Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30898 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30898 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. CITELLI Marco, nato a Gaggiano il 18/3/1954
2. DI STASIO Antonio, nato ad Ascoli Satriano il 22/4/1947
3. FERRI Silvio Felice, nato a Trezzano sul Naviglio il 9/1/1954
4. PREVOSTI Giuseppe, nato a Carnago il giorno 11/1/1946
5. ROSSETTO Giorgio, nato a Noventa di Piave il 5/5/1948
6. SCIUMBATA Oreste, nato a Marcedusa il 20/9/1959
7. VELARDITA Giacomo, nato a Caltagirone il 13/9/1959
avverso la sentenza n. 3020/13 in data 14/10/2013 del Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Milano.
visti gli atti, la sentenza ed i ricorsi
vista la memoria per la parte offesa Comune di Trezzano sul Naviglio
vista la richiesta scritta del Sostituto Procuratore Generale dott. Gioacchino
IZZO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorsi con le
ulteriori statuizioni di legge;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza ex art. 444 c.p.p. n. 3020/13 in data 14/10/2013 il Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Milano applicava a:
1. CITELLI Marco la pena di 4 anni di reclusione (p.b., ritenuta la continuazione,
determinato il reato più grave nel capo A) (riguardante la contestata violazione
degli artt. 81 cpv. 110, 112 n. 1, 319, 321 cod. pen., 3 e 4 L. 146/2006),
aumentata per l’aggravante ex art.3 e 4 legge n.146 del 2006 a 6 anni di
reclusione, ridotta per le riconosciute attenuanti generiche prevalenti a 4 anni di

Data Udienza: 17/06/2014

recl., aumentata per la continuazione con il capo B) (riguardante anch’esso la
contestata violazione degli artt. 81 cpv. 110, 112 n. 1, 319, 321 cod. pen., 3 e 4
L. 146/2006) di 1 anno e con il capo C) (riguardante la contestazione dell’art.
416, commi 1 e 5 cod. pen.) di un anno per la pena complessiva di anni 6, infine
ridotta per il rito alla pena suindicata); dichiarandolo interdetto dai pubblici uffici
per la durata di anni 5; incapace a contrattare con la P.A. per anni 2; disponendo
la confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p., nonché ex art. 11 legge n. 146
del 2006 della somma di E. 14.000 messa a disposizione oltre a quella residua

motivazione; condannandolo al pagamento delle spese processuali e di custodia
cautelare.
2.

DI STASIO Antonio la pena di anni 4 di reclusione (p.b., ritenuta la

continuazione con determinazione del reato più grave nel capo A), 4 anni di
reclusione, aumentata per l’aggravante ex artt. 3 e 4 legge 146 del 2006 a 6
anni di reclusione, ridotta per le riconosciute attenuanti generiche prevalenti ad
anni 4 di reclusione, aumentata per la continuazione di 1 anno per ciascuno dei
capi B) e C) quindi, per la pena complessiva di 6 anni di reclusione, infine ridotta
per il rito alla pena finale suindicata); dichiarandolo interdetto dai pubblici uffici
per la durata di anni 2 nonché incapace di contrattare con la P.A. per anni 2;
condannandolo al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare;
disponendo la confisca della somma messa a disposizione di 50.000,00 ex art.
322 ter c.p.
3. FERRI Silvio Felice la pena di anni 2 mesi 8 di reclusione ed Euro 2000 di
multa (p.b. per il capo D) (riguardante la violazione degli artt. 81 cpv., 648-bis,
3 e 4 L. 146/2006) anni 4 di reclusione ed Euro 3000 di multa aumentato per
l’aggravante ex artt. 3 e 4 legge 146 del 2006 a 6 anni di reclusione ed Euro
4500 di multa, ridotta per le riconosciute attenuanti generiche a 4 anni di
reclusione ed Euro 3000 di multa, infine ridotta per il rito alla pena sopra
indicata; condannaNdolo al pagamento delle spese processuali e di custodia
cautelare.
4. PREVOSTI Giuseppe (con esclusione del reato di cui al capo C per il quale
veniva pronunciata separata sentenza di proscioglimento) alla pena di 2 anni e 9
mesi di reclusione (p.b., ritenuta la continuazione con determinazione del reato
più grave nel capo A), 4 anni di reclusione, aumentata per l’aggravante ex artt. 3
e 4 legge n. 146 del 2006 a 5 anni e 4 mesi di reclusione, ridotta per le
attenuanti generiche prevalenti a 3 anni e 7 mesi di reclusione, aumentata per la
continuazione interna di 1 mese di reclusione, per quella esterna di 4 mesi e 20
giorni di reclusione, quindi, per la pena complessiva di 4 anni e 20 gg di recl,
infine ridotta per il rito alla pena finale suindicata); dichiarava PREVOSTI

2

corrispondente alla quota parte del prezzo del reato come specificato in

Giuseppe incapace di contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni 2;
condannava PREVOSTI Giuseppe al pagamento delle spese processuali e di
custodia cautelare; disponeva la confisca ex art. 322ter c.p. della somma messa
a disposizione come in atti pari a Euro 230.000,00;
5.

