Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30890 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30890 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPPELLINI GUIDO ANTONIO N. IL 07/09/1959
DONZELLI ATTILIO N. IL 21/08/1959
avverso la sentenza n. 892/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. COzeo A
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che ha concluso per r efficl~rni/Whr\ -2457e
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dito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 23/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. CAPPELLINI Guido Antonio e di DONZELLI Attilio venivano giudicati dal Tribunale di Como in quanto imputati – in concorso con altri soggetti – di una serie di
reati (associazione per delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti,
omessa dichiarazione dei redditi) in relazione alla creazione di società fittizie all’estero che figuravano come percettori dei compensi e delle sponsorizzazioni del
campione di motonautica CAPPELLINI, quando invece era una associazione italiana
(la “FI Racing Association”, riconducibile al predetto) l’effettiva erogatrice delle
prestazioni e la reale destinataria (col CAPPELLINI) delle rilevanti somme così sot-

tratte alla regolare imposizione fiscale.
Ad esito del giudizio di primo grado, celebrato con rito ordinario, gli odierni
ricorrenti CAPPELLINI GUIDO ANTONIO e DONZELLI ATTILIO sono stati assolti dal
reato associativo loro ascritto al capo a) perché il fatto non sussiste e, quanto ai
reati loro ascritti ai capi b) – artt. 81 cpv, 110 c.p. e 8 del D.Ivo 74/2000- e c) artt. 81 cpv. 110 c.p. e 5 del D.lvo 74/2000- limitatamente ai fatti relativi agli
anni d’imposta 1999-2004 Donzelli è stato assolto per non aver commesso il fatto
e nei confronti del Cappellini è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere
per intervenuta prescrizione. Analoga pronuncia di improcedibilità per intervenuta
prescrizione c’è stata per il Cappellini in relazione al reato di cui al capo d).
IL Cappellini e il Donzelli venivano invece dichiarati responsabili del residuo
reato di cui ai capi b) e c) e venivano condannati:
– il CAPPELLINI alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione (esclusa la recidiva
contestatagli);
– il DONZELLI alla pena di anni 3 mesi 6 di reclusione (con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva);
– entrambi gli imputati alle pene accessorie di legge.
Pena parzialmente condonata nella misura di mesi 6 di reclusione (in relazione
al segmento di pena riferito a fatti commessi nel 2005, coperti dall’indulto di cui
alla L. 241/06).

2. Con l’atto di appello CAPPELLINI e DONZELLI avevano lamentato l’acritico
accoglimento – da parte dei primi giudici – della ricostruzione dei fatti operata dalla
GdiF in sede di accertamento fiscale.
Secondo la tesi proposta in sede di gravame del merito gli accertatori avevano
mostrato approssimativa conoscenza della lingua inglese e delle qualifiche societarie, nonché delle normative estere, pervenendo all’inesatta conclusione che le
società di diritto inglese fossero costruzioni fittizie, destinate solo a fare da
schermo all’associazione “F1 Racing Association”, quando invece avevano propria
individualità, struttura proprietaria e gestionale ben individuabile; il CAPPELLINI
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era stato ritenuto risiedere fittiziamente all’estero sulla base di una presunzione
valida solo in campo tributario, e con riferimento ad indici del tutto opinabili.
Il DONZELLI, poi, sarebbe stato coinvolto solo quale amministratore legale
della F1 Racing Association (dal 2005), struttura che non era pacificamente ente
commerciale – per esplicito riconoscimento fattone dagli uffici fiscali -, e che nemmeno avrebbe potuto fatturare direttamente (e dichiarare fiscalmente) le prestazioni erogate dalle società estere; le società estere avevano invece reperito clienti
e supportato le attività del team, e direttamente corrisposto con clienti/sponsor

certatori non avevano considerato i costi delle società estere, ed inoltre avevano
accertato presuntivamente le evasioni di imposta negli anni 2005 e 2006, atteso
che i dati ricavati dal sequestro di una pen-drive (fra l’altro redatta da soggetto
diverso dagli imputati) si arrestavano al 2005. La pena – ci si era lamentati andava poi applicata in misura più mite, previo riconoscimento agli imputati delle
attenuanti generiche.

3. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 17.9.2014 in parziale ri-

forma della sentenza emessa dal Tribunale di Como in data 30/4/2012, appellata
da CAPPELLINI Guido Antonio e DONZELLI Attilio„ dichiarava non doversi procedere in ordine al capo B) per i residui fatti di cui agli anni di imposta 2005 e 2006,
nonché in ordine al reato di cui al capo C) per i fatti relativi all’anno di imposta
2005, per intervenuta prescrizione.
Veniva invece confermata la condanna per entrambi gli imputati in relazione
al residuo reato di cui al capo:
C) delitto previsto e punito dagli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 5 del D. L.vo n.
74/2000 perché, in concorso tra loro, ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto,
attraverso l’interposizione fittizia dei soggetti economici esteri di cui al capo che
precede, nonché alla certificazione di operazioni fatturate direttamente dal team
sportivo FI RACING ASSOCIATION, omettevano di presentare le relative dichiarazioni annuali relative a dette imposte, per gli anni (dal 1999 al) 2006 relative, per
i proventi derivanti dalle prestazioni di pubblicità ritratti dal predetto team sportivo
e dallo sfruttamento di immagine di CAPPELLINI Guido da imprese nazionali ed
estere, il CAPPELLINI Guido in qualità di amministratore di fatto e socio, (il PAMPEL
Wiliam Albert, Julie Gustave, in qualità di legale rappresentante dal 2002 al 2005),
il DONZELLI Attilio in qualità di amministratore di fatto fino a marzo 2005 e di
diritto nel periodo successivo, (VAN LIENDEN Paul Michiel, quale consulente fiscale, SCAPINI Franco, collaboratore e consigliere della predetta associazione

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dell’attività sportiva del CAPPELLINI, come risultava dagli atti processuali; gli ac-

sportiva Fi RACING dal 2005, indicate negli allegati di seguito indicati, per i seguenti importi): (omissis)
• anno 2006: elementi positivi di reddito pari ad curo 1.054.000,00 ed IVA di
curo 210.800,00 (allegato n. 9).
In Mariano Comense e Carugo (CO) dal 31.10.2000 al 31.10.2007.
In relazione a tale residuo reato con riferimento all’anno di imposta 2006, la
Corte territoriale rideterminava la pena in anni 1 mesi 6 di reclusione per ciascuno
degli imputati. Revocava il condono di mesi 6 di reclusione disposto nella sentenza

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, personalmente, con separati ricorsi, Cappellini Guido Antonio e Donzelli Attilio, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
Cappellini Guido Antonio

a. Violazione dell’art. 606 co 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
40 e 110 c.p. per contraddittorietà e/o illogicità manifesta della motivazione nella
parte della sentenza in cui, a pag. 2 e 3 delle motivazioni, si afferma “è tuttavia

emerso che costantemente i contatti erano sempre intercorsi fra essi ed il Cappellini e che i contratti stipulati con la società estere venivano ricevuti per posta già
firmati da un apparente legale rappresentante, quindi venivano sottoscritti dagli
sponsor e ritrasmessi per posta’ e che “in tale senso può dirsi contraddetta la tesi
per cui le società estere (..) potessero considerarsi come i soggetti che avessero
invece davvero reperito dienti e supportato attività del team, e direttamente corrisposto con í clienti/ sponsor dell’attività sportiva del Cappellini poiché — come
detto sopra — sul campo non hanno mai esibito alcuna forma concreta di attività
o servizio”.
Ad avviso del ricorrente la ricostruzione della Corte territoriale risulterebbe
illogicamente incompatibile con tutta una serie di atti processuali che inficiano la
motivazione della sentenza sotto il profilo logico. Ed infatti viene sottolineato che:
1. l’odierno ricorrente aveva ceduto i propri diritti di immagine e, contrattualmente, aveva l’obbligo di ricerca degli sponsor e perciò era del tutto evidente che
proprio il Cappellini dovesse avere un ruolo attivo nell’ambito della stipulazione dei
contratti di sponsorizzazione; 2. i proprietari della Kardale sono stati compiutamente identificati; 3. nei contratti tra Kardale e Buso ltd del 25 luglio 2001 e
CORPO SAM del febbraio 2001 viene riportato il nominativo del legale rappresentante di Kardale sig. Chris Steward Appare altresì illogico affermare, come ha fatto la Corte – secondo la tesi
sostenuta nel ricorso Cappellini – l’irrilevanza dell’accertamento della sede della
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di primo grado e confermava nel resto la sentenza.

