Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30885 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30885 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Di Meo Stefano, 31.03.1967, n. Milano
avverso la sentenza, in data 4.07.2013, della Corte di Appello di Milano, che ha confermato la
pronuncia di primo grado e ha condannato il ricorrente alla pena di anni uno di reclusione ed
euro 300,00 di multa per i reati di ricettazione e truffa;
Sentita la relazione del Consigliere relatore Giovanni Diotallevi;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Luigi Riello, che ha concluso
con la richiesta di annullamento senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B) perché
estinto per prescrizione, con rideterminazione della pena; rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

Di Meo Stefano ricorre avverso la sentenza, in data 4.07.2013, della Corte di Appello di Milano,
che ha confermato la pronuncia di primo grado e ha condannato il ricorrente alla pena di anni
uno di reclusione ed euro 300,00 di multa per i reati di ricettazione e truffa.
Chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato il ricorrente deduce:

a) Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione ex art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata declaratoria di estinzione per

Data Udienza: 13/05/2014

intervenuta prescrizione del reato contestato al capo B) (truffa).
La sentenza dei giudici di seconde cure avrebbe confermato le statuizioni di primo grado,
nonostante lo stesso Procuratore Generale avesse opportunamente rilevato che il reato di
truffa fosse già prescritto.
Sul punto, inoltre, la Corte non avrebbe assolutamente motivato gli elementi in base ai quali è
stata affermata la sua responsabilità.

b) Incongruità ed illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in

speso per l’acquisto del barboncino.
I giudici di seconde cure si sarebbero, in modo insufficiente, limitati a richiamare la sentenza di
primo grado circa la ritenuta inverosimiglianza delle dichiarazioni del ricorrente in ordine alle
modalità tramite cui sarebbe venuto in possesso dell’assegno, non potendo, questo dato,
essere da solo ritenuto sufficiente ad esaurire la valutazione della sussistenza dell’elemento
psicologico del reato.

c)Incongruità della motivazione in ordine alla denegata rubricazione della ricettazione sub A)
nell’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 cod. pen.
L’affermazione secondo la quale il caso di specie sarebbe “oggettivamente e soggettivamente
incompatibile con il fatto di particolare tenuità” rappresenterebbe una generica formula di stile
riferibile a qualsiasi imputazione analoga. La motivazione, quindi, sarebbe solo apparente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Questa Corte ritiene esenti da censure logico – giuridiche le conclusioni cui è pervenuta la
Corte di Appello di Milano, che ha rigettato l’impugnazione proposta dal ricorrente.
Invero, il ricorrente sottolinea nel ricorso esclusivamente valutazioni inerenti elementi di fatto,
divergenti da quelle cui è invece pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed
esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si vedano le
considerazioni relative al possesso del titolo di provenienza delittuosa e le valutazioni in ordine
alla gravità del fatto così come complessivamente considerato, anche in relazioni alle modalità
di spendita del titolo).
Infatti, la Corte, con una motivazione sintetica ma completa, ha dato contezza sia della prova
dell’elemento psicologico in capo al ricorrente, per ciò che concerne il delitto di ricettazione, sia
dell’esclusione dell’ipotesi attenuata relativamente alla medesima fattispecie.
Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi

ordine alla ritenuta consapevolezza in capo all’imputato della provenienza illecita dell’assegno

logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794).

3. Quanto all’invocata prescrizione di cui al capo B) di imputazione, va sottolineato che non
appaiono condivisibili le conclusioni rese in appello dal Procuratore Generale .
Occorre infatti precisare che la sospensione di mesi tre e giorni venti del procedimento,
unitamente al termine di prescrizione previsto per la fattispecie (data di commissione
6.08.2005), ha comportato che il termine di prescrizione sia intervenuto in un momento
successivo alla pronuncia del giudice di secondo grado, ossia il 26.08.2013.

orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che ha più volte stabilito che “L’inammissibilità
del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il
formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la
prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).”
(Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000 ).

4. Va pertanto dichiarata inammissibile l’impugnazione proposta.

5. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in Euro 1000,00.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Rom

aggio 2014

Il Co

re Estensore

Giov

iota evi

Peetanto dal momento che il ricorso è inammissibile, occorre richiamare il costante

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