 3, cod. pen. nella parte in cui è
stata negata la concessione dell’attenuante in questione (art. 606 co. 1 lett. b)
cod. proc. pen.).
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia negato l’attenuante in
esame ritenendo che la stessa possa essere accordata solo in caso di concorso di
persone. Viene affermato, infatti, che “il fatto che la medesima sostanza stupefacente sia oggetto delle due speculari condotte di cessione, da un lato, e di deten-

tispecie di concorso, essendo prevista a carico di ciascun autore delle rispettive
condotte una propria ipotesi di reato, sicché non è possibile traslare le caratteristiche dell’uno sull’altro al fine di applicare circostanze che sono disciplinato unicamente per la compartecipazione nella commissione dello stesso falso di reato”.
Si lamenta che l’argomentazione sarebbe palesemente erronea e, se accolta,
determinerebbe un’evidente distorsione del sistema.
In tal senso la scelta legislativa di parcellizzata le condotte in materia di stupefacenti non potrebbe condizionare l’applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 114 co. 3 cod. proc. pen. in quanto appare evidente che colui che vende la
sostanza stupefacente a terzi concorre in ogni caso, attraverso il proprio contributo, all’acquisto di costoro: tuttavia si assisterebbe alla violazione del ne bis in
idem sostanziale se si contestasse al cedente, oltre alla cessione, anche il concorso nell’acquisto, essendo unica la condotta ed unico il disvalore.
Si richiama giurisprudenza di questa Corte Suprema e in particolare sez. 6
n. 16938 del 15/11/2011 depositata il 7/5/2012 laddove afferma che l’art. 73
comma primo Dpr. 309/90 integra una norma a più fattispecie alternative (condotte plurime, la cui eventuale congiunta realizzazione implica l’assorbimento
delle diverse condotte in un unico reato).
Calando tali principi nel caso in esame apparirebbe evidente, ad avviso del
ricorrente, che l’attenuante di cui all’articolo 114 del codice penale (nella partico-

zione da parte dell’acquirente, dall’altro, non comporta la sussistenza di una fat-

lare declinazione della determinazione al reato di un soggetto infermo di mente)
sia applicabile a prescindere dalla qualificazione giuridica del reato ascritto in
termini di concorso di persone, ogni qual volta l’autore del fatto abbia ricevuto
un significativo condizionamento ad opera dei correi “sostanziali”, anche se gli
stessi sono chiamati a rispondere di altra contigua e precedente condotta di per
sé già rilevante.
Nel campo degli stupefacenti la tesi qui propugnata implicherebbe che
l’attenuante in esame possa essere accordata al soggetto debole, a prescindere
dalla segmentazione giuridica delle condotte contrassegnanti la circolazione della
sostanza illecita, essendo ontologicamente inscindibile il momento dell’acquisto

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rispetto a quello della cessione: reato -a prescindere dalla sua sussumibílità in
una delle plurime previsioni enunciate dall’articolo 73 Dpr. 309/90 (ipotesi scolastica di reato a più fattispecie alternative)- è infatti contraddistinto da una sua
intima unitarietà e medesimezza fattuale.
L’approccio esegetico illustrato dalla Corte d’appello, che si è limitata ad
escludere in astratto la configurabilità dell’attenuante nel caso in esame, senza
esaminarne in concreto la sussistenza, si sarebbe, pertanto, rivelato palesemente erroneo, condizionando l’esito del giudizio sanzionatorio (si richiama sez. 5, n.

Chiede pertanto che questa Corte Suprema voglia annullare la sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione.

