Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30871 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 30871 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISANO FRANCESCO N. IL 30/01/1983
avverso l’ordinanza n. 1304/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 08/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
1o4te/sentite le conclusioni del PG Dott. ose,

Uditi qdifensorkAvv.;

\LE323-Z_

Data Udienza: 09/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’8 gennaio 2014, il Tribunale del riesame di Reggio
Calabria ha confermato le ordinanze di applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere e di sequestro preventivo emesse dal Gip presso il Tribunale
della stessa città il 26 novembre 2013 nei confronti di Pisano Francesco,
indagato del reato di cui all’art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5, cod. pen., con il
ruolo di partecipe, dal 7 giugno 2013 in permanenza (capo A).

affermata l’esistenza della cosca Pesce nel territorio di Rosarno, il Tribunale del
riesame è passato ad esaminare gli specifici elementi indiziari a fondamento
della contestazione a carico di Pisano Francesco. Il Collegio ha rimarcato come
non sussista alcun dubbio quanto alla identificazione del ricorrente quale
soggetto utilizzatore del nickname “Sobrino” ed ha evidenziato come l’intraneità
di Pisano nel contesto mafioso rosarnese emerga dall’eloquente contenuto della
conversazione telematica del 14 giugno 2013 con Rao Rosario, avente il
nickname “Niki”, dimostrativa della comune appartenenza dei due interlocutori
alla consorteria di Pesce Vincenzo detto “u pacciu”, cioè il pazzo. Il Tribunale ha
quindi ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. a) e c) cod.
proc. pen., stimate fronteggiabili con la sola custodia in carcere, anche avuto
riguardo alla presunzione ex lege di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. a
fronte della mancanza di elementi indicativi dell’avvenuta rescissione del vincolo
associativo. Il tribunale ha infine confermato il provvedimento di sequestro
preventivo disposto ai sensi degli artt. 321 comma 2 cod. proc. pen. e 12 sexies
D.L. n. 306/1992.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Nicola Rao,
difensore di fiducia di Pisano Francesco, chiedendone l’annullamento per i
seguenti motivi:
2.1. Inosservanza o erronea applicazione di norma processuale in punto di
giudizio di gravità indiziaria e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in relazione alla integrazione del reato di cui all’art. 416 bis
cod. pen.
In particolare, il ricorrente contesta: l’identificazione dell’assistito del
soggetto nickname “Sobrino” (all’epoca detenuto in Uruguay), l’identificazione
dell’interlocutore con nickname “Niki” in Rao Rosario (che all’epoca si trovava
detenuto non in Uruguay, ma in Italia) nonché la possibilità di desumere la
comune appartenenza di Pisano (“Sobrino”) e Rao (“Niki”) alla famiglia mafiosa
di Pesce Vincenzo dal tenore della conversazione intercettata il 14 giugno 2013

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Dopo avere dato atto degli elementi sulla base dei quali può essere

(non essendo identificabile Pesce Vincenzo nel “pazzo” di cui in essa si parla),
vista anche l’assenza di contatti fra Pisano ed esponenti della famiglia Pesce, ad
eccezione della sporadica frequentazione con Rao Rosario.

3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile, mentre la difesa del ricorrente ha insistito per l’accoglimento del