ROSSETTO Giorgio, la pena di 4 anni di reclusione (p.b., ritenuta la

continuazione con determinazione del reato più grave nel capo A), 4 anni di
reclusione, aumentata per l’aggravante ex artt. 3 e 4 legge n. 146 del 2006 a 5
anni e 4 mesi di reclusione, ridotta per le generiche prevalenti a 4 anni di

mesi, per il capo C) di 9 mesi, per il capo G) (riguardante la violazione degli artt.
8 D.Lvo 74/2000, 61 n. 2 e 81 cod. pen.) di 3 mesi, quindi, per la pena
complessiva di 6 anni di reclusione, infine ridotta per il rito alla pena finale
suindicata); dichiarava ROSSETTO Giorgio interdetto dai pubblici uffici per anni 5
nonché incapace di contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni 2;
condannava ROSSETTO Giorgio al pagamento delle spese processuali e di
custodia cautelare; disponeva la confisca della somma messa a disposizione di
Euro 20.000,00 ex art. 322ter c.p.
6. SCIUMBATA Oreste alla pena di 3 anni e 10 mesi di reclusione (p.b., ritenuta
la continuazione con determinazione del reato più grave nel capo A), 4 anni di
reclusione, aumentata per l’aggravante ex artt. 3 e 4 legge n. 146 del 2006 a 5
anni e 4 mesi di reclusione, ridotta per le generiche prevalenti a 4 anni di
reclusione, aumentata per la continuazione interna di 6 mesi, per il capo B) di 6
mesi, per il capo C) di 9 mesi, quindi, per la pena complessiva di 5 anni e 9 mesi
di reclusione, infine ridotta per il rito alla pena finale suindicata); dichiarava
SCIUMBATA Oreste interdetto dai pubblici uffici per anni 5 nonché incapace di
contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni 2; condannava SCIUMBATA
Oreste al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare.
7. VELARDITA Giacomo alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione (p.b., ritenuta
la continuazione con determinazione del reato più grave nel capo A), 6 anni e 10
mesi di reclusione, aumentata per l’aggravante ex artt. 3 e 4 legge n. 146 del
2006 a 9 anni e 2 mesi di reclusione, ridotta per le generiche prevalenti a 6 anni
e 2 mesi di reclusione, aumentata per la continuazione di 7 mesi, quindi per la
pena complessiva di 6 anni e 9 mesi di reclusione, infine ridotta per il rito alla
pena finale suindicata); dichiarava VELARDITA Giacomo interdetto dai pubblici
uffici per anni 5 nonché incapace di contrattare con la Pubblica Amministrazione
per anni 2; condannava VELARDITA Giacomo al pagamento delle spese
processuali e di custodia cautelare.

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reclusione; aumentata per la continuazione interna di 3 mesi, per il capo B) di 9

Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza il DI STASIO
personalmente e gli altri imputati per mezzo dei rispettivi difensori, deducendo:
1) per CITELLI Marco:
la. Violazione dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. 416 cod. pen. e 4 I.
146/2006 sul rilievo che il giudice a quo avrebbe dovuto rilevare l’insussistenza
dell’aggravante della transnazionalità con riferimento al reato di cui al capo A) in
quanto ontologicamente incompatibile con il reato associativo e conseguente
errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen.

della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni 2;
lc. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla disposta
confisca per equivalente della somma residua “corrispondente alla quota parte
del prezzo del reato come specificato in motivazione”
2) per DI STASIO Antonio:
2a. Violazione dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen., inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale in relazione agli artt. 3 e 4 I. 146/2006.
3) per FERRI Silvio:
3a.

Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli

artt. 3 e 4 L. 146/2006.
3b. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen.
4) per PREVOSTI Giuseppe:
4a.

Violazione dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per erronea applicazione

dell’art. 321 cod. pen. anche con riferimento alla diversa ipotesi ex art. 419
quater cod. pen. quale corretta qualificazione delle condotte contestate.
4b.

Violazione dell’art. 606, lett. b, cod. proc. pen. per erronea applicazione

dell’art. 81 cpv. in relazione all’art. 8, D.Ivo 10 marzo 2000 n. 74
5) per ROSSETTO Giorgio:
5a. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea
applicazione di legge in relazione all’aggravante ex artt. 3 e 4 I. 146/2006 e
comunque mancanza di motivazione, anche solo sintetica, in relazione alla
ritenuta sussistenza della suddetta aggravante.
6) per SCIUMBATA Oreste:
6a. Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.
proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 4 I. 146/2006
anche sotto il profilo della mancanza della motivazione.
7) per VELARDITA Giacomo:

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lb. Mancanza di motivazione in relazione all’applicazione della pena accessoria

7a. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 125, 444,
comma 2, e 129 cod. proc. pen. per avere la sentenza gravata di ricorso
applicato la pena su richiesta delle parti omettendo qualsivoglia considerazione
in ordine alla insussistenza di elementi idonei a pervenire ad un proscioglimento
con formula ampiamente liberatoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve, innanzitutto, essere premesso che secondo la giurisprudenza di questa

patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, pervenuto
a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato unilateralmente né
revocato, e, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più
consentito alle parti prospettare questioni e sollevare censure con riferimento
alla sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva
attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e
modalità di applicazione della pena. In tale ambito, l’obbligo di motivazione deve
ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva
valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti». (Cass. Sez. 6^
sent. n. 3429 del 3.11.1998 dep. 11.12.1998 rv 212679).
Inoltre, «In tema di patteggiamento, una volta che l’accordo sia stato ratificato
dal giudice, non è più consentito alle parti prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento (come nella specie) alla applicazione delle circostanze …
che non siano illegali: anche entro tale ambito, invero, l’obbligo di motivazione
deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e
positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti». (Cass. Sez.
5^ sent. n. 5210 del 28.10.1999 dep. 4.2.2000 rv 215467).