LOPRETE LUCA:
a. Nullità della sentenza ex articolo 606 co. i lett. b) ed e) cod. proc. pen.
per carenza di motivazione ed illogicità della stessa in relazione alla negata assoluzione del ricorrente del reato ascrittogli sub c) e contestuale erronea applicazione degli articoli 125 e 192 cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta la mancata assoluzione, quantomeno ai sensi dell’articolo 530 comma secondo cod. proc. pen., in relazione al delitto di cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish contestata a Loprete in concorso con Inturri
Fabio, giudicato separatamente e sul punto mandato assolto con sentenza 3410
del 20/12/2012 pronunciata dalla medesima sezione della Corte d’appello di Genova. Si ricostruiscono in ricorso gli eventi così come contestati al Loprete valutati alla luce dei contrastanti esiti dei due giudizi.
Ci si duole che la scarna motivazione proposta dalla corte genovese non abbia superato le doglianze difensive riprendendo pedissequamente le argomentazioni del primo giudice.
In tale ottica la motivazione apparirebbe certamente carente non essendo
state prese in considerazione e analizzare tutte le doglianze difensive.
Ci si lamenta che la Corte d’appello si sia limitata ad accreditare le dichiarazioni testimoniali de relato da tale Alterino, attribuendo legittimità piena alle affermazione dei coimputati De Stefano e Neto, entrambi, rispettivamente, riconosciuti parzialmente e totalmente incapaci. Ciò senza fare neppure un cenno di tali
deficit che, all’opposto, sembrano aver minato irrimediabilmente l’impianto accusatorio sostanzialmente fondato sulle dichiarazioni del De Stefano, con peculiare
riguardo a quanto da lui riferito al teste Alterino, suo amico, e da questi riportato agli inquirenti.

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11496 del 17/8/990, Gubinelli).

Si sostiene la tesi del conflitto di giudicati richiamando la giurisprudenza di
questa Corte e in particolar modo sez. 1 sent. 12595 del 1.12.1998.
Partendo dal presupposto che anche nell’ambito della tesi accusatoria il ruolo del Loprete sarebbe stato sin dall’inizio di minor rilievo, la circostanza che il
principale imputato sia stato assolto non potrebbe essere taduta e passata sotto
silenzio.
Il ricorrente lamenta vizi logici che avrebbero infldato il primo giudizio e si
ritroverebbero nella motivazione dell’impugnata sentenza d’appello. Anch’essa,

utili idonei a consentire che i meri indizi potessero assurgere a fonte di prova.
Ci si duole che non sia stata corretta da parte dei giudici di merito la valutazione della prova in relazione all’art. 192 cdo. proc. pen.
Si assume che il vizio de quo sia riconducibile al c.d. “travisamento del fatto”
e si chiede di verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo
convincimento e se queste ragioni siano plausibili.
Si contesta che i riscontri possano essere costituiti dalla sola conferma
dell’interlocutore di avere effettivamente ricevuto la confessione del De Stefano e
che le dichiarazioni di quest’ultimo siano state valutate e ritenute sufficienti pur
trattandosi di una persona offesa quanto meno “atipica”, la cui versione è caratterizzata da bugie, imprecisioni, omissioni, soggetto a sua volta ritenuto responsabile della cessione di quello stesso quantitativo.
b. Nullità della sentenza in relazione all’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen.
in relazione alla mancanza di motivazione on punto di negato riconoscimento
dell’art. 114 cod. proc. pen. con riferimento all’imputazione sub d).
Sul punto ci si duole che la Corte territoriale abbia reso una motivazione apparente laddove ha affermato che ‘le attività concorsuali del Loprete e
dellinturri appaiono assolutamente identiche e non vi è motivo per differenziare
le une dalle altre”.
Ciò in quanto la difesa sostiene di avere indicato con puntualità evidenti
elementi di differenziazione che, nel testo della motivazione, non sembrano neppure essere stati analizzati. Ci si riferisce, in particolare, al fatto che le minacce
siano state profferite dal solo Inturri, sia verbalmente che, allorquando, asseritamente, perpetrate attraverso l’uso dell’arma. Il Loprete, poi, sarebbe stato solo
casualmente presente all’atto della consegna del danaro.
c. Nullità della sentenza in relazione all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. in relazione alla illogicità della motivazione in punto di diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

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infatti, avrebbe inteso superare acriticamente la necessità di rintracciare riscontri

In particolare ci si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la giovane
età dell’imputato del tutto ininfluente, a fronte soprattutto del fatto che egli ha
negato solo parzialmente gli addebiti e della sua resipiscenza post delktum.
Si lamenta poi la valutazione che la Corte ha operato, ai fini del trattamento
sanzionatorio, con riferimento alla determinazione della pena e all’unico precedente penale vantato.

