Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30891 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30891 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• CORTESE Angelo Carmelo, nato a Poggio Renatico (FE) il 18/3/1952
avverso la sentenza n. 11691/13 in data 9/7/2013 della Corte di Appello di
Bologna
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
udito il difensore delle parti civili BUCCHERI PEDERZOLI Alessandra e BUCCHERI
PEDERZOLI Francesco, Avv. Paolo Emilio PIFFERI, che ha concluso per il rigetto
del ricorso depositando nota spese e conclusioni;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Luca MAGNI in sostituzione dell’Avv.
Gabriele BORDONI, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso riportandosi ai
motivi presentati.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9/7/2013 la Corte di Appello di Bologna ha confermato la
sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato in data 27/5/2005 dal Giudice
per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Bologna nella parte in cui
CORTESE Angelo Carmelo è stato ritenuto responsabile del reato di concorso in
circonvenzione di persona incapace (artt. 81 cpv. 110, 643 cod. pen.) ai danni di
BUCCHERI PEDERZOLI Pompeo e, riconosciute le circostanze attenuanti
generiche ed operata la riduzione per il rito, condannato alla pena di anni 1 e
mesi 4 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa (pena detentiva condizionalmente
sospesa).

Data Udienza: 17/06/2014

In particolare, si imputa a CORTESE Angelo Carmelo di avere, in concorso con
NAVARRINI Andrea (condannato per gli stessi fatti dalla medesima Corte di
Appello con sentenza divenuta irrevocabile il 22/11/2013) e con SAMORI’ Daniele
(nei confronti del quale si è proceduto separatamente), abusando dello stato di
infermità o deficienza psichica di BUCCHERI PEDERZOLI Pompeo, indotto
quest’ultimo a stipulare un contratto preliminare di vendita di un appartamento
sito in Bologna, via D’Azeglio nr. 60 per il corrispettivo di Lire 1 miliardo a fronte
di un valore stimato ampiamente superiore (indicato in Lire 1,5 miliardi nel capo

consulenza tecnica).
La persona offesa, dell’età di 87 anni all’epoca dei fatti, risulta oggi deceduta.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato
CORTESE Angelo Carmelo, deducendo:
1. Incoerenza e lacunosità motivazionale, rilevabile dal testo della decisione
impugnata, in relazione all’esistenza dell’infermità ed alla sua percepibilità, in
specie ad opera del ricorrente. Lamenta, in sintesi, il ricorrente che l’imputato
non sarebbe stato in grado a causa dei limitati rapporti con la persona offesa di
percepire l’eventuale stato di eventuale parziale infermità nel quale la stessa
versava, stato di infermità che non risulta in modo assoluto neppure dal
contenuto della consulenza tecnica che al riguardo è stata compiuta.
2. Travisamento dei fatti in relazione alle dichiarazioni rese sul punto da tutti i
testimoni diretti. Lamenta al riguardo il ricorrente che sulla base delle
dichiarazioni testimoniali rese da soggetti che hanno avuto contatti con
BUCCHERI PEDERZOLI Pompeo non emerge che gli stessi abbiano percepito lo
stato di infermità della persona offesa.
3. Illogica assegnazione di rilevanza ai tempi ristretti del negozio contrattuale fra
l’imputato e la persona offesa ed erronea applicazione della legge penale
(articolo 643 cod. pen.) in relazione all’elemento costitutivo del reato consistente
nell’abuso delle condizioni di inferiorità della persona offesa. Lamenta il
ricorrente al riguardo che non sussiste l’elemento costitutivo del reato in
contestazione sia perché non vi sarebbe stato abuso delle condizioni di inferiorità
della persona offesa, sia perché non si sarebbe procurato alla persona offesa il
danno patrimoniale indicato nell’imputazione.
4. Omessa motivazione in ordine alla conciliabilità della presentazione personale
della denunzia ad opera della persona offesa con il suo stato di pretesa
incapacità.
CONSIDERATO IN DIRITTO

