Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30880 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 30880 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAYDI MOHAMED N. IL 16/03/1982
avverso l’ordinanza n. 1152/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. A
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Udit j4fensor Avv.;

6′

Data Udienza: 02/07/2014

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CONSIDERATO IN FATTO
1. Mohamed Saydi è stato condannato dal Tribunale di Monza all’udienza del
28.11.2005 per reato di cui all’art. 73 dPR 309/90, in relazione alla detenzione al
fine di spaccio di gr. 1,350 di hashish con principio attivo di gr. 0,105 (fatto del
4.2.2005. Il Giudice di primo grado ha ricondotto la fattispecie nel contesto

generiche.
Con ordinanza del 4-11.6.2012 la Corte d’appello di Milano ha dichiarato
inammissibile l’appello proposto nell’interesse dell’imputato in relazione al punto
dell’entità della pena, per la genericità dei motivi, ricondotta dalla Corte ambrosiana
alla mera riproposizione di questioni tutte già prospettate.

2. Avverso l’ordinanza di inammissibilità ricorre l’imputato a mezzo del
difensore d’ufficio,

enunciando vizi

della

motivazione,

dedotta come

sostanzialmente apparente, ricordando come in realtà l’originario atto d’appello
sollecitasse la rivalutazione dell’apprezzamento sulla congruità della pena, per
l’esigua quantità e qualità dello stupefacente per cui era processo e per la condotta
dell’imputato nell’immediatezza del fatto e rivendicando il diritto ad un nuovo
apprezzamento di merito anche sulla base delle medesime ragioni disattese dal
primo Giudice (connaturato alla funzione stessa del secondo grado di giudizio, volto
alla riduzione al minimo possibile del rischio di errore).
2.1 Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per
l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e della sentenza di primo
grado, in ragione dell’intervenuta prescrizione del reato.

RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è fondato. E in ragione dell’autonomia dell’ipotesi lieve ex art.
73.5 dPR 309/90, da ultimo confermata dall’art. 24 ter del d.l. 20.3.2014 nel testo
risultante in esito alla conv. in legge 79/2014, il reato per cui si procede è oggi
estinto per prescrizione, con la conseguente necessità di annullare senza rinvio
anche la sentenza deliberata nel primo grado di giudizio.

4. Possono richiamarsi le argomentazioni sul significato normativo del limite
della genericità, per non specificità, dell’impugnazione che chieda un secondo

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dell’ipotesi lieve del quinto comma di tale norma, anche applicando le attenuanti

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giudizio di merito, rispetto a quella che introduca il giudizio di legittimità, già svolte
da questa stessa Sezione in precedenza (per tutte Sez.6 sent. 13448/14, Bousber),
secondo cui: «Nell’attuale sistema processuale penale, il giudizio d’appello ha il
compito di verificare e rivalutare l’adeguatezza del dispositivo deliberato in primo
grado rispetto all’imputazione ed al contenuto, probatorio e in rito, del fascicolo
processuale (nei limiti del devoluto, salvi i poteri d’ufficio ex art. 129 e 597 c.p.p.,
con pienezza di apprezzamento e quindi con gli stessi poteri del primo giudice del

Il giudizio di legittimità, invece, ha il compito di verificare se la decisione del
giudice d’appello ha bene applicato norme sostanziali o processuali espressamente
sanzionate e, specialmente per quanto qui rileva, se è stata argomentata con una
motivazione non apparente o inesistente su aspetti determinanti per la
deliberazione e, altresì, immune dai vizi di contraddittorietà, interna o con specifici
atti probatori determinanti (considerati esistenti quando così non è o ignorati
quando in realtà erano presenti), e di ‘manifesta’ illogicità.
Tale caratteristica della cognizione del giudice di legittimità fonda l’assunto
comune, secondo il quale nel processo di legittimità ‘imputata’ è la sentenza.
Invece nel giudizio di appello la motivazione della sentenza di primo grado, in
realtà, diviene un parametro essenziale per la decisione solo quando il giudice di
secondo grado giudichi necessario modificarne il dispositivo (in ragione del cd.
obbligo rafforzato di motivazione: per tutte,