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Con il primo profilo di doglianza, il ricorrente lamenta l’erroneità della
identificazione del proprio assistito nel soggetto utilizzatore del nickname
“Sobrino”.
Sul punto, giova evidenziare come i giudici della cautela abbiano ritenuto
provato – se non in modo certo, in termini di gravità indiziaria – che il ricorrente
si identifichi nell’utilizzatore dell’apparato telefonico Blackberry localizzato in
Uruguay avente nickname “Sobrino”.
A sostegno di tale conclusione il Tribunale ha evidenziato; sia le indagini di
natura tecnica compiute dalla P.G.; sia il fatto che, dagli sms captati, è emerso
che il soggetto con il nickname “Sobrino” era detenuto in Uruguay per traffico di
stupefacenti, come appunto Pisano Francesco all’epoca dei fatti; sia la
circostanza che “Sobrino” – Pisano interloquiva con un soggetto avente nickname
“Niki”, identificato con certezza in Rao Rosario [alla luce delle indagini di natura
tecnica compiute dalla P.G. (cfr. informativa ROS di Reggio Calabria del 4 ottobre
2013) e del controllo della G.d.F. del 25 giugno 2013 (scaturito proprio dal
contenuto delle comunicazioni telematiche intercorse fra “Niki” ed altro soggetto
avente nickname “Tupac”)], in compagnia del quale veniva più volte controllato
dalla P.G. (come comprovato dalla consultazione della banca dati S.D.I.).
La valutazione compiuta sul punto dai giudici della cautela risulta
condivisibile, in quanto si fonda sull’apprezzamento unitario e globale degli
elementi raccolti nelle investigazioni che, con una motivazione adeguata e
conforme ai parametri normativi ed alla logica, si sono ritenuti integrare un
quadro indiziario grave in ordine alla identificazione dell’indagato.
Né, d’altra parte, la correttezza della identificazione può essere smentita come assume il ricorrente -, alla luce del fatto che Pisano, essendo detenuto in
carcere in Uruguay, non avrebbe potuto comunicare con l’esterno mediante

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ricorso.

l’apparecchio Blackberry intercettato. A tale riguardo va, invero, rilevato, da un
lato, come non possa essere escluso che Pisano, seppur detenuto, avesse a
disposizione un apparecchio telefonico mobile, per essere stato autorizzato dalla
Direzione dell’istituto a tenerlo o, semplicemente, per averlo recato
abusivamente con sé; dall’altro lato, è pacifico – per quanto appunto si evince
dal tenore delle comunicazioni telematiche captate – che il soggetto avente
nickname “Sobrino” asseritamente detenuto in un carcere dell’Uruguay avesse
con sé un telefono con il quale comunicava verso l’esterno, il che prova per

autorizzazione piuttosto che illegalmente – un apparecchio ed utilizzarlo per
comunicazioni extramurarie.
Sulla scorta delle evidenze obbiettive sopra delineate, si deve pertanto
ritenere che l’identificazione del soggetto nei confronti del quale si procede sia
sufficientemente precisa e tranquillizzante, di tal che il ricorso sul punto va
rigettato.

1.2.

Sotto un diverso aspetto, il ricorrente contesta la lettura delle

espressioni utilizzate nelle conversazioni telematiche data dai giudici della
cautela, come dimostrativa della partecipazione dell’assistito e del soggetto
avente nickname “Niki”, identificato in Rao Rosario, alla famiglia mafiosa di
Pesce Vincenzo.
In via del tutto preliminare, mette conto rilevare come, con tale doglianza,
il ricorrente nella sostanza proponga una diversa lettura delle emergenze
processuali – segnatamente dei dialoghi telematici intercorsi – dunque una
rivalutazione delle risultanze di fatto, preclusa in sede di legittimità.
D’altra parte, le illogicità interpretative poste in luce dal ricorrente si
fondano, all’evidenza, su di un’analisi frazionata e decontestualizzata delle
singole proposizioni, estrapolandole dalla cornice complessiva dell’interlocuzione,
in una chiara prospettiva di svilirne il significato.
I giudici cautelari di primo e secondo grado hanno esposto, con una
motivazione ampia ed adeguata sotto il profilo logico argomentativo, le ragioni
per le quali dal tenore degli sms intercettati fra Pisano e Rao si debbano ritenere
provati (nei termini di cui all’art. 273 cod. proc. pen.) il coinvolgimento di
entrambi nella gestione di un affare illecito in Sudamerica gestito con la
“copertura” del clan mafioso Pesce di Rosario nonché la comune adesione dei
soggetti a tale cosca.
Eloquenti, e insuscettibili di plausibili letture alternative, sono invero le frasi
intercettate nella conversazione del 14 giugno 2013 nella quale Rao dava
indicazioni a Pisano su cosa dire ad una terza persona, che evidentemente aveva
4

tabulas che all’interno del carcere uruguaiano fosse possibile introdurre – previa

bisogno di “garanzie” sulla serietà dell’organizzazione con la quale si stava
trattando un affare dai contorni illeciti, e raccomandava di dire che “siamo tutta
una famiglia”, “quella del pazzo”, espressioni nelle quali correttamente i giudici
del provvedimento impugnato hanno ritenuto doversi leggere la partecipazione di
entrambi gli interlocutori al clan Pesce.
Risponde invero all’id