Kardale. Tutti i testi escussi, specificamente indicati (Anzaril e Viganò) hanno ribadito che i rapporti con gli sponsor nelle fasi precedenti la stipula dei contratti
erano tenuti con soggetti inglesi.
Ancora, ci si duole che la Corte territoriale, affermando che “i contatti erano
sempre intercorsi fra essi ed il Cappellini’, abbia omesso di considerare che il teste
Ness ricordi come il Cappellini non partecipò alla negoziazione dei contratti tra
Tamoil e DAC e di come il contratto fu firmato a Montecarlo da William Rampel e
da un soggetto inglese o irlandese.
cativa e dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante in quanto si pongono in radicale contrasto con esso tanto da renderlo incongruo e contraddittorio.
Dai dati processuali emergerebbe, ad avviso del ricorrente, che i segnali di
vita delle società erano tutt’altro che flebili e che coerentemente con quanto sostenuto dalla difesa Cappellini i titolari della società Kardale erano stati compiutamente identificati così come emergeva chiaramente l’operatività delle prefate società e pienamente giustificabile l’intervento del Cappellini in alcune (ma non in
tutte) attività di ricerca degli sponsor.
Risulterebbe poi illogica la motivazione dei giudici del merito se si tiene in
conto che è agli atti il contratto sottoscritto tra la DAC Wordwilde e la IDEA Marketing, società che organizza il mondiale di F1 Motonautica.
Ci si duole, dunque, che, se tale elemento fosse stato correttamente valutato
insieme agli altri le conclusioni della Corte d’Appello sarebbe state necessariamente diverse.
b. Violazione dell’art. 606 co 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli adii
40 e 110 c.p. per mancanza, contraddittorietà e/o illogicità manifesta della sentenza nella parte in cui a pag. 3 della motivazione penultimo cpv) si afferma che
“quanto alla residenza del Cappellini gli elementi utilizzabili per affermare che la
residenza estera dell’imputato sia solo fittizia appaiono invero dotati di pluralità e
di piena concordanza (si tratta del confronto tra í consumi cospicui delle forniture
al Cappellini nelle sue residenze private, della circostanza per cui egli intrattiene e
promuove progetti di ampliamento in Italia presso le proprie residenze, di fatto
che le numerose autovetture intestate all’uomo abbiano circolato per lo più in Italia, pagando ivi pedaggi autostradali). A contrastare tali dati non vale — come ha
fatto l’imputato — limitarsi a sostenere che la scarsa presenza presso l’abitazione
di Montecarlo era dovuta ai numerosi impegni all’estero del campione di motonautica, impegnato nel calendario di gare per molte settimane l’anno anche in luoghi
molto lontani, poiché ciò implicherebbe un analogo scarso utilizzo delle residenze
italiane, il che non risulta agli atti”.
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Tali atti del processo – si sostiene- sono dotati di una autonoma forza espli-

Anche in questo caso ci si duole che le conclusioni della sentenza impugnata
siano contraddittorie ed illogiche. I dati relativi ai consumi delle utenze degli immobili in Italia non potrebbero essere considerati sufficienti per affermare la fittizietà della residenza all’estero del ricorrente. Cappellini, per come affermato anche
nella sentenza di primo grado (si richiama pag. 7 delle motivazioni) è intestatario
di quote di immobili magazzini ed abitazioni. Appare quindi illogico riferire tutti
questi consumi all’imputato. La proprietà pro-quota dei detti immobili imporrebbe
la riferibilità dei consumi anche agli altri soggetti intestatari e non al solo Cappel-

nuti in un medesimo ambito temporale in capo allo stesso soggetto, salvo ammetterne l’ubiquità. La motivazione del giudice di appello risulterebbe quindi illogica e
contraddittoria poiché omette di valutare tale elemento decisivo che da solo sarebbe bastato a far propendere per l’assenza di prove che, al di là di ogni ragionevole dubbio, facessero desumere che l’imputato fosse residente in Italia.
Anche il riferimento alle plurime “residenze” del Capellini sarebbe illogico e
contraddittorio, dato che non è stato processualmente accertato se e per quanto
tempo il Cappellini avesse ivi dimorato. Stesso discorso varrebbe per quanto riguarda le autovetture.
Nella realtà si ribadisce in ricorso che l’accertamento della residenza effettiva
dell’imputato sarebbe stato effettuato solo in base a mere presunzioni mancando
del tutto prove della effettività della presenza in Italia del Cappellini nei periodi
durante i quali non venivano svolte le gare di Fl Motonautica.
c. Violazione dell’art. 606 co I lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 40
e 110 c.p. per mancanza, contraddittorietà e/o illogicità manifesta della motivazione nella parte della sentenza in cui (pag. 4 cpv 2 della motivazione) afferma
che “quanto infine alle presunzioni che hanno sorretto l’attribuzione dei redditi
2005 e 2006 calcolati con riferimento ai criteri quantitativi che sorreggevano l’interpretazione dei redditi negli anni precedenti, esse appaiono sorrette da logica ed
accettabili. Nessun rilievo di ordine tecnico o fattuale gli imputati hanno formulato
al riguardo”.
Sul punto si lamenta che l’affermazione della Corte d’Appello appare non corretta; proprio con l’atto di appello in relazione a tale punto con l’atto di appello,
riportato nella parte relativa in ricorso, si afferma di avere contestato l’attribuzione
dei redditi per gli anni 2005 e 2006 dal punto di vista fattuale, tecnico contabile e
giuridico.
La Corte di Appello non avrebbe però preso in considerazione e valutato le
argomentazioni dell’atto di appello affermando che non vi fosse stata contestazione sul punto.

