Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30889 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30889 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

RINALDI Roberto, nato a Milano il 26/9/1959

MINENNA Sante, nato a Bitonto il 7/7/1970
avverso la sentenza n. 392/2013 (n. 6776/11 R.G.App.) in data 30/1/2013 della
Corte di Appello di Torino
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di
entrambi i ricorsi;
udito il difensore dell’imputato RINALDI, Avv. Luca CICCARELLI, che ha concluso
insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 17/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30/1/2013, la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma
della sentenza del 31/5/2011 del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Tortona – previa riqualificazione con riguardo al solo imputato
MINENNA Sante della condotta di cuicfiginaria contestazione di cui all’art. 416,
commi 1 e 3, cod. pen. in quella di cui al comma 2 del medesimo articolo di
legge e conseguente rideterminazione della pena per tale reato – confermava nel
resto le condanne irrogate dal Giudice di prime cure a pene ritenute di giustizia

/fr

allo stesso MINENNA ed agli altri coimputati RINALDI Roberto, LAURENTI Paolo e
LILLO Giovanni.
La vicenda per cui è giudizio riguarda la contestazione a tutti i predetti imputati
di aver posto in essere una associazione per delinquere (capo A della rubrica
delle imputazioni) finalizzata alla consumazione tra il gennaio ed il maggio 2010
di furti di merce di rilevante valore (piccoli elettrodomestici, generi alimentari,
capi di abbigliamento ed altro) ai danni di autotrasportatori nonché una serie di

quali è stato condannato il solo RINALDI).
La sentenza di cui trattasi in relazione al contestato reato di cui all’art. 416 cod.
pen. è divenuta irrevocabile nei confronti dei coimputati LAURENTI Paolo e LILLO
Giovanni rispettivamente in data 21/5/2013 ed in data 23/10/2013.

Ricorrono, invece, per Cassazione avverso la predetta sentenza l’imputato
RINALDI, per mezzo del proprio difensore, e l’imputato MINENNA personalmente,
deducendo:

Il RINALDI.
1. L’errata applicazione della legge penale in relazione agli articoli 81 e 416 cod.
pen. in relazione all’articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Lamenta, in particolare, il ricorrente che il Giudice di prime cure e la Corte
territoriale, con riguardo al contestato reato di associazione per delinquere
avrebbero commesso un error in iudicando consistente nel non aver valorizzato
la circostanza che la costituzione dell’associazione per delinquere sarebbe stata
effettuata a ridosso del primo furto il che non consentirebbe di individuare una
circostanza corrispondente al momento ideativo a monte del generico
programma criminoso. Ci si troverebbe, inoltre, a detta del ricorrente, di fronte
ad una minima consistenza dell’organizzazione attraverso la quale i furti sono
stati commessi, situazione che è compatibile con l’esistenza di un disegno
criminoso inerente gli specifici reati in contestazione da unificarsi tra loro sotto il
mero vincolo della continuazione ex art. 81 cod. pen. nell’ottica di un concorso
formale plurisoggettivo, con esclusione, pertanto, della configurabilità del reato
associativo.
A ciò si aggiunga, sempre a detta del ricorrente, che il RINALDI sarebbe stato
avvicinato “con la prospettiva di far parte di un gruppo dedito ai furti” (sic!): non
vi sarebbe, però evidenza di un avvicinamento specifico caratterizzato da un fine
associativo distinto da quello della partecipazione al primo furto commesso.

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i

furti pluri-aggravati (capi da B a G della rubrica delle imputazioni in relazione ai

Da ultimo, anche l’avvenuta assoluzione di alcuni originari coimputati in relazione
al reato di associazione per delinquere (tale BARTELLA) ed in relazione a reatifine (LILLO, LAURENTI, MINENNA) renderebbe estremamente difficile la
configurazione del reato di cui all’art. 416 cod. pen.

2. Mancanza o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in
relazione all’elemento soggettivo della partecipazione alla associazione per

corte territoriale avrebbe omesso una compiuta motivazione in ordine agli
elementi che avrebbero supportato la scelta del ricorrente dell’esistenza del
vincolo permanente che caratterizza il reato di associazione per delinquere. Il
difetto nella motivazione risiederebbe quindi nella contraddittorietà fra il
riconoscimento del carattere minimo dell’organizzazione (pagina 7 della
motivazione della sentenza impugnata) ed il riconoscimento dei caratteri del
vincolo associativo di cui a pagina 8 della motivazione della sentenza medesima.

3.

Per dovere di completezza, deve essere anche evidenziato il fatto che il

ricorrente ha chiesto che nell’ipotesi di conferma della sentenza della Corte
territoriale vengano riconosciute allo stesso le circostanze attenuanti generiche
con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti. Tale richiesta non risulta
però essere stata sviluppata in uno specifico motivo di ricorso.