Sez.6, sentenze n. 8705/2013,

5879/2013 e 22120/2009; 18081/2011, 46742/2013).
Questo spiega la diversa dizione normativa che indica il contenuto (ed i limiti)
della cognizione dei due giudizi: i ‘punti’ della decisione (SU sent. 10251/2007), per
il primo (597.1); i ‘motivi’ proposti, per il secondo (609.1).
La diversità strutturale dei due giudizi di impugnazione spiega altresì sia il
diverso contenuto che in essi assume il (medesimo) requisito di ‘specificità’ del
motivo (sempre necessario pena la sua originaria inammissibilità: 581.1 lett.c- e
591.1 lett. c-), sia l’inconfigurabilità nel giudizio d’appello della causa di
inammissibilità del motivo costituita, per il giudizio di cassazione, dalla sua
‘manifesta infondatezza’ (606.3).
Quanto al requisito della ‘specificità’ del motivo ed al suo diverso atteggiarsi
nei due giudizi sono esemplari, per la nitidezza dell’argomentare e la chiarezza
dell’insegnamento, oltretutto nella loro significativa distanza temporale, le sentenze
di questa Corte suprema Sez. 1 n. 12066/1992 e Sez.2 n. 36406/2012.
La prima decisione doveva risolvere la questione di diritto dell’ammissibilità
dell’atto di appello presentato dopo la deliberazione ma prima del deposito della sua

merito).

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motivazione. Pur in tale peculiare contesto, la sentenza riflette dichiaratamente in
via generale e sistematica sull’applicabilità della categoria della genericità ai motivi
di impugnazione per il giudizio di appello. Osserva in particolare che <>.
In realtà, come ben evidenziato già nelle richiamate sentenze

Sez. 1 n.

12066/1992 e Sez.2 n. 36406/2012 (e come efficacemente spiegato pure da Sez.6,
sent. 21873/2011, secondo cui «non può ritenersi che, rispetto al giudizio di
cassazione, le esigenze di specificità dei motivi siano attenuate nel giudizio di
appello, che è competente a rivalutare anche il fatto>>, nonché da Sez. 6 sentenze
1770/2013 e 9093/2013), il requisito della specificità del motivo deve sempre
essere valutato con il medesimo “rigore” in entrambe le impugnazioni (per l’appello
e per la cassazione), costituendo come già accennato requisito indefettibile di
entrambe, pena l’inammissibilità del motivo stesso.
La diversità dell’operare del medesimo requisito nei due giudizi attiene
pertanto non alla minore o maggiore intensità del “rigore” nella sua valutazione,
bensì alla diversità strutturale dei due giudizi. Così, la riproposizione di questioni già
esaminate e disattese dal giudice del provvedimento impugnato non è causa di
genericità del motivo d’appello perché il giudizio di secondo grado ha per contenuto
la rivisitazione integrale del punto ‘attaccato’, con i medesimi poteri del primo
giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel motivo, quindi potendosi,
fisiologicamente, rivedere e modificare l’apprezzamento con cui il primo giudice
aveva disatteso la stessa richiesta (immediatamente esemplificativo il diverso
possibile giudizio sull”equità’ di una determinata pena per un determinato fatto e
in relazione ad un determinato imputato). Lo è invece per il giudizio di cassazione,
perché in esso la censura deve colpire uno dei vizi della motivazione tassativamente
indicati dalla lettera E del primo comma dell’art. 606 c.p.p. e una deduzione che
invece riproponga la censura presentata al giudice d’appello senza confrontarsi con
la risposta da questi argomentata e le sue ragioni, per ciò solo esula dalla struttura
del giudizio di legittimità (Sez.5, sent. 28011/2013; Sez.6, sent. 22445/2009;
Sez.5, sent. 11933/2005; Sez.4, sent. 15497/2002; Sez. 5, sent. 2896/1999).

può essere condiviso nella sua concreta formulazione, perché quantomeno

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In sintesi, mentre per il giudizio di cassazione è generico anche il motivo che
si caratterizza per l’omesso confronto argomentativo con la motivazione della
sentenza impugnata, per il giudizio d’appello rileva solo la genericità intrinseca al
motivo stesso, prescindendo da ogni confronto con quanto argomentato dal giudice
del provvedimento impugnato (argomentazioni cui ben può il giudice d’appello
richiamarsi per rigettare l’impugnazione che si fondi sulla reiterazione di deduzioni
già disattese).

nella libertà della formulazione, non indichi con chiarezza le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che lo sorreggono, con esplicito riferimento al caso concreto e in
modo pertinente al punto della decisione cui il motivo stesso si riferisce (per tutte,
Sez.6, sentenze 1770/2013 e 21873/2011 cit.)».

5. Deve pertanto essere riaffermato il principio di diritto, già enunciato nella
sentenza richiamata, secondo cui il motivo d’appello è inammissibile per mancanza
di specificità solo quando, in sé considerata (e quindi prescindendo dalla
motivazione del provvedimento impugnato), la deduzione che lo sorregge non è
pertinente al caso concreto e non è formulata in termini tali da indicare dove la
verifica autonoma del giudice d’appello deve indirizzarsi e da consentire, sulla base
di quanto dedotto, un apprezzamento tendenzialmente idoneo ad orientare la
decisione del punto devoluto.