quod plerumque accidit

che, con l’espressione

“famiglia”, si intenda appunto una consorteria mafiosa. Ciò vale tanto più
laddove tale termine sia utilizzato da soggetti pregiudicati (si pensi solo che

malavita organizzata (Rao è imparentato con Pesce Vincenzo detto appunto “u
pacciu”).
Tale lettura risulta del resto confermata dalla frase icastica di Rao “chi
decide sono io” (“Tu gli devi dire che il mulo e primo del capo che dove lo
mandiamo va che chi decide sono io”), che chiaramente sottende all’esistenza di
una struttura gerarchicamente ordinata ed al proprio ruolo apicale, inconciliabile
con un contesto meramente parentale. Ancora, il chiaro riferimento alla
“copertura” della organizzazione fatto da Pisano (“Si tranquillo nn ti preocc io gli
o detto e facciamo parte di una fam nn gli o detto quale e gli o detto un po’
come funzione che siamo sempre coperti”) allude evidentemente a qualcosa di
diverso dalla mera solidarietà familiare.
Adeguata e conforme alle emergenze di fatto e alle regole della logica è
inoltre la conclusione dei giudici della cautela secondo cui la “famiglia” cui i due
interlocutori facevano riferimento nella conversazione era quella di Pesce
Vincenzo cl. 59.
Il Gip ed il Tribunale del riesame hanno evidenziato che, secondo quanto
accertato anche in altri procedimenti, il capo cosca Pesce Vincenzo viene
notoriamente indicato con il soprannome di “u pacciu”, ovvero il pazzo, e che le
indagini hanno documentato abituali frequentazioni di Rao Rosario con numerosi
personaggi affiliati o contigui alla cosca Pesce, fra i quali Giovinazzo Francesco,
affiliato alla cosca Pesce e legato sentimentalmente a Pesce Carmelina, figlia del
boss defunto Pesce Giuseppe, e Messina Rocco, nipote del boss Pesce Vincenzo
detto “u pacciu”, nonché frequentazioni fra Pisano e Rao (come dato atto nelle
pagine 32 e seguenti del provvedimento impugnato).
Né la validità della conclusione risulta smentita dal fatto – evidenziato dal
ricorrente – che Pesce Vincenzo non si trovasse al momento in Uruguay come
sembrerebbe emergere dalla conversazione. Come correttamente osservato dal
Tribunale, dalla piana lettura della frase evidenziata dal ricorrente rE il numero
che conviene quello fisso di una di famiglia di (pazzo)”] si evince che Rao diceva
a Pisano di dare il numero di un’utenza fissa non del “pazzo”, cioè di Pesce
5

Pisano era al momento detenuto per narcotraffico) e vicini ad ambienti di

Vincenzo, bensì di “una (o uno) di famiglia”, id est di un sodale presente al
momento in Sud America.

2.3. Alcuna violazione di legge né vizio logico può dunque rinvenirsi nell’iter
argomentativo seguito dal Tribunale del riesame reggino laddove ha fondato il
giudizio di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione di Pisano Francesco
all’associazione mafiosa de qua sulla base delle emergenze intercettive sopra
delineate.

extragiudiziale di entrambi gli interlocutori quanto alla comune adesione alla
societas sceleris,

che, per chiarezza ed univocità dei contenuti ed assenza di

motivi per ritenere che si trattasse di scambi verbali ioci causa

peraltro

neanche prospettata dalla difesa -, dunque giusta la rispondenza ai parametri di
gravità, precisione e concordanza, non abbisognano di riscontri esterni.
Come affermato da questa Corte, gli indizi raccolti nel corso delle
intercettazioni telefoniche costituiscono infatti fonte diretta di prova della
colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in
altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle
obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non
generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c)
concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi
certi (Cass. Sez. 6 sentenza n. 3882 del 4.11.2011, Rv. 251527; Sez. 6 n. 3882
del 4.11.2011, Rv. 251527; Sez. 1, n. 40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv.
257398).

3. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà curare gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2014
Il consigliere estensor

Il Presidente

Le frasi captate sostanziano, a tutti gli effetti, una confessione

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