Il MINENNA:
4. Violazione dell’articolo 606, comma uno, lett. b), del cod. proc. pen. per
l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed erronea
interpretazione della legge. Richiede il ricorrente che la sentenza della Corte
territoriale venga censurata in relazione al riconoscimento della penale
responsabilità del MINENNA in relazione al reato di cui all’articolo 416 cod. pen.
In particolare, come evidenziato dal ricorrente, il MINENNA risulta essere stato
assolto in relazione alla contestata consumazione dei reati fine con la
conseguenza che a suo carico residua esclusivamente la partecipazione al reato
associativo, la cui prova sarebbe carente sia sotto il profilo dell’elemento
oggettivo sia sotto quello dell’elemento soggettivo, difettando in quest’ultimo
caso il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. A ciò si aggiunga,
sempre a detta del ricorrente, che non sarebbe stato neppure possibile
individuare il ruolo che egli avrebbe svolto nell’ambito della associazione per
delinquere ascrittagli e, comunque, che da un esame approfondito dagli atti

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delinquere da parte del ricorrente. Al riguardo si evidenzia nel ricorso che la

processuali si evince, invece, in maniera inequivoca, come l’accordo criminoso
tra i presunti sodali possa essere ritenuto se non occasionale comunque
circoscritto, facendo venir meno, per l’effetto, ogni motivo di pericolo o di
allarme sociale.
Con specifico riferimento all’elemento soggettivo del reato, ha evidenziato il
ricorrente che gli elementi raccolti nel corso delle indagini e dei precedenti giudizi
non sono in alcun modo caratterizzati da criteri di certezza, di precisione e dalla

probabilità la consapevole partecipazione dell’imputato alla contestata
associazione per delinquere ben potendo essere compatibili con uno o più
occasionali interventi del MINENNA nell’attività della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi degli imputati RINALDI e MINENNA – che in più punti appaiono
trasmodare in questioni di merito incensurabili in questa sede – in relazione alla
doglianza relativa alla asserita insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di
associazione per delinquere contestato agli stessi sono meritevoli di una
trattazione congiunta.
A prescindere dalla circostanza che la sussistenza del sodalizio criminale appare
cristallizzata dal fatto che la sentenza emessa sul punto dalla Corte di Appello di
Torino a carico di originari coimputati del RINALDI e del MINENNA è oramai
divenuta irrevocabile, deve essere evidenziato come la sentenza medesima, con
la quale in concreto i ricorrenti non si confrontano con la dovuta specificità,
reiterando in massima parte le doglianze già costituenti oggetto dell’appello, ed
opponendo argomentazioni infondate, è caratterizzata da una motivazione
congrua sorretta da passaggi esaurienti, logici, non contraddittori, non inficiati
da travisamenti (che la difesa non documenta) e, pertanto, incensurabile in
questa sede, ed assolutamente condivisibile,
La Corte territoriale, talvolta anche richiamando il contenuto della sentenza del
Giudice di prime cure, ha, infatti, puntualmente evidenziato tutte le emergenze
processuali (disponibilità di mezzi per il trasporto della refurtiva e di luoghi per il
deposito della merce, di apparati telefonici destinati esclusivamente al “lavoro”
che spesso venivano cambiati nonché suddivisione dei ruoli tra gli imputati) dalle
quali si può evincere l’affermata sussistenza del sodalizio criminale.
Ancora, la Corte territoriale ha motivato il proprio convincimento al riguardo
evidenziando come:

gravità richiesta dalla legge, non valendo a configurare, con elevato grado di

a) la sussistenza di un vincolo associativo tendenzialmente permanente si evince
dalle stesse dichiarazioni del RINALDI il quale riferì di essere stato introdotto in
un gruppo di circa 10 persone che dimostravano di condividere l’obiettivo di
svolgere “lavori” in comune dei quali gli esecutori materiali ricevevano dai
soggetti posti al vertice prima le istruzioni sulle modalità operative, poi il
compenso.
b)