Chiede pertanto che questa Corte Suprema voglia annullare la sentenza im-

In data 5/5/2014 sono stati poi proposti dei motivi nuovi ai sensi dell’articolo 585, comma quattro, cod. proc. pen. nell’interesse di Mario Davide De Stefano.
Si lamenta, ai sensi dell’articolo 606 co. 1 lett. b), in ogni caso, l’illegalità
della pena inflitta al ricorrente a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
numero 32/2014, trattandosi nel caso che ci occupa di cannabis, ovvero di una
cosiddetta droga leggera, e dovendosi considerare la reviviscenza del previgente
art. 73 co. 4 Dor. 309/90.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi sopra illustrali sono manifestamente infondati, fatta eccezione per quello riguardante la sopravvenuta illegalità della pena irrogata a De
Stefano Mario Davide.
Pertanto, mentre per Loprete Luca il proposto ricorso va dichiarato inammissibile, per quanto riguarda De Stefano Mario Davide, essendo stata applicata
una pena che oggi è illegale deve pervenirsi ad un annullamento della sentenza
limitatamente al trattamento sanzionatorio, rigettandosi il ricorso nel resto.

2. Inammissibile, dunque, è il ricorso proposto dal Loprete.
Va evidenziato, quanto al motivo sub a. che, ancorché lo si rubrichi come
violazione di legge o vizio motivazionale, appare evidente che quella che viene
proposta a questa Corte Suprema è una rilettura degli elementi di fatto emersi
nel corso del processo, che non è consentita in questa sede.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le

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pugnata con ogni conseguente statuizione.

varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione
per essere apprezzabile come vizio denundabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile /dir ocull, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la

del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del
24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito,
ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà
della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del
13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità
di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46. Il giudice di legittimità non può
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto
della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Il vizio della manifesta illogidtà della motivazione deve essere evindbíle
dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione
secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente
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decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni

indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di
questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in
un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della
prova” che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, fungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),

tivo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno
della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il giudice
di merito abbia fondato il suo convindmento su una prova che non esiste (ad
esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato). Oppure dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma -occorrerà ancora ribadirlo- non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con
cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita
nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure
si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto
che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere
carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.

3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa
Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato
si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

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prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il rela-

Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in
questa sede di legittimità.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto delle ragioni che hanno portato all’affermazione di
penale responsabilità del Loprete.
Nel contesto di una motivazione assolutamente congrua viene evidenziato, infatti, come non possa essere considerato fatto del tutto accidentale che il

dello stupefacente con i nomi propri di Fabio e Luca, che corrispondono ai nomi
di battesimo di Inturri e Loprete e come non possa essere considerata senza rilievo la circostanza che in alcune telefonate (quelle indicate espressamente dal
giudice di prime cure a pag. 7 della sentenza) il De Stefano, nel lamentarsi delle
minacce ricevute per ottenere il pagamento dello stupefacente, indichi che gli
autori di tali minacce sono propri i creditori della somma da lui dovuta per l’acquisto dell’hashish.
In proposito viene ricordato in sentenza come il Loprete abbia ammesso
di avere partecipato con Inturri alla condotta violenta minacciosa per ottenere il
pagamento della somma di danaro che poi effettivamente è stata corrisposta
dallo zio del De Stefano, anche se ne ha fornito diversa causale. Ed invece il contenuto delle intercettazioni telefoniche è certamente indicativo -come rileva la
Corte territoriale- della compartedpazione del Loprete alla cessione dello stupefacente.
In tale ottica viene anche ricordata l’intercettazione della conversazione n.
939, intercorsa tra De Stefano e Alterino, nella quale la difesa riconosce che il
Luca indicato come autore delle minacce è proprio Loprete.
L’invito dell’Alleríno a disfarsi di tali persone e %del loro fumo di merda”
deve essere ragionevolmente riferito, come si rileva nella sentenza impugnata, ai
soggetti di cui i due parlavano in precedenza, e quindi anche al Loprete.
Dunque non sono state solo le dichiarazioni rese da Allerino al pubblico
ministero circa quanto riferitogli dai De Stefano in ordine ai venditori dell’hashish
a portare alla condanna del Loprete. In uno con quelle, infatti, mopstrano di avere avuto un peso decisivo una serie di elementi che si riscontrano dalle intercettazioni e che sia il primo giudice -che legittimamente la Corte territoriale richiama per relatíonem condividendone l’assunto- che la Corte territoriale hanno ritenuto pienamente concordanti e univocamente portare all’individuazione del
Loprete come uno dei due cessionari dell’hashish
Ampiamente motivata è anche l’affermazione di responsabilità del Loprete
per l’estorsione, alla cui condotta lo stesso ha ammesso di avere preso parte, e
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De Stefano delle conversazioni intercettate abbia indicato i due soggetti venditori

che la Corte territoriale ricorda essere ampiamente descritto dai testi indicati nella sentenza dal giudice di prime cure ed emergere dal tenore delle intercettazioni
telefoniche tra De Stefano i suoi parenti, apparendo evidente che gli era ben
consapevole che la condotta estorsiva era finalizzata a recuperare il prezzo di
cessione dello stupefacente.