6. Come pure argomentato nella sentenza 13448/14, << è poi certamente illegittima una valutazione preventiva del giudice d'appello che riconduca all'inammissibilità originaria del motivo di ricorso la sua 'manifesta infondatezza'. La manifesta infondatezza del motivo è causa di inammissibilità che presuppone una valutazione della censura nel suo contenuto. Essa può definirsi l'evidente intrinseca inidoneità delle ragioni dedotte a fondare la conclusione che si intende perseguire con l'impugnazione, in relazione al contenuto del provvedimento impugnato. In altri termini, la previsione dell'inammissibilità per manifesta infondatezza attribuisce al giudice la possibilità di una sorta di anticipazione della decisione con rito semplificato (e quindi con una contrazione delle usuali forme del contraddittorio previste per le varie tipologie del giudizio): il legislatore richiede l'evidenza della intrinseca inconsistenza della censura, e ciò giustifica sul piano sistematico l'eccezione alla pienezza dell'esercizio del diritto di difesa nelle forme usuali, in congrua consonanza con i principi della ragionevole durata del processo e dell'efficienza della giurisdizione. La genericità intrinseca del motivo d'appello si determina quando esso, pur 35242/14 RG 6 Proprio per la sua natura di apprezzamento che giudica nel loro contenuto le questioni dedotte, la 'manifesta infondatezza' dell'impugnazione può essere causa di inammissibilità originaria dell'atto di impugnazione solo nei casi in cui il non irragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore l'abbia espressamente prevista (606.3; 41.1, 48.2, 634.1, 666.2). Nessuna norma tra quelle che disciplinano in via generale le impugnazioni (in particolare non l'art. 591, sull'inammissibilità dell'impugnazione) e in modo secondo grado di merito di anticipare una valutazione di infondatezza dell'atto di appello, pur quando essa sia evidente, a momento antecedente la sentenza. Sicché, a fronte di un motivo d'appello che superi il vaglio della specificità (nei termini sopra precisati) nessun apprezzamento sulla sua infondatezza pur evidente può legittimare una preliminare dichiarazione di originaria inammissibilità da parte del giudice del merito, che eviti la fase del giudizio. Né osta alla conclusione indicata, in quanto con esso non contraddittorio ma coerente a tale ricostruzione sistematica, l'insegnamento della Corte di legittimità che esclude il vizio di motivazione quando il giudice d'appello ometta di rispondere, in sentenza, a motivo d'appello che sia manifestamente infondato (da ultimo Sez.5, sent. 27202/13): infatti, ogni vizio della motivazione, tra quelli previsti dall'art. 606. lett. e), rileva in quanto, oltre che sussistente, sia pure determinante per la deliberazione; il che non è quando la deduzione rimasta priva di risposta sia valutata dal giudice di legittimità manifestamente infondata >>.

7. Nel caso di specie, l’atto di appello sollecitava la rivalutazione del punto
della decisione afferente la congruità della pena, indicando elementi di fatto
comunque pertinenti e autonomamente sufficienti ad orientare l’ambito della
cognizione del Giudice d’appello nella sua attività di verifica giurisdizionale del
precedente giudizio.

8. L’ordinanza andrebbe pertanto annullata per mancanza di motivazione e le
considerazioni che precedono sul contenuto degli originari motivi d’appello
imporrebbero la trasmissione degli atti per la celebrazione del relativo giudizio.
Ma il reato si è prescritto alla data del 4.8.2012 (dopo la deliberazione
dell’ordinanza di inammissibilità e prima della trasmissione del fascicolo processuale
da parte della Corte milanese a questa Corte suprema).
E’ consolidata la giurisprudenza di legittimità che ritiene la prevalenza della
causa di improcedibilità per estinzione del reato dovuta all’intervenuta prescrizione

specifico il giudizio d’appello (593-605) prevede la possibilità per il giudice del

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sui vizi della motivazione del provvedimento impugnato (per l’assorbente ed
insuperabile rilievo che il primo atto del giudizio d’appello dovrebbe consistere nel
dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale per la sopravvenuta prescrizione
quando, come nella specie, non rinunciata).
Da qui l’annullamento dell’ordinanza della Corte d’appello e della sentenza di
primo grado, per tale avvenuta estinzione del reato per cui si procede.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e la sentenza del Tribunale di
Monza in data 28.11.2005 perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 2.7.2014

P.Q.M.

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