Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30868 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 30868 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

Data Udienza: 09/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAO ROSARIO N. IL 26/11/1981
avverso l’ordinanza n. 1208/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 13/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 13 dicembre 2013, il Tribunale del riesame di Reggio
Calabria ha confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare della
custodia in carcere nei confronti di Rao Rosario emessa dal Gip presso il
Tribunale della stessa città del 26 novembre 2013, in relazione al reato di cui agli
artt. 416 bis cod. pen., con il ruolo di organizzatore incaricato di reperire armi,
dare supporto nelle azioni omicidiarie e nello spaccio di stupefacenti, dal 7

1 L. n. 110/1975 e 7 L. n. 203/1991, per avere detenuto vario munizionamento
per un kalashnikov, commesso 1’11 giugno 2013 (capo D); al reato di cui agli
artt. 10 L. n. 497/1974, 1 L. n. 110/1975 e 7 L. n. 203/1991, per avere detenuto
un kalashnikov, commesso 1’11 giugno 2013 (capo E) e al reato di cui agli artt.
81 cpv cod. pen., 9, 10, 12 L. n. 497/1974, 1 L. n. 110/1975 e 7 L. n. 203/1991,
per avere detenuto una pistola semiautomatica Glock ed una pistola automatica
UZI, commessi il 17 giugno 2013 (capo F).
Dopo avere dato atto degli elementi sulla base dei quali può essere
affermata l’esistenza della cosca Pesce nel territorio di Rosarno, il Tribunale del
riesame ha passato in rassegna gli specifici elementi indiziari a fondamento delle
diverse contestazioni a carico di Rao Rosario. Il Collegio ha rimarcato come, sulla
base delle risultanze delle indagini, non sussista alcun dubbio quanto alla
identificazione del ricorrente quale soggetto utilizzatore del nickname “Niki” e
come l’intraneità di Rao nel contesto mafioso rosarnese sia confermata dalle sue
abituali frequentazioni con esponenti o continui alla cosca Pesce nonché dal
contenuto della conversazione telematica del 14 giugno 2013 con Pisano
Francesco, avente nickname “Sobrino”, dimostrativa della comune appartenenza
dei due interlocutori alla consorteria di Pesce Vincenzo detto “u pacciu”, cioè il
pazzo (“siamo tutta una famiglia”, “quella del pazzo”). Il Tribunale ha quindi
esaminato il tenore delle captazioni con riguardo alle incolpazioni inerenti le
armi; ha ritenuto fondata l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/1991 e
sussistenti tutte le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., stimate
fronteggiabili con la sola custodia in carcere, anche avuto riguardo alla
presunzione ex lege di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., mancando
elementi indicativi dell’avvenuta rescissione del vincolo associativo.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Gregorio Cacciola,
difensore di fiducia di Rao Rosario (poi dismesso), chiedendone l’annullamento
per i seguenti motivi:

2

giugno 2013 in permanenza (capo A); al reato di cui agli artt. 10 L. n. 497/1974,

2.1. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e
violazione di norma processuale di cui all’art. 273 cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce, in primo luogo, l’incertezza della identificazione del
proprio assistito quale utilizzatore del soggetto avente nickname “Niki”, in
considerazione della non univocità dell’esito del controllo del 25 giugno 2013 e
della sporadicità dei contatti fra Rao Rosario e Pisano Francesco. In secondo
luogo, evidenzia la mancanza di elementi per affermare l’intraneità dell’assistito
nella cosca Pesce, visti: la risalenza e l’esiguità dei rapporti con personaggi legati