l’indeterminatezza del programma criminale, individuato soltanto con

riscontrata dal fatto che gli obiettivi dovevano essere individuati di volta in volta.
Prive di pregio al fine di escludere la configurabilità del reato associativo sono poi
le doglianze riguardanti il fatto che la costituzione dell’associazione per
delinquere sarebbe stata effettuata a ridosso del primo furto il che non
consentirebbe di individuare una circostanza corrispondente al momento ideativo
a monte del generico programma criminoso e, più in generale, riguardanti gli
ambiti temporali della sussistenza del sodalizio criminale.
Il primo aspetto appare, invero, essere del tutto irrilevante, quasi non si potesse
ipotizzare che alla deliberazione di un comune programma criminoso possa
seguire nella quasi immediatezza l’individuazione del primo obbiettivo da colpire
e la consumazione del primo dei reati-fine. D’altro canto si da ben atto nella
sentenza della Corte territoriale come proprio il RINALDI dapprima fu avvicinato
con la prospettiva di far parte di un gruppo dedito alla consumazione di furti,
indi, gli furono forniti i mezzi e gli attrezzi necessari e, infine, lo stesso è
“rimasto a disposizione” per essere chiamato ad agire il che denota una
scansione logica, oltre che temporale, tra i diversi momenti intercorrenti tra
l’insorgenza dell’accordo associativo (indicato nell’imputazione alla quale è
conseguita la condanna come “in epoca anteriore e prossima al mese di gennaio
2010”) ed il momento di consumazione del primo dei furti in contestazione
(consumato in Tortona il 29/1/2010).
Sotto altro profilo non può non essere evidenziato il fatto che la consumazione
dei reati-fine, oggetto dell’originario programma criminoso si è protratta
quantomeno dal gennaio al maggio 2010 e, quindi, per un apprezzabile lasso di
tempo. In proposito questa Corte ha avuto modo di evidenziare (in maniera
condivisa dall’odierno Collegio) che “ai fini della configurabilità del reato di
partecipazione a un’associazione per delinquere comune o di tipo mafioso, non è
necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per una
certa durata, ben potendo, al contrario, ravvisarsi il reato anche in una

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riferimento alla tipologia delittuosa ed alla natura della refurtiva, appare

partecipazione di breve periodo” (ex multis Cass. Sez. 1^, sent. n. 31845 del
18/03/2011, dep. 10/08/2011, Rv. 250771).
Quanto, poi, alla distinzione tra reato associativo e concorso di persone nel reato
continuato, come è noto ed è già stato evidenziato in plurime occasioni da
questa Corte “il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il
concorso di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell’accordo
criminoso, che nell’indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente

determinati – anche nell’ambito del medesimo disegno criminoso – con la
realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme
sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto
programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti,
con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche
indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati
programmati” (ex multis Cass. Sez. 2^, sent. n. 933 del 11/10/2013, dep.
13/01/2014, Rv. 258009; Cass. Sez. 5^, sent. N. 3340 del 20/01/1999, dep.
15/03/1999, Rv. 212816; Cass. Sez. 6^, sent. n. 4825 del 12/12/1995, dep.
09/02/1996, Rv. 203599). Alla luce di tale principio proprio gli elementi
correttamente evidenziati dalla Corte territoriale quale, in particolare il fatto che i
mezzi necessari per il compimento delle singole azioni erano stati predisposti in
origine ed erano “serventi” alla realizzazione del programma delittuoso, che lo
stesso programma era stato in origine individuato soltanto con riferimento la
tipologia delittuosa ed alla natura della refurtiva mentre gli obbiettivi dovevano
essere individuati di volta in volta, appaiono elementi fondamentali per portare a
ritenere che si verte in un’ipotesi di associazione per delinquere e non certo in un
mero concorso di persone nel reato continuato.
Ne consegue che i ricorsi sul punto di entrambi gli imputati devono essere
rigettati.

2. Con riguardo al secondo motivo di ricorso presentato nell’interesse
dell’imputato RINALDI nel quale si denuncia la mancanza o contraddittorietà
della motivazione della sentenza impugnata in relazione all’elemento soggettivo
della partecipazione alla associazione per delinquere da parte del ricorrente, è
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla
motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati
dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta

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occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati

novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale risulta aver dato conto in maniera

capo al RINALDI anche dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 cod.
pen. Ciò risulta in tutta evidenza dallo specifico ruolo rivestito dal RINALDI
(confesso in ordine alla propria partecipazione ai reati-fine) il quale, come detto,
risulta essere stato avvicinato in epoca precedente all’inizio della consumazione
dei reati stessi ed ha di fatto affermato di essersi messo a disposizione come
autista addetto alla conduzione dei mezzi pesanti necessari al carico ed al
trasporto delle merci di volta in volta sottratte agli autotrasportatori.
Ciò rende evidente la sussistenza in capo all’imputato della consapevolezza sia
dell’esistenza di un gruppo di persone dedite al compimento dell’attività
delittuosa (gruppo del quale a sua volta per libera scelta è entrato a far parte)
sia di tutti gli altri elementi (ripartizione di ruoli, mezzi e, più in generale,
programma di azione) caratterizzanti il sodalizio criminale. D’altro canto, per
consolidato orientamento di questa Corte (condiviso dall’odierno Collegio)
“l’elemento psicologico del reato di associazione per delinquere consiste nella
coscienza di far parte di un impegno collettivo permanente e di svolgere i propri
compiti, come determinati dai capi o coordinatori, al fine di compiere a tempo
debito i delitti programmati” (Cass. Sez. 1^, sent. n. 709 del 11/12/1992, dep.
26/01/1993, Rv. 192790) ed a ciò si aggiunge che detto elemento psicologico
“può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione del
programma delinquenziale in modo conforme al piano associativo” (Cass. Sez.
6^, sent. n. 9117 del 16/12/2011, dep. 07/03/2012, Rv. 252388).