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lini. Anche logicamente non sarebbe poi pensabile l’imputazione di consumi avve-

La motivazione sarebbe altresì illogica in quanto non tiene conto come proprio
dagli atti di indagine siano emersi elementi che non permettono di risalire ai redditi
per gli anni 2005 e 2006. Si richiama il foglio 75 del verbale di constatazione di
Cappellini Guido effettuato dalla G.d.F. di Paderno Dugnano da cui emergerebbe
chiaramente l’assenza di qualunque riscontro documentale e bancario che possa
permettere di ricostruire l’asserita evasione da parte della Fl Racing. La quantificazione delle somme evase sarebbe quindi frutto di una semplice operazione aritmetica con la quale si è calcolata la media ponderale delle presunte evasioni degli

Gli stessi operanti dichiarano quindi di aver operato “per presunzione”, per cui
sarebbe illogica la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui fa discendere la responsabilità dell’imputato da una prova assunta nel dibattimento ma da
una presunzione. Sarebbe’ di tutta evidenza che la motivazione si regge su una
“non prova” e come l’apparato argomentativo di questo punto della decisione sia
illogico ed incongruente.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

DONZELLI ATTILIO:

a. Violazione dell’art. 606 co 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
40 e 110 c.p. per contraddittorietà e/o illogicità manifesta della motivazione nella
parte della sentenza in cui (pag. 4 cpv 1 della motivazione) si afferma che la responsabilità dell’odierno ricorrente sarebbe quello di” aver mantenuto tale struttura (di ente non commerciale della Fl Racing Assodation, ndr) nella sua apparenza di associazione senza fine di lucro. Evitando che dovesse fatturare somme
che l’avrebbero posta nella necessità di dismettere tale sua veste e di assumere
quella di società non commerciale. Sotto tale aspetto è del tutto priva di rilevo la
circostanza per cui …. l’associazione Fl Racing sia stata percepita e considerata
come tale dagli uffici fiscali, sia che si pensi che l’intera vicenda di irregolarità che
ha dato vita ai procedimento scaturisce dal ritrovamento della famosa pen — drive
col suo esplicito contenuto e che non vi fossero (altri) segnali della semplice apparenza a cui era destinata l’associazione” nonché affermando (nel successivo cpv
6) come “è del tutto evidente che il team che operava in Fl Racing e in primo
luogo il Donzelli doveva essere remunerato adeguatamente ed aveva certo un interesse materiale che andava al di là della semplice solidarietà e del supporto nei
confronti del Cappellini”.
Quanto alla posizione del Donzelli viene evidenziato in ricorso come lo stesso
fosse stato imputato (tra gli altri) del reato p. e p. dall’art. 5 del Divo 74/00 quale
amministratore di fatto della società F1 Racing Association (d’ora in avanti per
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anni precedenti.

comodità F1) per gli anni dal 1999 al 2005. La sentenza dì primo grado lo ha però
assolto per non aver commesso il fatto non avendo rilevato nessun elemento neanche indiziarlo che rendesse possibile per gli anni dal 1999 al 2005 configurare una
responsabilità del Donzelli neanche quale mero concorrente nel reato.
In capo al predetto Donzelli – si sottolinea ancora – veniva esclusa quindi
l’esistenza dì contributo partecipativo materiale e/o morale alla (presunta) condotta criminosa altrui, nonché la coscienza e volontà di cooperare nell’asserito
illecito.
al collegio di prime cure neanche di poter inquadrare il comportamento dell’odierno
ricorrente come connivenza non punibile.
In ricorso si sostiene quindi essere pacifico che il Donzelli non abbia avuto
alcun ruolo, neanche concorsuale nelle attività contestate all’altro coimputato:
nessun apporto causale sarebbe stato da lui fornito per la costituzione delle società
Kardale, Xenox e DAC WORDWEDE, né per la gestione dei contratti di sponsorizzazione, né per i trasferimenti di denaro collegati alla dette sponsorizzazioni. Parimenti nessun ruolo gli viene riconosciuto dal Tribunale di Como nell’ambito della
costituzione e gestione amministrativo-contabile della FI.
Cosa più importante – si evidenzia ancora- è che nessun profitto è mai stato
conseguito dal Donzelli: infatti ove il Giudice di prime cure avesse riscontrato elementi contrari ne sarebbe scaturita una responsabilità solidale del ricorrente e una
condanna anche per il capo C) dell’imputazione relativa agli anni dal 1999 al 2005.
La Corte di Appello di Milano, invece, ci si duole, ritiene di dover affermare la
penale responsabilità dell’imputato, palesandosi un contrasto disarticolante tra
quanto emerso nel giudizio di primo grado, la successiva sentenza e il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello.
La decisione adottata dalla Corte non si rileverebbe infatti coerente con il
principio costituzionale della personalità della responsabilità penale e della necessaria imputazione soggettiva degli elementi della fattispecie de qua.
Dalla lettura della sentenza di primo grado non emergerebbe (come non è
emerso nel procedimento di primo grado) che il Donzelli avesse mai conseguito un
profitto dalla F1.
L’affermazione della Corte di Appello secondo la quale il Donzelli “doveva essere remunerato” non troverebbe nessun riscontro e risulterebbe assolutamente
apodittica. Tale circostanza è evidentemente di fondamentale rilevanza non essendo ammissibile un concorso nel reato dal quale il compartecipe non tragga
anche un minimo vantaggio. Non viene quindi ad essere identificato “l’interesse
materiale” richiamato in sentenza dalla Corte d’Appello. Non viene descritto l’apporto causale fornito dal ricorrente né il ruolo ricoperto. L’impossibilità di sostenere