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di imputazione e determinato in circa 1 miliardo e 336 milioni di lire a seguito di

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Come detto, lamenta il ricorrente che non esistono in atti univoche indicazioni sul
fatto che la persona offesa versasse in stato di naturale incapacità al momento
dei fatti.
Viene evidenziato in particolare nel ricorso il fatto che il perito ha affermato che
sussistevano “indubbie difficoltà relative alla retrodatazione di una condizione
psichica che oggi appare indubbiamente assai diversa da quella che poteva esser
in atto al momento del fatto” considerando che lo stesso perito ha analizzato il

l’accertamento dello stato psichico della persona offesa fosse complesso, non
manifestando questi null’altro che alcuni sintomi tipici della sua età dietro ad una
“facciata di apparente normalità” e, ancora, che le condizioni dell’anziano erano
percepibili soltanto “da chi avesse intrattenuto con lui, nel tempo, una certa
continuità di rapporti”.
Da questi elementi si deve dedurre – a detta del ricorrente – una assenza di
prova per potersi affermare con certezza sia che il BUCCHERI versasse
effettivamente in condizione di incapacità allorché concluse il contratto
preliminare di compravendita con il CORTESE sia che quest’ultimo lo abbia
indotto con l’abuso a concluderlo.
In realtà la Corte territoriale risulta avere affrontato nella sentenza impugnata le
problematiche descritte (in quanto già proposte in sede di impugnazione avverso
la sentenza emessa dal Giudice di prime cure) ed averle risolte attraverso una
motivazione sul punto congrua, logica e, per l’effetto, non contraddittoria.
Ha chiarito, infatti, la Corte territoriale che il BUCCHERI era, per età e pregresse
malattie (in particolare era stato colpito da ictus nel 1998) in una situazione di
deficienza psichica ed accanto a momenti di lucidità ed adeguatezza
comportamentale presentava altrettanti momenti di disorientamento, amnesia,
confusione, nell’ambito di un quadro di progressiva involuzione delle facoltà
mentali, che lo rendevano incapace di avere cura dei propri interessi, così come
evidenziato dal perito e come confermato da un bizzarro progetto di vita da lui
elaborato (quello di trasferirsi a vivere nello Sri Lanka) sintomatico della sua
evoluzione senile e delle sue facoltà mentali. Ancora, si è dato atto nella
impugnata sentenza di come il perito ha spiegato che con il termine di
involuzione senile patologica su base prevalentemente vascolare riscontrata nella
persona offesa si intende una sindrome caratterizzata dalla iniziale
compromissione di più funzioni cognitive senza alterazione dello stato di
coscienza: “Le funzioni cognitive che vengono progressivamente coinvolte sono
l’apprendimento e la memoria, la capacità di risolvere i problemi, l’orientamento,

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caso soltanto due anni dopo i fatti. In particolare il perito ha fatto notare come

la percezione, l’attenzione, la concentrazione, la capacità di giudizio e le relazioni
sociali”.
A ciò si aggiunga, che la Corte territoriale ha evidenziato che il medico curante
della persona offesa, sentito durante le operazioni peritali, ha riferito che in
particolare dal febbraio del 2000 erano avvenuti episodi che avevano
ulteriormente aggravato la sofferenza e la claudicazione celebrale intermittente
della persona offesa.
Ha, inoltre, dato correttamente atto la Corte territoriale, così come già

per la configurabilità del reato in contestazione, non è necessario che soggetto
passivo versi in uno stato di incapacità di intendere di volere, essendo sufficiente
che esso sia affetto da infermità psichica o deficienza psichica, ovvero da
un’alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave dell’incapacità,
risulti tuttavia idonea a porre uno stato di minorata capacità intellettiva, volitiva
od affettiva e ne affievolisce e le capacità critiche ed agevoli la suggestionabilità
della vittima riducendone i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2^,
sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463 e Cass. Sez. 2^,
sent. N. 6971 del 26/01/2011, dep. 23/02/2011, Rv. 249662).