2. Ciò doverosamente premesso, stante la sostanziale unicità della materia in
esame appare, innanzitutto, doveroso procedere ad una trattazione congiunta
dei motivi di doglianza prospettati dai ricorrenti CITELLI, DI STASIO, FERRI,
ROSSETTO e SCIUMBATA e di cui ai sopra indicati punti la, 2a, 3a, 5a e 6a.
Il ricorso CITELLI (punto la) muove, innanzitutto, una censura (questa sì
generica) relativa alla asserita carenza motivazionale della sentenza impugnata
con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante della transnazionalità
“senza entrare nello specifico ed esaminare i fatti attinenti all’imputato CITELLI”
(~) con conseguente mancata emissione di una decisione ex art. 129 cod.
proc. pen.
In realtà la sentenza del Giudice di prime cure risulta ampiamente motivata con
riguardo allo sviluppo delle indagini, all’accertamento dei fatti di cui è processo,
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Corte, che l’odierno Collegio condivide, «la richiesta di applicazione di pena

financo alle dichiarazioni rese dagli stessi imputati e nella stessa è testualmente
precisato che “l’assenza di qualsivoglia causa di proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen. per ciascuna delle imputazioni per le quali gli imputati ed il PM hanno
concordato la pena va desunta dalla sussistenza di un quadro indiziario a carico
di ciascun imputato di spiccata intensità e pregnanza”. Ciò dà conto di come il
Giudice di prime cure, in un’ottica di una motivazione che per la natura del rito
può (e deve) essere necessariamente sintetica, si sia posto il problema della
sussistenza di ogni elemento caratterizzante “ciascuna delle imputazioni” (e

doverosa valutazione di merito, abbia escluso la sussistenza di una causa di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Sul punto è appena il caso di ricordargter giurisprudenza costante di questa
S.C. (risalente nel tempo – Cass. Sez. 3^, 18.6.1999, Rv. 215071 – e mai più
abbandonata), la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta
delle parti (escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste
dall’art. 129 cod. proc. pen.) può essere oggetto di controllo di legittimità, per
vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia
evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.
Diversamente, (v. Cass. sez. 5^, 15.4.1999, Rv. 213633) non è necessario che il
giudice dia conto, nella motivazione, della esclusione di tale causa, “essendo
sufficiente anche una implicita motivazione” a tale riguardo

(ex ceteris anche

Cass. Sez. 5^, sent. n. 31250 del 25/06/2013, dep. 22/07/2013, Rv. 256359).
Del resto proprio la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 18374 del
31.1.2013-23.4.2013), citata dal ricorrente, fornisce conforto a quanto appena
esposto, ricordando che in caso di applicazione della pena è ius receptum che ai
fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione e con particolare riferimento
alla mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. deve reputarsi sufficiente
la mera enunciazione da parte del giudice della compiuta delibazione in merito.
Tanto più quando dagli atti di causa non risulti – come nella fattispecie in esame
– che le parti abbiano dedotto o fatto specifica questione in ordine alla ricorrenza
di una delle non previste cause di non punibilità, così da rendere poi necessaria
una specifica deliberazione sul punto.
Nel caso di specie il ridotto onere motivazionale è stato espressamente assolto il
che rende sotto questo profilo il ricorso del CITELLI manifestamente infondato.
Passando, ora, ad esaminare nel dettaglio le doglianze espresse dal ricorrente DI
STASI°, al di là della assoluta genericità delle stesse, non può non evidenziarsi
immediatamente come di fatto si contesta che il giudice avrebbe ritenuto la
sussistenza della circostanza aggravante di cui agli artt. 3 e 4 L. 146/2006
esclusivamente sulla base delle ammissioni dell’imputato VELARDITA. Emerge

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quindi anche delle circostanze aggravanti contestate) e di come, attraverso una

ictu ocu/i che si tratta di una questione di merito legata alla prova del concorso
del DI STASIO nel fatti-reato di cui ai capi A) e B) della rubrica della sentenza
impugnata (contestazione relativa a plurimi fatti di natura corruttiva commessi
con il contributo di un gruppo criminale organizzato di soggetti impegnato in
attività criminali in più di uno stato) reati ritenuti sussistenti dal Giudice di prime
cure che nella parte motiva della sentenza ha dato conto (pur nella sinteticità
tipica del rito) della loro genesi e delle relative risultanze probatorie.
Per dovere di completezza ed anche con riferimento al contenuto degli altri