3. Come detto, nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato RINALDI è, poi,
contenuta la richiesta, nell’ipotesi di conferma della sentenza della Corte
territoriale, di riconoscimento allo stesso delle circostanze attenuanti generiche
con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti. Si è già evidenziato che
tale richiesta non risulta però essere stata sviluppata in uno specifico motivo di
ricorso, pecca di assolta carenza in ordine alla eventuale doglianza in ordine agli

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logica ed esaustiva delle ragioni che hanno portato a ritenere la sussistenza in

aspetti motivazionali sul punto della sentenza impugnata e, per l’effetto, non può
che qualificarsi come inammissibile.

4. Con riguardo, infine, all’ulteriore punto di ricorso avanzato da MINENNA Sante
nella parte in cui è lamentata la violazione dell’articolo 606, comma uno, lett. b),
del cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed
erronea interpretazione della legge in relazione al fatto che non emergerebbe

predetto alla contestata associazione per delinquere e, quindi, non sarebbe
configurabile l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 cod. pen. per il
quale sia il Giudice di prime cure che la Corte territoriale hanno affermato la
penale responsabilità dello stesso, si deve innanzitutto fare qui richiamo a
quanto già evidenziato in punto di fatto e diritto al superiore paragrafo 2).
La Corte territoriale, con una motivazione che si presenta priva di censure sia
sotto il profilo logico che sotto quello dell’adeguatezza, ha chiarito che, sebbene
il ruolo del MINENNA non possa essere qualificato come quello di capo della
compagine criminale (così come originariamente contestatogli), ciò nonostante il
ruolo rivestito dallo stesso nell’occuparsi del pagamento del compenso spettante
al RINALDI, nonché quanto emerso da alcune telefonate intercettate dalle quali
si evince che l’odierno ricorrente rivestiva il ruolo di persona dalla quale gli altri
soggetti attendevano indicazioni sugli spostamenti da effettuare, ha dato atto
dell’inserimento dell’imputato a pieno titolo (anche se non con posizione di
vertice) nella compagine criminale con l’ulteriore conseguenza, implicita ma
evidente dai fatti, che la conoscenza della struttura del gruppo criminale e delle
dinamiche di azione dei suoi componenti consente di configurare in capo al
ricorrente anche l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 cod. pen.
A ciò si aggiunga che, come ha correttamente motivato sul punto la Corte
territoriale, il fatto che il MINENNA sia stato mandato assolto dal Giudice di prime
cure in ordine alla commissione dei reati-fine dell’associazione non incide sulla
configurabilità in capo allo stesso degli elementi soggettivo ed oggettivo del
diverso reato associativo.
D’altro canto questa Corte ha già avuto modo di precisare, con argomentazioni
condivise dall’odierno Collegio, che “l’elemento psicologico del reato di
associazione per delinquere consiste nella coscienza di far parte di un impegno
collettivo permanente e di svolgere i propri compiti, come determinati dai capi o
coordinatori, al fine di compiere a tempo debito i delitti programmati” (Cass.
Sez. 1^, sent. n. 709 del 11/12/1992, dep. 26/01/1993, Rv. 192790) situazione

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con la gravità di elementi richiesta dalla legge la consapevole partecipazione del

questa che emerge nelle condotte descritte dalla Corte territoriale e tenute dal
ricorrente nonché da un passo di una telefonata intercorsa tra i coimputati
RINALDI e LILLO e testualmente citato nella sentenza impugnata nella quale si
riferisce che il MINENNA, chiamato Dino, avendo saputo che il LILLO mostrava la
sua preoccupazione per essere stato “sostituito” nel gruppo dei soggetti chiamati
a compiere i furti, aveva commentato “non so, si farà sentire se vuole venire a

lavorare”, frase indubbiamente emblematica di proiezione verso il futuro del

ancora specificamente individuati.
Ne consegue che anche questa parte del ricorso presentato dall’imputato
MINENNA deve essere oggetto di rigetto.

Da quanto sopra esposto consegue il rigetto dei ricorsi in esame, con condanna
dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il giorno 17 giugno 2014.

programma criminoso riguardante ulteriori specifici furti con obbiettivi non

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