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La mancanza di elementi probatori – si sottolinea ancora- non ha permesso

logicamente e giuridicamente l’affermazione della Corte ne disarticolerebbe la motivazione viziandola in nuce.
La mancanza di un collegamento logico tra gli elementi probatori emersi e le
affermazioni contenute in sentenza (che tra l’altro omettono di considerare e si
contrappongono con la ricostruzione della sentenza di primo grado) sarebbero di
così chiara evidenza da essere immediatamente percepibili da viziare la motivazione impugnata per manifesta illogicità.
Inoltre, si lamenta che la responsabilità del Donzelli viene rinvenuta dall’aver
evitando di farle assumere la veste di società commerciale.
A sostegno della tesi la Corte territoriale fa espresso riferimento al contenuto
della pen drive, ma sul punto ci si duole che il ragionamento non tenga conto di
come dagli atti del processo sia emerso non esservi prova che il Donzelli fosse a
conoscenza della gestione dei contratti di sponsorizzazione del coimputato Cappellini.
Donzelli è stato assolto dall’accusa di essere amministratore di fatto della
F1 dagli anni dal 1999 al 2005; il contenuto della pen drive, di proprietà del Cappellini, riguarda files elaborati tra il 2002 e il 2005 dal coimputato William Pampel
precedente amministratore della F1 e non vi sarebbe prova che Donzelli fosse a
conoscenza del contenuto della pen drive (si richiama pag. 4 VI cpv delle motivazione della sentenza di primo grado); dal materiale estratto alla pen drive “i verbalizzanti hanno individuato i soggetti emergenti dal materiale elaborato negli attuai imputati: Cappellini Guido Pampei William” (così pag. pag. 4, ultimo
cpv);la natura di società sportiva non poteva essere messa ragionevolmente in
dubbio dal Donzelli una volta divenuto amministratore della Fl in quanto la detta
società proprio dal 2005 si affiliò alla FIM e in precedenza aveva aderito allo scudo
fiscale ex lege 27/03 (destinato esclusivamente a società che non fossero di persone o di capitali).
La valutazione dei sopra indicati elementi srebbe stata completamente
omessa, mentre se il giudice di appello li avesse invece esaminati congiuntamente
sarebbe emersa una radicale incompatibilità con le motivazioni esposte in sentenza.
Tali elementi, quindi, inficerebbero o e comprometterebbero in modo decisivo,
la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione.
b. Violazione dell’art. 606 co I lett. E) cod. proc. pen. in relazione agli art.li

40 e 110 c.p. per mancanza, contraddittorietà e/o illogicità manifesta della motivazione nella parte della sentenza in cui (pag. 4 cpv 2 della motivazione) afferma
che “quanto infine alle presunzioni che hanno sorretto l’attribuzione dei redditi

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mantenuto la struttura nella sua apparenza di associazione senza fine di lucro

2005 e 2006 calcolati con riferimento ai criteri quantitativi che sorreggevano l’interpretazione dei redditi negli anni precedenti, esse appaiono sorrette da logica ed
accettabili. Nessun rilievo di ordine tecnico o fattuale gli imputati hanno formulato
al riguardo”.
Sul punto, speculare rispetto alla doglianza proposta dal Cappellini, l’affermazione della Corte d’Appello apparirebbe non corretta, in quanto si riporta un passo
dell’atto di appello in cui verrebbe operata la doglianza in questione, derivandone
quindi come sarebbe provato per tabulas come l’odierno ricorrente abbia conte-