2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso appaiono, invece, fondati.
La stessa Corte territoriale ha, infatti, dato atto della esistente problematica
relativa alla riconoscibilità da parte dei terzi della patologia della quale era
affetta la persona offesa e del fatto che il perito la ha attribuita unicamente a chi
avesse intrattenuto “nel tempo” una certa continuità di rapporti con essa, dando
atto della circostanza – evidenziata dai consulenti – che una persona come la
vittima riesce a mantenere una facciata di lucidità e di orientamento.
Ma se ciò è vero, ha altresì avuto modo di precisare la Corte territoriale che le
condizioni della persona offesa all’atto della sottoscrizione del contratto
preliminare di vendita devono essere lette anche alla luce delle ulteriori
risultanze probatorie e, in particolare, dalle modalità e

dei tempi nei quali fu

condotta la trattativa nonché dall’esito della stessa, ritenendo tali elementi
sintomatici (rectius: “probatori”) del fatto che il NAVARRINI (che conosceva il
BUCCHERI da tempo) e, per quel che più conta in questa sede, il CORTESE non
abbiano potuto non rendersi conto delle condizioni nelle quali versava la persona
offesa.
In realtà gli elementi posti dalla Corte territoriale alla base di tale convincimento
non paiono di per sé idonei a fondare la correttezza dello stesso e per tale effetto
la motivazione adottata si presenta illogica e parzialmente contraddittoria.

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reiteratamente affermato da questa Corte (e condiviso dall’odierno Collegio) che

Innanzitutto la Corte territoriale nell’affrontare nel dettaglio tutta la tempistica
nella quale si è svolta la trattativa ha evidenziato come elementi fortemente
sintomatici della anomalia nella quale risulta essersi svolto il rapporto
contrattuale sono da ravvisarsi nel fatto che il preliminare di compravendita per
un immobile di assai considerevole importo economico sia stato sottoscritto dopo
soli cinque giorni dal primo contatto tra l’acquirente ed il mediatore e dopo soli
tre giorni dalla prima visita dell’immobile stesso da parte del CORTESE.
E’ evidente la contraddizione motivazionale sul punto laddove da un lato si dà

visitare in precedenza l’appartamento non colsero lo stato di incapacità del
BUCCHERI in quanto si trattò di un unico contatto mentre la protrazione della
trattativa con il CORTESE gli avrebbe consentito di percepire le reali condizioni
nelle quali versava la persona offesa.
In realtà, come la stessa Corte ha evidenziato anche i rapporti
CORTESE/BUCCHERI sono stati saltuari oltre che rapidissimi. I due, come si
evince dalla motivazione della sentenza (pag. 18) si sono incontrati solo tre
volte: le prime due in occasione delle visite dell’immobile (in un caso era
presente anche la moglie del CORTESE) dove appare più ragionevole pensare
che il potenziale acquirente si sia dedicato ad esaminare le condizioni del bene
più che le condizioni psichiche del venditore, e la terza in occasione della
sottoscrizione del preliminare di compravendita dell’appartamento.
Tenuto conto poi che le trattative erano state compiute con l’intermediazione del
NAVARRINI il quale il 29 settembre comunicò al CORTESE che la sua proposta di
acquisto era stata accettata dal BUCCHERI, si evidenzia non solo l’inesistenza di