Sezioni Unite di questa Corte (n. 18374 del 31.1.2013-23.4.2013) che dà conto
della correttezza dell’impostazione accusatoria poi recepita dal Giudice di prime
cure, nel momento in cui ricorda che il combinato disposto degli articoli 3 e 4
della L. n. 146 del 2006 consente di affermare che, per conformazione
morfologica e strutturale, la transnazionalità è una peculiare modalità di
espressione, o predicato, riferibile a qualsivoglia delitto, a condizione che lo
stesso, sia per ragioni oggettive sia per la sua riferibilità alla sfera di azione di un
gruppo organizzato operante in più di uno Stato, assuma una proiezione
transfrontaliera.
Nella medesima sentenza si evidenzia, poi, che il “reato transnazionale” è,
dunque, nozione definitoria che si ricava dall’insieme degli elementi costitutivi di
un comune delitto e di quelli specifici, positivamente previsti nel concorso di tre
distinti parametri:
a) la gravità del reato, determinata in ragione della misura edittale di pena;
b) il “coinvolgimento” di un gruppo criminale organizzato;
c) la ricorrenza in forma alternativa di uno dei seguenti elementi: commissione
del reato in più di uno Stato (a), commissione in uno Stato, ma con parte
sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un
altro Stato (b); commissione in uno Stato, ma implicazione in esso di un gruppo
criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato (c);
commissione in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato.
Orbene, la situazione in esame rientra nel punto b) di quest’ultimo paragrafo,
con l’ulteriore doverosa precisazione che il concetto di “gruppo organizzato” non
necessariamente deve coincidere con quello di associazione per delinquere, tanto
è vero che nel caso in esame al capo C) della rubrica (per intenderci quello
relativo alla contestazione del reato di associazione per delinquere ex art. 416
cod. pen.) non è contestata la circostanza aggravante di cui agli artt. 3 e 4 L.
146/2006.
Ciò rende il ricorso di DI STASIO Antonio manifestamente infondato.

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ricorsi sul punto e dei quali si dirà di seguito è proprio la citata sentenza delle

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato FERRI sul punto e sopra indicato
al paragrafo 3a è del tutto generico essendosi limitato a contestare

sic et

simpliciter l’assenza di una struttura illecita a livello transnazionale e, per
l’effetto, è inammissibile.
I ricorsi sul punto presentati dagli imputati ROSSETTO e SCIUMBATA (di cui ai
superiori punti 5a e 6a) sono a loro volta manifestamente infondati. In entrambi
si lamenta sostanzialmente l’assenza di motivazione in ordine alla sussistenza
della circostanza aggravante della transnazionalità qui in esame.

sintetici oneri motivazionali del giudice del giudizio ex art. 444 cod. proc. pen. si
esauriscono nella dimostrazione di aver preso cognizione dei fatti e dei
conseguenti aspetti giuridici ricollegabili agli stessi e nell’avere escluso la
ricorrenza di condizioni per l’effettuazione di una pronuncia ex art. 129 cod.
proc. pen.
Anche in questo caso i ricorrenti hanno, poi, fatto richiamo all’apparente
contrasto tra l’operato del Giudice di prime cure ed i principi indicati dalle Sezioni
Unite di questa Corte. Si è già detto sopra di come tale contrasto non sussiste ed
è frutto di una erronea lettura da parte dei ricorrenti del contenuto motivazionale
della più volte citata sentenza n. 18374/2013.
Nella predetta sentenza, infatti, si evidenzia che il concetto di “gruppo
organizzato” integra una nozione composita, dai tratti descrittivi ben distinti da
quelli che connotano le nozioni di concorso di persone nel reato di cui all’art. 110
c.p., e di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p..
‘Gruppo organizzato’ è, certamente, un quid pluris rispetto al mero concorso di
persone (Sez. 6^, n. 7470 del 21/01/2009, Colombu, Rv. 243038), ma è – con
pari certezza – un minus rispetto alla associazione per delinquere. Per la sua
configurazione è, infatti, richiesta soltanto una certa stabilità dei rapporti, un
minimo di organizzazione senza formale definizione dei ruoli, la non occasionalità
od estemporaneità della stessa, la costituzione in vista anche di un solo reato e
per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale;
invece, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 416 c.p., anche alla
luce di ricorrente lettura di questa Corte, occorrono un’articolata organizzazione
strutturale, seppure in forma minima od elementare, tendenzialmente stabile e
permanente, una precisa ripartizione dei ruoli e la pianificazione di una serie
indeterminata di reati (tra le altre, Sez. 6^, n. 3886 del 07/11/2011, dep. il
31/01/2012, Papa, Rv. 251562). Il contesto strutturale – organizzato deve
essere, insomma, funzionale alla realizzazione di un numero indefinito di delitti,
senza che, ai fini della configurazione normativa, sia richiesto anche il
teleologismo finanziario o comunque materiale dell’azione della consorteria,