punto di vista fattuale, tecnico contabile e giuridico.
La Corte di Appello non ha però preso in considerazione e valutato le argomentazioni dell’atto di appello affermando che non vi fosse stata contestazione sul
punto.
La motivazione sarebbe altresì illogica in quanto non tiene conto come proprio
dagli atti di indagine siano emersi elementi che non permettono di risalire ai redditi
per gli anni 2005 e 2006. Si richiama il foglio 75 del Verbale di constatazione di
Cappellini Guido effettuato dalla G.d.F. di Paderno Dugnano da cui emergerebbe
chiaramente l’assenza di qualunque riscontro documentale e bancario che possa
permettere di ricostruire l’assenta evasione da parte della FI Racing.
La quantificazione delle somme evase sarebbe quindi frutto di una semplice
operazione aritmetica con la quale si è calcolata la media ponderale delle presunte
evasioni degli anni precedenti.
Gli stessi operanti – ci si duole- dichiarano quindi di aver operato “per presunzione”. Sarebbe illogica quindi la motivazione della Corte territoriale nella parte
in cui fa discendere la responsabilità dell’imputato da una prova assunta nel díbattimento ma da una presunzione. Sarebbe di tutta evidenza che la motivazione sì
regge su una “non prova” e come l’apparato argomentativo di questo punto della
decisione sia illogico ed incongruente.

Chiede, pertanto, anch’egli l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
L I proposti motivi sopra indicati sub c. quanto al ricorrente Cappellini e sub
b. quanto al ricorrente Donzelli sono fondati, conseguendone l’annullamento

dell’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame sul punto.

2. Non sono, invece, fondati gli altri motivi con cui il Cappellini deduce vizio

motivazionale in relazione alla motivazione sull’interposizione fittizia di soggetti
esteri (v. supra sub a) e sul punto specifico della residenza di fatto in Italia del

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stato con i motivi di appello l’attribuzione dei redditi per gli anni 2005 e 2006 dal

campione di motonautica (sub b.) e il Donzelli in relazione alla propria specifica
posizione nella struttura organizzativa (sub a. ).
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione
di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie,
cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per
essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocuii, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche
se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina,
rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene
né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che
lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al
fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca
e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità
di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei
fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi
di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della

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6.6.2006).

motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto,
da cosa tale illogicità vada desunta.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la
sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da
“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non
ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema
Corte, le censure sopra ricordate che i ricorrenti rivolgono al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri
la tenuta complessiva.
3. I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica

che va a saldarsi con quella del Tribunale di Como hanno, infatti, dato conto di
come fosse risultato che Kardale sia una società off-shore con sede nell’isola di
Man ad un indirizzo corrispondente ad una casella postale (l’appellante ha sostenuto essa avere sede in Inghilterra). Tale società – si legg&ancora nella motivazione del provvedimento impugnato- ha operato tra il 1999 e il 2002 e risulta
avere fatturato la cessione di componenti di barche sportive spedite dalla FI Racing
nonché proventi di sponsorizzazione in buona parte ritrasferiti al CAPPELLINI. La
società DAC Worldwide ha sede in Inghilterra e -per un fatto cronologico- è stata
ritenuta la naturale continuazione della Kardale. La Xenos dall’agosto 2001 risultava avere ricevuto versamenti dalla Kardale ed avere il proprio conto corrente a
Montecarlo presso lo stesso istituto di credito (“Banque de Gestion Edmond de
Rotshild”) presso cui CAPPELLINI aveva i propri conti correnti personali. E’ stata
accertata presso gli sponsor italiani la perfetta corrispondenza delle fatture in loro
possesso, nonché l’effettivo pagamento di esse.
I giudici del gravame del merito evidenziano, però, come fosse tuttavia
emerso che costantemente i contatti erano sempre intercorsi fra essi ed il CAPPELLINI, e che i contratti stipulati con tali società estere venivano ricevuti per
posta già firmati da un apparente legale rappresentante, quindi venivano sottoscritti dagli sponsor e ritrasmessi per posta. Viceversa la F1 Racing Association
aveva nel 1998, suo primo anno di vita, fatturato parte delle sponsorizzazioni conseguite dal CAPPELLINI, senza più presentare dichiarazioni fiscali negli anni successivi (quando tale “funzione” era stata assunta dalle società straniere) e tuttavia

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motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

dal 1999 al 2002 aveva ricevuto rilevanti versamenti di denaro che non sono riconducibili né a fatture emesse né a finanziamento soci (tutti parenti o amici del
CAPPELLINI), provenienti di fatto dalla DAC e talvolta dallo stesso CAPPELLINI (a
comprova dell’assoluta commistione “personale” fra le attività della persona fisica
e dell’associazione).
In tale quadro – si legge ancora nella congrua motivaziou sul punto del provvedimento impugnato- F1 Racing risulta aver effettuato pagamenti di spese personali del CAPPELLINI (utenze private, ecc.) dal 1998 al 2006, così come il CAP-