(rectius:

una diretta opera di convincimento

induzione) posta in essere

dall’odierno ricorrente nei confronti della persona offesa ma anche una tale
saltuarietà dei rapporti tra i due che rende comunque arduo ipotizzare che questi
possa essersi reso conto dello stato in cui versava il BUCCHERI, stato che, vale
la pena ribadirlo, poteva essere percepito solo a chi avesse intrattenuto “nel
tempo” una certa continuità di rapporti con lo stesso.
Anche gli altri elementi addotti dalla Corte territoriale a conforto della tesi
accusatoria non appaiono poi soddisfare i criteri della logica che debbono
sottostare alla decisione assunta.
Neutro appare il fatto che l’immobile era stato posto sul mercato da lunga data e
non appariva ragionevole ritenere che altri potessero acquistarlo in tempi brevi,
circostanza dalla quale la Corte territoriale desume che la rapidità nelle trattative
nel caso del CORTESE sarebbero indicative dell’abuso dello stato di infermità
della persona offesa, quasi che si debba sempre ipotizzare che l’acquirente che
trova soddisfacente l’effettuazione dell’acquisto di un bene – anche solo perché

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atto (pag. 17 della sentenza) che il fatto che i possibili acquirenti che ebbero a

dal proprio punto di vista lo ritiene “un affare” – e che si affretta a concludere il
contratto necessariamente abusi delle condizioni di infermità (oltretutto non

ictu

ocull percepibili) del venditore.
Anche il fatto evidenziato dalla Corte territoriale che l’immobile aveva un valore
commerciale ampiamente superiore a quello offerto dal CORTESE, così come
ampiamente superiore era il prezzo originario richiesto dal venditore non appare,
a sua volta, assumere un valore risolutivo. Fermo restando che un conto è
l’astratto valore commerciale di un bene ed un conto é la possibilità concreta di

voler acquistare “a prezzo vile” ma si è detto disponibile a pagare in toto alla
persona offesa all’atto del passaggio di proprietà la considerevole somma di ben
un miliardo di lire. Si tratta di una condizione contrattuale che ben poteva
invogliare il venditore così da determinarlo ad abbassare di circa il 25/27% il
prezzo originariamente richiesto sia alla luce dell’oggettiva difficoltà di trovare
acquirenti disposti a sborsare una cifra tanto elevata per l’acquisto di un
immobile di pregio, sia perché le condizioni offerte dai potenziali acquirenti che si
erano presentati in precedenza erano ben diverse prevedendo dilazioni nel
tempo dei possibili pagamenti.
In sostanza, il fatto che il venditore abbia accettato una riduzione del prezzo
originariamente richiesto a fronte della possibilità di poter ottenere un
pagamento immediato che gli avrebbe consentito di perseguire le altre finalità di
vita che si era proposto rispetto alla necessità di attendere ancora e di ottenere
pagamenti forse superiori ma certamente dilazionati nel tempo, non pare
indicativo del fatto che lo stesso versasse in uno stato di incapacità tale da
lasciar pensare che l’odierno ricorrente abbia abusato dello stesso. Si trattava, in
sostanza di un contratto che, seppure da rispettivi e diversi punti di vista del
venditore e del compratore, poteva essere ritenuto ragionevolmente conveniente
da entrambe le parti senza che il venditore subisse un reale pregiudizio
patrimoniale.

Alla luce di quanto si è sopra evidenziato appare inconferente l’ultimo dei motivi
di ricorso sopra riportati. Lamenta il ricorrente l’omessa motivazione in ordine
alla conciliabilità della presentazione personale della denunzia che ha dato
origine al presente processo ad opera della persona offesa con il suo stato di
pretesa incapacità.
Ciò non risponde a realtà, essendosi la Corte occupata espressamente della
questione alle pagg. 13 e 14 dell’impugnata sentenza, dando conto della genesi
della denuncia e, correttamente, evidenziando come la denuncia stessa è stata
redatta su carta intestata di un legale “e non può essere ritenuta frutto di una

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addivenire alla vendita dello stesso, il CORTESE non ha, infatti, manifestato di

esclusiva, autonoma rappresentazione dei fatti quale operata dall’anziana
vittima”.

Per le considerazioni or ora esposte ne deriva raccoglimento del ricorso in
esame, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione
della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Così deciso in Roma il giorno 17 giugno 2014.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello
di Bologna per nuovo giudizio.

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