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L’assunto è chiaramente infondato atteso che, come si è avuto modo di dire, i

derivando – di fatto – l’eventuale profitto dall’apporto dei singoli reati-fine, alla
cui esecuzione sia funzionalmente preordinato.
E’ ovvio poi che, ove il gruppo organizzato assuma siffatti connotati, diventi esso
stesso associazione per delinquere e, in tal caso, vi sarà sicura sovrapposizione
od immedesimazione delle due entità.
Nell’ipotesi di cui all’art. 4, invece, siffatta immedesimazione non deve

as52~st_sussistere, giacché – per quanto si è detto – la previsione del
contributo causale implica diversità soggettiva, ossia l’esistenza di due distinte

impegnato in attività criminali in più di uno Stato, deve aver contribuito alla
commissione del reato associativo, cioè alla costituzione od all’agevolazione, in
qualsiasi forma, dell’associazione formatasi ed operante in ambito nazionale.
Dalla sfera di operatività della circostanza aggravante deve, quindi, essere
espunta l’ipotesi in cui il gruppo organizzato sia esso stesso associazione per
delinquere. D’altronde, in uno al dato ontologico dell’immedesimazione,
all’applicabilità dell’aggravante osterebbe, sul piano formale, il chiaro disposto
normativo dell’art. 61 cod. pen., secondo cui le circostanze, positivamente
previste, aggravano il reato ‘quando non ne sono elementi costitutivi’.
Ciò doverosamente ricordato, non si può dimenticare che l’intero complesso
motivazionale della citata sentenza della Sezioni Unite di questa Corte porta ad
una conclusione e cioè che non è configurabile l’aggravante in esame per il reato
di associazione per delinquere avente caratteristiche di transnazionalità ma ciò è
cosa ben diversa dal ritenere configurabile l’aggravante per fatti-reato diversi da
quello associativo in relazione ai quali l’esistenza del “gruppo organizzato” ed
operante a livello transnazionale ha fornito il proprio contributo realizzativo.
Del resto ed a ben vedere nel caso di specie non v’è neppure una totale
sovrapponibilità tra i concorrenti nella commissione dei reati per i quali è
contestata la circostanza aggravante di cui agli artt. 3 e 4 L. 146/2006 e quelli
per i quali è stata contestata e ritenuta la partecipazione all’associazione per
delinquere di cui al capo C) della rubrica dell’impugnata sentenza: PREVOSTI
Giuseppe ed i coimputati GALLI Anna e D’ANZUONI Massimo sono stati prosciolti
per il reato associativo ed al coimputato CONCOLINO (che ha chiesto ed ottenuto
l’applicazione della pena per il reato di cui al capo B della rubrica) non risulta
essere stata contestata la partecipazione nel reato di cui all’art. 416 cod. pen.

3. Passando, ora, all’esame degli altri motivi di gravame, bisogna prendere in
esame la doglianza avanzata dalla difesa dell’imputato CITELLI e sopra indicata
al punto lb relativa alla mancanza di motivazione in relazione all’applicazione

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realtà organizzative, nel senso che il gruppo criminale organizzato, peraltro

della pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica
Amministrazione per anni 2.
Va detto subito che, come risulta dalla sentenza impugnata (pagg. 14, 15 e 16)
nel capitolo intestato “Conclusioni concordate dalle parti ex art. 444 c.p.p.”, il
Pubblico Ministero ha espressamente indicato per il CITELLI la richiesta della
pena accessoria di cui trattasi, la difesa dell’imputato nulla ha opposto ed il
giudice ha deciso il tutto in assoluta conformità.
Va osservato, a tale proposito, che secondo la giurisprudenza di questa Corte,

di applicazione di una pena detentiva, congiunta o non a pena pecuniaria,
superiore ai due anni, è consentita, nei congrui casi, l’applicazione di pene
accessorie e misure di sicurezza, quand’anche non automatiche e rimesse alla
valutazione discrezionale del giudice, ferma restando la necessità, ove occorra,
di accertare la sussistenza in concreto della pericolosità sociale dell’imputato
(Cass. Sez. 6^ n. 31563, 30 luglio 2009; Sez. 1^ n. 4424, 2 febbraio 2009).
Ne consegue che il giudice può applicare tanto le pene accessorie quanto le
misure di sicurezza nei casi in cui la pena irrogata oltrepassi i limiti sopra
indicati, poiché nessuna esclusione e nessuna distinzione è stata introdotta dal
legislatore, cosicché risultano applicabili, nei casi di patteggiamento “allargato”,
anche le misure e le pene accessorie non automatiche e rimesse alla valutazione
discrezionale del giudice, trattandosi, peraltro, di conseguenze prevedibili per
l’imputato, il quale può sempre evitarne l’applicazione subordinando l’efficacia

del “patteggiamento” alla esclusione di misure o pene accessorie facoltative ed il
giudice, qualora ritenga di doverle applicare, potrà rigettare la richiesta delle
parti (Cass. Sez. 3, sent. n. 3107 del 14/12/2011, dep. 25/01/2012, Rv.
251897).
Nel caso di specie deve, però, essere ulteriormente evidenziato che l’irrogazione
della pena accessoria al CITELLI era obbligatoria (ex art. 32 quater cod. pen.) e
che il giudice ha ben assolto l’obbligo motivazionale rilevando l’esistenza dei

condivisa dal Collegio, in tema di cosiddetto “patteggiamento allargato”, in caso

presupposti di legge e motivando nel suo complesso in ordine ai gravi indizi di
responsabilità ai fatti specificamente ascritti all’imputato e più in generale,
richiamandosi alla congruità della pena (ed implicitamente anche a quella della
sanzione accessoria) ed ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. in relazione alla
gravità dei fatti ed alla personalità dell’autore.
Va inoltre ricordato che il ricorrente lamenta anche la circostanza che la sanzione
1;213,e’lceiteam i
accessoria è stata
n maniera generica invece di essere limitata ai

fr-

rapporti tra il CITELLI ed il Comune di Trezzano sul Naviglio.
In realtà la doglianza non ha alcun fondamento atteso che la disposizione di cui
all’art. 32 quater cod. pen. riguarda in generale l’incapacità di contrattare con la

