Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30893 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30893 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• CARELLI Roberto, nato a Casamassima (BA) il 6/2/1972
avverso la sentenza n. 8655/2013 in data 23/12/2013 della Corte di Appello di
Milano
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore della parte civile FORLANI Maurizio, Avv. Massimiliano ROSSI in
sostituzione dell’Avv. Marina COTELLI, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso depositando conclusioni scritte e nota spese

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/12/2013, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma
delle sentenze 31/3/2011 (relativa ai reati di truffa e falso), 3/6/2013 (relativa ai
reati di truffa e minaccia grave) e 13/2/2013 (relativa ai reati di truffa, falso e
minaccia grave) del Tribunale di Sondrio, ritenuta la continuazione tra tutti i reati
contestati nei procedimenti riuniti n. 4698/11, 5148/13 e 3673/13 R.G.App.
rideterminava la pena inflitta nei confronti di CARELLI Roberto in anni 3 mesi 8 di
reclusione ed Euro 2.300 di multa, confermando nel resto le impugnate sentenze
e condannando l’imputato a risarcire alle parti civili costituite le spese processuali
del grado.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo:

Data Udienza: 17/06/2014

1. Assenza di motivazione in relazione ai criteri che hanno determinato i singoli
clZ
aumenti pena per i reati in contestazione;
2.

Erroneità nella determinazione degli aumenti di pena previsti per la

continuazione con particolare riguardo ai reati di minaccia aggravata di cui al
capo d) del proc. 3673/13 (sentenza 13/2/2013) ed al capo c) del proc. 5148/13
(sentenza 3/6/2013)
3. Assenza di motivazione in relazione alla richiesta di esclusione della contestata
circostanza aggravante del danno di particolare gravità ed alla conseguente

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato e, come tale, deve essere rigettato.
L’impugnata sentenza, dopo aver seppur sinteticamente indicato le modalità dei
fatti, effettuando altresì un richiamo recettizio a quanto già statuito dai giudici di
prime cure, nell’affrontare la problematica della negazione all’imputato delle
circostanze attenuanti generiche ha fatto in concreto riferimento ai criteri di
determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen., così evidenziando nella
parte motiva della decisione di aver tenuto in debita considerazione “la
particolare intensità del dolo e la mancanza di qualsivoglia resipiscenza ed
autocritica dell’imputato che non inducono ad un trattamento punitivo di favore”.
Detto criterio, come ha precisato la Corte territoriale, è il medesimo adottato dal
Tribunale nell’ambito del procedimento n. 4698/11 che riguarda per l’appunto i
fatti-reato che la Corte di Appello ha assunto per la determinazione della penabase e sui quali ha, poi, apportato gli aumenti per la continuazione con i reati
contestati negli altri procedimenti riuniti.
Questa Corte ha, infatti, già avuto modo nel passato di affermare (con
argomentazioni che il Collegio condivide) che “in tema di determinazione della
pena nel reato continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza che
faccia riferimento alle modalità dei fatti ed ai precedenti penali specifici degli
imputati; non sussiste, invece, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti
di pena a titolo di continuazione, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della
quantificazione della pena-base” (Cass. Sez. 5^, sent. n. 27382 del 28/04/2011,
dep. 13/07/2011, Rv. 250465).

2. Anche il secondo motivo di gravame è infondato e, in quanto tale, deve essere
rigettato.
Come si è detto, lamenta il ricorrente che gli aumenti di pena operati nell’ambito
della continuazione per i reati di minaccia aggravata avrebbero dovuto essere
effettuati solo sulla pena detentiva e non anche, come è stato fatto, sulla pena
2

improcedibilità dei fatti di truffa (artt. 640, comma 3, e 61 n. 7, cod. pen.).

pecuniaria atteso che la fattispecie di reato in questione prevede esclusivamente
una pena detentiva.
Invero, per consolidata quanto risalente giurisprudenza di questa Corte
(condivisa dall’odierno Collegio) “nel caso in cui sia stata riconosciuta la
continuazione tra un reato più grave punito con la pena della reclusione e della
multa e un reato meno grave punito con la sola multa, l’aumento per la
continuazione deve riguardare entrambe le pene congiuntamente previste e
inflitte per il reato più grave, come risulta dalla lettera dell’art. 81 cod. pen.,

l’autore dei reati è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più
grave aumentata fino al triplo” (Cass. Sez. 1^, sent. n. 480 del 27/01/1997,
dep. 10/03/1997, Rv. 207040).

3. Il terzo motivo di ricorso é, per contro, da ritenersi fondato. La sentenza della
Corte di Appello non spende, di fatto, alcuna motivazione con riferimento alla
ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di
rilevante gravità nei casi in cui lo stesso è stato contestato, limitandosi ad
affermare, con un’espressione apodittica, che l’aggravante sussiste.
Al riguardo, risulta dagli atti che la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7
cod. pen. è stata contestata al capo B) nel procedimento nr. 4698/11 R.G.App.,
al capo B) nel procedimento nr. 6373/13 R.G.App. ed ai capi A) e B) nel
procedimento nr. 5148/13 R.G.App.
Orbene nel rispondere alle doglianze difensive sul punto, la Corte territoriale con
riguardo ai fatti di cui al proc. nr . 4698/11 R.G.App. si è imitata testualmente a
scrivere “l’aggravante sussiste per l’oggettiva gravità del danno da valutare a
prescindere dalle condizioni economiche delle vittime”, mentre con riguardo ai
fatti di cui al proc. nr . 6373/13 R.G.App. nulla ha detto e, infine, quanto ai fatti
di cui al proc. nr . 5148/13 R.G.App. si è limitata a scrivere che l’aggravante
“sussiste”.
Fermo restando che è oramai caduto il giudicato sulla sussistenza della
responsabilità dell’imputato in ordine alla commissione dei fatti in contestazione
allo stesso, ci si trova comunque di fronte ad una intrinseca quanto evidente
carenza di motivazione sul punto della configurabilità della circostanza
aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. non desumibile da altri elementi del
provvedimento impugnato (nel quale non sono neppure riportati i capi di
imputazione) atteso che appare imprescindibile che la Corte territoriale dia conto
dei criteri in base ai quali ha ritenuto configurabile in ogni episodio l’aggravante
contestata, aggravante la cui eventuale sussistenza presenta incidenza anche
sulla dosimetria della pena.

3

secondo il quale, sia in caso di concorso formale, sia in caso di continuazione,

Per le considerazioni or ora esposte, la sentenza affetta da nullità deve pertanto
essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7
c.p. e alla commisurazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di
Appello di Milano per nuovo giudizio sui punti.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui
all’art. 61 n. 7 c.p. e alla commisurazione della pena e rinvia ad altra sezione

Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma il giorno 17 giugno 2014.

della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio sui punti.

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