ai suoi conti correnti bancari per far fronte alle spese e ai costi sostenuti per le
trasferte.
Da tutto viene logicamente dedotta la assoluta e piena legittimità del considerare il CAPPELLINI amministratore di fatto di F1 Racing, in ragione della assoluta
promiscuità di rapporti esibita negli atti processuali, e poi la funzione delle società
straniere (che è irrilevante appurare esattamente dove potessero avere sede)
come soggetti allestiti allo scopo di acquisire – in luogo del CAPPELLINI persona
fisica e di una Fi Racing mantenuta nel ruolo di associazione senza scopo di lucro
– i proventi delle attività riferibili al CAPPELLINI (sponsorizzazioni, forniture di materiale, compensi per prestazioni di immagine) – e di sottrarre la possibilità di tassare in Italia detti cospicui proventi.
Viene poi ritenuto particolarmente significativo che lo stesso CAPPELLINI non
sia stato in grado di indicare specifici soggetti quali amministratori ed operatori in
seno alle società straniere (considerato anche il fatto che in alcuni documenti è lo
stesso imputato ad autodefinirsi “proprietario della Kardale”), ed inoltre che nessuno dei testi abbia affermato di aver conosciuto “sul campo” operatori delle società straniere, posto che durante le manifestazioni sportive erano presenti solo
Donzelli e “i ragazzi del team”, intendendo soggetti riconducibili a Fi Racing, i quali
disimpegnavano pienamente tutte le attività di promozione, di supporter e di accoglienza sponsor dedotte nei contratti che hanno impegnato le società straniere
in questione.
Logica è anche l’affermazione che non sia pensabile essere economicamente
“coerente” che tali società straniere avessero la funzione unicamente di società di
servizi, poiché in questo caso l’inutile intermediazione in molti rapporti produrrebbe una crescita a dismisura dei costi senza alcun vero vantaggio per i destinatari ed i prestatori effettivi dei servizi.
In tal senso la Corte territoriale confuta la tesi difensiva fondata su !abili “segni
di vita” delle società estere per cui queste ultime potessero considerarsi come i
soggetti che avessero invece davvero reperito clienti e supportato le attività del
team, e direttamente corrisposto con i clienti/sponsor dell’attività sportiva del

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PELLINI ha utilizzato per le sue trasferte le attrezzature dell’F1 Racing ed attinto

CAPPELLINI, poiché si evidenzia che “sul campo” non hanno mai esibito alcuna
forma concreta di attività o servizio.
Congrua risposta viene fornita anche alla questione, oggi riproposta, della
residenza nel Principato di Monaco del CAPPELLINI.
In motivazione si pone in rilievo sul punto come gli elementi utilizzati per
affermare che la residenza estera dell’imputato sia solo fittizia appaiono invero
dotati di pluralità e di piena concordanza (si tratta del confronto tra i consumi
cospicui delle forniture al CAPPELLINI nelle sue residenze italiane con quelli irrisori
prio domicilio-recapito in Italia a vari enti pubblici e privati, della circostanza per
cui egli intrattiene e promuove progetti di ampliamento in Italia presso le proprie
residenze, del fatto che le numerose autovetture intestate all’uomo abbiano circolato perlopiù in Italia, pagando ivi pedaggi autostradali). E secondo la condivisibile
opzione della Corte territoriale a contrastare tali dati non vale – come ha fatto
l’imputato – limitarsi a sostenere che la scarsa presenza presso l’abitazione di Montecarlo era dovuta ai numerosi impegni all’estero del campione di motonautica,
impegnato nel calendario di gare per molte settimane l’anno anche in luoghi molto
lontani, poiché ciò implicherebbe un analogo scarso utilizzo delle residenze italiane, il che non è ciò che risulta agli atti.
Analogamente, i giudici del gravame del merito offrono una motivazione che
appare immune dai denunciati vizi ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. quanto al
ruolo del Donzelli, che aveva sostenuto a propria difesa di essere stato coinvolto
solo quale amministratore legale della Fl Racing Association, struttura che non
era pacificamente ente commerciale – per esplicito riconoscimento fattone dagli
uffici fiscali -, e che nemmeno avrebbe potuto fatturare direttamente (e dichiarare
fiscalmente) le prestazioni erogate dalle società estere.
A tale tesi, ribadita oggi, la Corte territoriale aveva opposto come il rilievo
fosse del tutto formale e poco pertinente in quanto l’irregolarità stessa di Fl Racing
risiede nell’avere gli imputati mantenuto tale struttura nella sua apparenza di associazione senza fine di lucro, evitando che dovesse fatturare somme che l’avrebbero posta nella necessità di dismettere tale sua veste e di assumere quella di una
società commerciale.
Sotto tale aspetto viene perciò logicamente ritenuta del tutto priva di rilievo
la circostanza per cui – in una sede del tutto differente quale la richiesta di sanatoria per lo “scudo fiscale” – l’associazione Fl Racing sia stata “percepita” e considerata come tale dagli uffici fiscali, solo che si pensi che l’intera vicenda di irregolarità che ha dato vita al procedimento scaturisce dal ritrovamento della famosa
pen-drive col suo esplicito contenuto, e che non vi fossero (altri) segnali della

semplice apparenza a cui era destinata l’associazione.
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registrati nella casa di Montecarlo, del fatto che il predetto abbia dichiarato il pro-

Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono sui
punti suddetti una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma
per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché
trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.