10

,….-

Pubblica Amministrazione nel suo complesso e non prevede la possibilità per il
Giudice di limitare tale incapacità con riferimento ad uffici od enti pubblici
specificamente determinati.
Il ricorso dell’imputato in relazione anche a tali punti deve quindi considerarsi
manifestamente infondato.

4. Ulteriore punto del gravame posto dalla difesa dell’imputato CITELLI è quello
riguardante l’asserita mancanza e manifesta illogicità della motivazione in

“corrispondente alla quota parte del prezzo del reato come specificato in
motivazione”.
Il ricorso, limitatamente a questo profilo, è fondato.
Va detto subito che il Giudice di prime cure ha dato effettivamente atto (cfr. pag.
23 dell’impugnata sentenza) delle somme a titolo di “tangente” ricevute dal
VELARDITA e, poi, da questi distribuite in quote-parte ai complici ed ha
correttamente applicato il disposto dell’art. 322-ter che impone nei casi come
quello in esame l’adozione del provvedimento di confisca per equivalente
essendo la somma messa a disposizione dell’imputato chiaramente inferiore al
profitto del reato.
Pur tuttavia il dispositivo della sentenza nel momento in cui ha disposto la
“confisca … della somma di Euro 14.000,00 messa a disposizione oltre a Quella

residua corrispondente alla Quota parte del prezzo del reato come specificato in
motivazione” è viziato da genericità in quanto non consente di determinare con
esattezza il quantum complessivo della somma oggetto del provvedimento di
confisca.
E’ appena il caso di ricordare che la decisione sulla confisca si inserisce come
decisione incidentale all’interno del rito del patteggiamento, non essendo stato
oggetto di accordo il quantum relativo al profitto del reato nel caso in cui lo
stesso superi l’ammontare della somma messa a disposizione dall’imputato.
Ciò determina la necessità di adozione di una motivazione adeguata sul punto,
destinata poi a confluire in un dispositivo che dia conto con “certezza” di ciò che
è oggetto del provvedimento ablatorio.
Questo non è avvenuto nella sentenza in esame sia perché non appare possibile
emettere un dispositivo relativo alla confisca di una somma imprecisata il cui
ammontare dovrebbe determinarsi

per relationem dalla lettura della parte

motiva della sentenza, sia perché la stessa parte della sentenza all’evidenza
richiamata dal dispositivo finisce per essere a sua volta caratterizzata da
indeterminatezza atteso che, mentre per quanto riguarda una prima somma di
Euro 97.500 ricevuta dal VELARDITA si fa riferimento al fatto che la stessa è
11

relazione alla disposta confisca per equivalente della somma residua

stata ridistribuita “in parti uguali” tra i complici tra i quali il CITELLI, con riguardo
ad una seconda somma di Euro 200.000 si fa riferimento ad una nuova divisione
tra i complici ma non si dà conto delle proporzioni della divisione.
Si impone, pertanto, sotto questo specifico profilo l’annullamento della sentenza
impugnata con rinvio a Tribunale di Milano per un nuovo giudizio sul punto.

5. Quanto al motivo di ricorso avanzato da FERRI Silvio di cui al superiore punto
3b (Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen.) lo stesso è

Il processo sul punto si è consolidato con la formulazione dell’imputazione nella
quale sono indicate nel dettaglio (capo D della rubrica) le condotte che il FERRI
ha tenuto e che vengono descritte in punto di consapevolezza della provenienza
corruttiva delle somme di denaro ed in una serie di azioni (contatti con il
commercialista VENEGONI e richiesta di accompagnare il VELARDITA presso una
società di Lugano presentandolo falsamente come “persona attiva nel settore
immobiliare” e facendogli aprire due conti correnti dove il VELARDITA depositava
il denaro provento di dazioni corruttive) che sono inequivocabilmente finalizzate
ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
FERRI, per sua libera scelta, ha deciso di “patteggiare” in ordine a tale
contestazione quindi ammettendo di fatto di avere commesso le specifiche
condotte descritte nell’imputazione anche sotto il profilo soggettivo e, a questo
punto, non si comprende di cosa abbia a dolersi.
Ferme restando infatti le condotte descritte non vi sono infatti dubbi sulla
sussumibilità delle stesse nella violazione dell’art. 648-bis e non certo in quella di
cui all’art. 379 cod. pen. atteso che l’azione del FERRI si è collocata in un
momento successivo a quello della consumazione del reato presupposto ed è
stata chiaramente finalizzata a creare tutti i presupposti necessari perché
attraverso le operazioni bancarie estere sopra indicate fosse ostacolata
l’individuazione della provenienza delittuosa delle somme destinate
successivamente al rientro in Italia a beneficio dei soggetti concorrenti nel reato
di corruzione.
Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, “Il delitto
di favoreggiamento reale è una figura criminosa sussidiaria rispetto a quella del
riciclaggio di denaro di cui all’art. 648 bis c.p., allorquando siano ravvisabili gli
estremi di detta ipotesi delittuosa.” (Cass. Sez. 2^ sent. 43295 del 24.11.2010,
dep. 6.12.2010 rv 248949).