4. Quanto alla doglianza secondo cui la Corte di Appello avrebbe recepito integralmente e acriticamente la motivazione dei giudici di prime cure va ricordato

fermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la
motivazione della sentenza d’appello

per relationem

a quella della

sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione
impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla
fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame,
sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano
ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo
grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con alteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del
16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep.
12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.
1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è
tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti
e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in
modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
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che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme af-

espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini,
se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’ossatura”
dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter
argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali
motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate

14.1.2003, Delvai, rv. 223061).
E’ stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso
in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime
incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione,
che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non
siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di dedsività, non possono
dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della
motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati
dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni
elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della
compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n.
9242 dell’8.2.2013, Reggio, rv. 254988).
Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Genova non si è limitata a
richiamare la sentenza di primo grado, ma ha evidenziato lo specifico compendio
probatorio che l’ha portata confermare la condanna al Loprete.
Manifestamente infondato e anche il profilo di doglianza che attiene al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 114 del codice
penale laddove la corte genovese ha congruamente motivato sul punto affermando come non vi fosse alcun motivo per ritenere che la compartecipazione

dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep.

dello stesso fosse stata di minima importanza, avendo egli partecipato sia alla
cessione dello stupefacente che alla successiva condotta violenta e minacdosa
finalizzata a recuperarne il relativo prezzo
Viene anche evidenziato in motivazione come le attività concorsuali del
Loprete e dell’Inturri appaiono assolutamente identiche e non vi sia motivo per
differenziare le une dalle altre

5. Evidentemente nessun rilievo può avere la drcostanza che altro
giudice, chiamato a giudicare con il rito ordinario l’Inturri, abbia opinato in senso
diverso, a fronte dell’intervenuta ritrattazione in sede dibattimentale dell’Alterino.
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Circa il lamentato contrasto di giudicati questa Suprema Corte ha
costantemente affermato negli anni come diverso è il criterio di valutazione
proprio dei riti, di per sé tale da condurre fisiologicamente ad esiti opposti (sez.
3, n. 23050 del 23.4.2013, Mattioli, rv. 256169).
E’ evidente che il compendio probatorio su cui ha potuto contare il GUP
che ha giudicato il Loprete con il rito abbreviato è diverso da quello del giudice
del dibattimento ordinario.
Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte è univocamente orientata, ad

provvedimento definitivo non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso vetta sulla
valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici (sez. 5, ord.
n. 3914 del 17.11.2011 dep. 31.1.2012, Serafini e altri, rv. 251718).
Le situazioni di contrasto, che pure non sono definibili in numero chiuso e
possono essere le più varie, non possono tuttavia ravvisarsi sulla sola base di un
contrasto di principio fra due sentenze, ma devono essere tali da dimostrare,
rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente
accettata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato (Sez. 6, n.
10916 del 7.2.2006, P.G. in proc. Spadaro, Rv. 233733).

6.

La Corte d’Appello motiva compiutamente anche in relazione alla

mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche valorizzando in proposito il fatto che il Loprete sia gravato un precedente specifico per rapina,
lesioni e resistenza a pubblico uffidale.
Con motivazione congrua e logica, sul punto, la Corte territoriale evidenzia
anche come il comportamento processuale non possa ritenersi utile avendo il
predetto sostenuto una tesi non vera e come le condizioni di salute dello stesso
non gli abbiano impedito la commissione dei reati.
Viene anche analizzata la giovane età dell’imputato al momento del fatto
che la Corte genovese ritiene non rappresentare motivo di particolare
indulgenza, già immeritatamente accordata nella precedente condanna.
Va rilevato in proposito che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della
motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche,
come più volte ribadito da questa Cotte, non è necessario che il giudice prenda
in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione. (così quesat Sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, rv.
256172, fattíspede in cui la Cotte ha ritenuto giustificato il diniego delle