4. Fondate, invece, sono le doglianze proposte da entrambi i ricorrenti laddove si censura il punto della motivazione della Corte di Appello di Milano in cui si

diti 2005 e 2006, calcolati con riferimento ai criteri quantitativi che sorreggevano
l’interpretazione dei redditi negli anni precedenti, esse appaiono sorrette da logica
ed accettabili. Nessun rilievo di ordine tecnico o fattuale gli imputati hanno formulato al riguardo”.
In primo luogo, va rilevato che l’affermazione della Corte d’Appello appare
non corretta nella parte finale, in quanto almeno il Cappellini aveva contestato con
i motivi di appello dal punto di vista fattuale, tecnico contabile e giuridico, l’attribuzione dei redditi per gli anni 2005 e 2006. Andavano, pertanto valutate le argomentazioni sul punto indicate nell’atto di appello.
In secondo luogo, la quantificazione delle somme evase sembrerebbe essere
frutto di una semplice operazione aritmetica con la quale si è calcolata, per presunzioni, la media ponderale delle presunte evasioni degli anni precedenti.
Ebbene, ciò non sarebbe idoneo, in assenza di riscontri, a portare ad un’affermazione di responsabilità.
Sul punto va ribadito l’ormai consolidato orientamento di questa Corte Suprema che differenzia i casi in cui si abbia a che fare con una pronuncia di merito
da quelli in materia cautelare.
Quanto ai primi, quindi al caso che ci occupa, le presunzioni legali previste
dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo
esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente
dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa (cfr. sez. 3, n. 7078 del 23.1.2013, Piccolo, rv.
254852, fattispecie nella quale questa Corte ha ritenuto inutilizzabile la presunzione contenuta nell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che configura come
ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari, conf.
sez. 3, n. 2246 del 1.2.1996, Zullo, rv. 205395).
In tema di reati tributari, ai fini della prova del reato, il giudice può, dunque,
fare legittimamente ricorso agli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza o

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afferma: “Quanto infine alle presunzioni che hanno sorretto l’attribuzione dei red-

:

dall’ufficio finanziario, anche ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, pur dovendo il proprio esame estendersi a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito in quanto l’autonomia del procedimento penale rispetto a
quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento,
il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni
secondo la disciplina tributaria, a condizione però che detti elementi siano assunti
non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera
valutazione ai fini probatori e, siccome dette presunzioni hanno il valore di un
o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti.
Legittimamente, dunque, i giudici milanesi per l’individuazione dei redditi
2005 e 2006 potevano prendere le mosse dal procedimento indicato in motivazione, ma avrebbero dovuto poi offrire degli ulteriori elementi di prova a riscontro
di quelli che possono essere valutati solo come meri indizi.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad
altra sezione della Corte di Appello di Milano per un nuovo esame sul punto.
Per completezza va rilevato che, viceversa, proprio per la loro natura di dati
di fatto aventi valore indiziario, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, ben possono essere poste a fondamento di un provvedimento cautelare reale.
In proposito va ricordato, infatti, che, ai fini della applicazione della cautela
reale, non occorre che il compendio indiziario si configuri come grave ai sensi
dell’art. 273 cod. proc. pen., essendo sufficiente l’esistenza del “fumus delicti” in
concreto (cfr. sez. 6, n. 45591 del 24.10.2013, Ferro, rv. 257816; Sez. 3, n. 37851
del 4.6.2014, Parrellí, non mass.), dovendosi cioè verificare in modo puntuale e
coerente la serietà degli elementi in base ai quali il giudice ritenga concretamente
esistente il reato configurato e la conseguente possibilità di sussumere la fattispecie in quella astratta, tenendo anche conto delle concrete risultanze processuali e
della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti.
Va dunque riaffermato il principio che le presunzioni legali previste dalle
norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario
sufficiente ad integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi
di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale (cfr.
anche la recente sez. 3 n. 2006 del 2.10.2014, dep. 16.1.2015, Scatena, rv.
261928, fattispecie relativa a sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente del profitto del reato).

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indizio, esse, per assurgere a dignità di prova, devono trovare oggettivo riscontro

#

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma il 23 giugno 2015
Il Presidente

Il C sigliere es nsore

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