6. Di totale diverso tenore rispetto a quelli fino a questo momento affrontati è il
primo dei due motivi di ricorso formulato dalla difesa dell’imputato PREVOSTI nel

12

manifestamente infondato.

quale si eccepisce la violazione dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per erronea
applicazione dell’art. 321 cod. pen. anche con riferimento alla diversa ipotesi ex
art. 319 quater cod. pen. quale corretta qualificazione delle condotte contestate.
Anche in questo caso la difesa del ricorrente tenta di raggiungere tale risultato
attraverso una rilettura alternativa del compendio probatorio che potrebbe, a suo
dire, lasciare intendere che si versi in un’ipotesi di “induzione indebita a dare o
promettere utilità” (ex art. 319 quater cod. pen.) in luogo di un concorso in
corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (ex art. 319/321 cod. pen. ).

orientata) di parte dell’intero compendio probatorio in un tentativo di proporre
una lettura alternativa a quella dei fatti così come rubricati nel capo di
imputazione. Una simile operazione ermeneutica non è tuttavia consentita in
questa sede di legittimità e soprattutto in presenza del rito di cui all’art. 444 e
segg. cod. proc. pen. al quale il ricorrente ha liberamente scelto di accedere così
accettando anche la qualificazione giuridica del fatto che potrebbe essere messa
in discussione solo nel caso in cui la violazione sia palese e risulti dal testo del
provvedimento impugnato.
Questa Corte ha, infatti, sul punto già avuto modo di evidenziare che in tema di
patteggiamento sulla pena, una volta che sia stata pronunciata sentenza a
norma dell’art. 444 cod. proc. pen., l’imputato non può rimettere in discussione i
termini dell’accordo raggiunto neanche per ciò che concerne la qualificazione
giuridica del fatto dedotto in giudizio, dal giudice ritenuta corretta, adducendo la
erronea applicazione della legge penale, ove questa non risulti evidente dal testo
del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 6^, sent. n. 7935 del 08/03/1995,
dep. 18/07/1995, Rv. 202159) e, ancora, che in tema di patteggiamento, una
volta che l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di
applicazione della pena, non è consentito, fuori dai casi di palese incongruenza,
censurare il provvedimento in punto di qualificazione giuridica del fatto e di
ricorrenza delle circostanze, neppure sotto il profilo della mancanza di
motivazione, ricorrendo in proposito un dovere di specifica argomentazione solo
per il caso che l’accordo abbia presupposto una modifica dell’imputazione
originaria (Cass. Sez. 6^, sent. n. 32004 del 10/04/2003, dep. 29/07/2003, Rv.
228405).
Del resto se così non fosse una delle parti processuali che è addivenuta
all’accordo (nel caso in esame l’imputato) attraverso lo strumento
dell’impugnazione mostrerebbe di voler porre in essere un inammissibile recesso
dalla proposta dalla stessa avanzata. Questa Corte sul punto ha già evidenziato
in decisioni che questo Collegio condivide che “in tema di patteggiamento
l’accordo delle parti sulla pena non può essere oggetto di recesso, sicché è

13

Ciò viene realizzato attraverso un’estrapolazione (ovviamente difensivamente

inammissibile l’impugnazione del procuratore generale fondata su censure che si
risolvono in un recesso dall’accordo” (Cass. Sez. 2^, sent. n. 3622 del
10/01/2006, dep. 30/01/2006, Rv. 233369; Cass. Sez. 6″, sent. n. 28427 del
12/03/2013, dep. 01/07/2013, Rv. 256455). Orbene se tale regola vale per il
Pubblico Ministero, la stessa non può che valere anche per l’imputato.

7. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di gravame formulato
dalla difesa dell’imputato PREVOSTI.