12

evidenziare come il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revocabilità di un

attenuanti generiche motivato con esdusivo riferimento agli specifici e reiterati
precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In ultimo quanto alla posizione del Loprete va evidenziato come il fatto
che il reato più grave è stato quello di estorsione aggravata e che gli aumenti per
la continuazione siano stati operati in relazione ai delitti riguardanti gli
stupefacenti farsi che non vi siano elementi di contrasto con la nuova disciplina
sanzionatorie intervenuta quanto a questi ultimi.

che attiene alla mancanza di motivazione in punto di negato riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. lo stesso è infondato.
Infatti questa Corte ha precisato in più occasioni come il giudice non possa riconoscere l’esistenza di una circostanza legata alla disciplina del concorso
nel reato laddove concorso non c’è (cfr. sul punto sez. 2, n. 36538 del
21.9.2011, Zappalà ed altri, rv. 251146; conf. sent. 8042/1992 rv. 191300;
29821/2001 rv. 221210; 15086/2011 rv. 249911).
Evidentemente il giudice del merito potrà valutare in casi come quello che

ci occupa la partecipazione di ciascuno ad un’attività complessa quale quella di
spaccio di sostanze stupefacenti, graduando conseguentemente la pena e riconoscendo eventualmente, le attenuanti generiche, ma laddove si è al di fuori della
figura del concorso di cui all’art. 110 cod. pen. si é al di fuori della sfera di
applicabilità della citata attenuante, posto che mediante quest’ultima è stata
introdotta una correzione al principio generale della equivalenza delle cause e
della unitarietà del reato concorsuale; principio in forza del quale l’apporto di
ciascuno alla realizzazione dell’illecito è considerato ad un tempo atto proprio e
comune a tutti i concorrenti, con l’implicazione di una tendenziale equivalenza
anche sul piano sanzionatorio.

8. Tuttavia, come visto in precedenza, il De Stefano è stato condannato
per il reato di cui all’art. 73 Dpr. 309/90 per la detenzione a fine di spaccio e la
consegna a Neto Saverio di 3,045 kg. di hashish, quantitativo idoneo al confezionamento di circa 14.770 dosi medie.
Il GUP di Genova nella quantificazione della pena – confermata dalla sentenza impugnata- è partito da una pena base di anni 7 di reclusione ed euro
40.000 di multa, che effettivamente era ricompresa nella cornice sanzionatoria di
cui all’alt. 73 co. 1 Dpr. 309/90 nel testo vigente all’epoca di entrambe le sentenze di merito, che puniva in maniera indifferenziata droghe c.d. “pesanti” e
droghe c.d. “leggere”.

13

7. Quanto al motivo di doglianza specificato in ricorso dal De Stefano e

All’atto in cui interviene la presente sentenza, tuttavia, non può non tenersi conto che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49 quella da cui il giudice del merito è
partito non è più la pena minima.
Con la sentenza in questione, rimossa dal giudice delle leggi la novella del
2006 di cui alla c.d. Legge Fini-Giovanardi, si è determinata, infatti, la revivi-

testo anteriore alle modifiche con quella apportate che, mentre prevedono un
trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette “droghe leggere” (puniti con la pena della reclusione da
due a sei anni e della multa, anziché con la pena della reclusione da sei a venti
anni e della multa), viceversa contemplano sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti’ (puniti, oltre che con la multa, con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).
E’ stata la stessa Corte Costituzionale a precisarlo in sentenza laddove ha
affermato che “in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in
questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77, secondo comma, Cost., deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate -.
Nel caso che ci occupa nel computo della pena il GUP di Genova e poi la
Corte del capoluogo figure sono partiti da una pena base che eccede oggi il massimo della pena prevista per le droghe c.d. leggere.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio limitatamente al
trattamento sanzionatorio, essendo il giudice di rinvio chiamato a rivalutare
quest’ultimo, in ragione dei criteri di legge, alla luce della cornice normativa di

scenza del primo e del quarto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel

riferimento oggi vigente.
Con la precisazione che, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. , sul punto
della responsabilità deve ritenersi formato il giudicato.

9. Essendo il ricorso de Loprete inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen, non rawisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

14

4

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Loprete Luca e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C mille in favore della Cassa
delle Ammende.
Annulla la sentenza impugnata -con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Genova – per l’imputato De Stefano Mario Davide limitatamente al
trattamento sanzionatorio; rigetta nel resto il ricorso di De Stefano.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2014

Il Presidente

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