rispondere di concorso con GALLI Anna e BECCARO MIGLIORATI Alessandro
(quest’ultimo giudicato separatamente con rito abbreviato) della violazione degli
artt. 8 D.Ivo n. 74/2000 perché in tempi diversi e in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, GALLI quale amministratore e socia di 2G Consulting Srl,
PREVOSTI e BECCARO quali soggetti beneficiari degli effetti patrimoniali delle
dazioni corruttive i quali hanno rafforzato il proposito criminoso della GALLI, per
procurarsi la provvista necessaria ad effettuare azioni corruttive e, pertanto, ai
fini di commettere i reati di corruzione di cui al capo A) della rubrica e al fine di
consentire a Immobilier Commerciai Italie 1 Sarl (ICI) di evadere le imposte sui
redditi e VIVA emettevano una serie di fatture per operazioni oggettivamente
inesistenti.
Orbene, evidenzia il ricorrente nel motivo di gravame che ci occupa, che
nell’ambito dei passaggi della istanza di applicazione della pena concordata con il
Pubblico Ministero (poi accolta dal Giudice) finalizzati alla determinazione
dell’aumento per la continuazione con il reato di cui all’art. 8 D.Ivo. 74/2000 si
sarebbe commesso un errore prevedendo un aumento di pena di 15 giorni per
ogni fattura includendo però in tal modo anche le fatture emesse nella medesima
annualità mentre il secondo comma della medesima disposizione di legge
espressamente stabilisce che ai fini dell’applicazione della disposizione prevista
dal comma 1 della medesima disposizione di legge l’emissione o il rilascio di più
fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di
imposta si considera come un solo reato”.
Se corretto è il rilievo del ricorrente sul punto, non corretta la conclusione alla
quale perviene il ricorrente secondo il quale si verterebbe in una situazione ex
art. 606, lett. b), cod. proc. pen. che determinerebbe un vizio della sentenza
impugnata.
In realtà la pena finale applicata al PREVOSTI è una pena che rientra nei limiti
legali ed il giudice nella sentenza non dà conto delle modalità di calcolo
intermedio relativo agli aumenti di pena per ciascuna delle fatture ma solo
dell’aumento finale (e complessivo) per la continuazione c.d. “esterna” ex art. 81

14

Al capo H) della rubrica delle imputazioni PREVOSTI è stato chiamato a

cpv. cod. pen. tra il reato di cui al capo A) della rubrica (ritenuto correttamente
il più grave) e quello di cui al capo H) che in questa sede ci occupa.
In ogni caso, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che l’odierno
Collegio condivide, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle
parti l’accordo si forma non tanto sulla pena inizialmente indicata e sulle
eventuali operazioni con le quali la stessa viene determinata, bensì sul risultato
finale delle operazioni stesse; ne deriva che gli eventuali errori di calcolo
commessi nel determinare la sanzione concordata ed applicata dal Giudice non

illegale

(ex ceteris

Cass. Sez. 6^, sent. n. 44907 del 30/10/2013, dep.

07/11/2013, Rv. 257151).

8. Manifestamente infondato è, infine, il ricorso presentato nell’interesse
dell’imputato VELARDITA Giacomo con il quale si lamenta la violazione dell’art.
606, comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 125, 444, comma 2, e 129 cod.
proc. pen. per avere la sentenza gravata di ricorso applicato la pena su richiesta
delle parti omettendo qualsivoglia considerazione in ordine alla insussistenza di
elementi idonei a pervenire ad un proscioglimento con formula ampiamente
liberatoria.
Il ricorso di fatto si traduce in un commento sui presupposti di applicazione
dell’art. 129 cod. proc. pen., in una generica critica sulla stringatezza
motivazionale adottata dal Giudice di prime cure sul punto ed in una rivisitazione
giurisprudenziale e dottrinale degli elementi relativi al reato di associazione per
delinquere legato ad un tentativo di rilettura del compendio probatorio.
In realtà sembra trascurare il ricorrente il fatto che ci troviamo di fronte ad una
sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti cioè in un rito che ha
una specifica caratterizzazione strutturale nel quale il suo assistito ha deciso
volontariamente di accedere e che prevede per la natura dell’accordo intercorso
tra le parti una stringatezza degli aspetti motivazionali della decisione del
giudice.
Si è già detto nel corso dell’analisi dei motivi di ricorso dei coimputati del
VELLARDITA (cfr. superiori paragrafi 1 e 2) quali siano i limiti decisionali di
questa Corte e quale sia la caratterizzazione della motivazione in relazione
all’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. ed i relativi concetti non possono
che essere in questa sede integralmente richiamati.
I tentativi <4.rilettura alternativa del compendio probatorio non possono, all'evidenza, avere spazio in questa sede di legittimità afferendo esclusivamente al merito della vicenda, consolidato attraverso l'accesso al rito ed a seguito 15 assumono alcuna rilevanza purché il risultato finale non si traduca in una pena dell'effettuata verifica e positiva valutazione da parte del Giudice dei termini dell'accordo intervenuto fra le parti. Per le considerazioni or ora esposte, fatta eccezione per quanto sopra evidenziato al punto 4), dunque, tutti i ricorsi di cui sopra devono essere dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti FERRI Silvio, VELARDITA Giacomo, ROSSETTO Giorgio, SCIUMBATA Oreste, DI STASIO pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa per ciascuno di Euro 2000,00 (duemila) a titolo di sanzione pecuniaria. Non può essere accolta la richiesta di liquidazione delle spese ed onorari allegata alla memoria presentata nell'interesse della persona offesa costituita parte civile Comune di Trezzano sul Naviglio atteso che la stessa è stata depositata in cancelleria oltre il termine di cui all'art. 127, comma 2, cod. proc. pen. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di CITELLI Marco limitatamente alla confisca, con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo giudizio sul punto; dichiara inammissibile nel resto il ricorso del CITELLI. Dichiara inammissibili i ricorsi di FERRI Silvio, VELARDITA Giacomo, ROSSETTO Giorgio, SCIUMBATA Oreste, DI STASIO Antonio e PREVOSTI Giuseppe che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 2000,00 alla Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il giorno 17 giugno 2014. Antonio e PREVOSTI Giuseppe al pagamento delle spese del procedimento ed al

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