Pesce Vincenzo, detto “u pacciu”; l’inconsistenza della conversazione del 14
giugno 2013 fra “Niki” e “Sobrino” , ammesso che possa attribuirsi a Rao
Rosario e Pisano Francesco; il fatto che Tribunale di Sorveglianza nel 2010 ed il
Tribunale per le Misure di Prevenzione di Reggio Calabria nel 2011 hanno escluso
che Rao Rosario sia collegato ad ambienti di criminalità organizzata; la
circostanza che il Gip abbia ritenuto insussistenti i presupposti della
partecipazione di Rao Rosario al reato di omicidio tentato di cui al capo B), a
conferma dell’estraneità dell’assistito alla consorteria criminale.
In relazione alle ulteriori imputazioni provvisorie, il ricorrente evidenzia,
quanto al reato di cui al capo D), che, a fronte della richiesta di “colpi”, cioè di
munizioni, nel corso della chat fra “Niki” e “Tupac” dell’Il giugno 2013, manca
qualunque riscontro investigativo del successivo scambio. Quanto al capo E), che
dal tenore della conversazione non può trarsi la prova della detenzione illegale
del kalashnikov da parte di Rao, laddove le perquisizioni domiciliari hanno dato
tutte esito negativo. Quanto al capo F), che le conversazioni fra “Niki” e Tupac”
sono difficilmente intellegibili, i dialoghi dimostrano la scarsa dimestichezza dei
due interlocutori con le armi e manca qualunque indizio che alla richiesta abbia
fatto seguito la consegna, in ogni caso di una sola arma.

3.

Nei nuovi motivi depositati in Cancelleria di questa Corte, l’avv.

Alessandro Cassiani, difensore di fiducia di Rao Rosario ha chiesto l’annullamento
dell’ordinanza impugnata, per i seguenti motivi:
3.1. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli
artt. 111 Cost., 125 e 273 cod. proc. pen., avendo il Tribunale desunto la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sulla base delle risultanze delle
conversazioni telematiche relative al soggetto avente nickname “Niki”,
apoditticamente identificato in Rao Rosario.
3.2. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli
artt. 273 e 192 comma 2 cod. proc. pen. e contraddittorietà e illogicità della
motivazione, avendo il Tribunale desunto la sussistenza dei gravi indizi sulla base

3

o contigui alla cosca; l’assenza di prova che Rao abbia mai incontrato lo zio

di una valutazione delle intercettazioni superficiale ed affetta da profondi
pregiudizi, derivanti dai rapporti di parentela dell’assistito con alcuni
appartenenti alla cosca Pesce. Il ricorrente contesta inoltre la rilevanza indiziaria
sia del controllo compiuto dalla G.d.F. il 25 giugno 2013, sia della comunicazione
telematica del 14 giugno 2013 intercorsa fra “Niki” e “Sobrino”, ponendo in luce
la sporadicità dei rapporti di Rao con altri soggetti della cosca Pesce.
3.3. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen, in relazione all’art.
416 bis comma 2 cod. pen. e contraddittorietà e illogicità della motivazione, in

4. Nei nuovi motivi, l’avv. Guido Contestabile, difensore di Rao Rosario ha
chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, per i seguenti motivi:
4.1. Violazione ed erronea applicazione della legge con specifico riferimento
agli artt. 273, 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen., 416 bis cod. pen., 9, 10 e 12
L. n. 497/1974, 1 L. n. 110/1975 e 7 D.L.n. 152/1991.
Si duole il ricorrente della insanabile incertezza della identificazione del
conversante avente nickname “Niki” nell’assistito, atteso che il controllo
compiuto nei pressi dello svincolo di Rosarno – effettuato il 25 giugno 2013 dopo
la conversazione del giorno precedente – con l’identificazione a bordo dell’auto di
Rao Rosario, Arena Biagio e Catanzaro Giuseppe, non può ritenersi
univocamente dimostrativo del fatto che essi fossero diretti a Cosenza, né che
“Niki” si identifichi nell’assistito, potendo individuarsi in Catanzaro Giuseppe.
Fra l’altro, dalla conversazione emerge che “Niki” sarebbe passato a prendere
Arena, circostanza confutata dal fatto che Rao non si trovava alla guida del
mezzo, ma al lato guida.
Con riguardo alle conversazioni telematiche del 14 giugno 2013 fra “Niki” ed
il soggetto identificato dagli inquirenti in Pisano Francesco, il ricorrente ha
evidenziato come quest’ultimo fosse detenuto in carcere in Uruguay, il che rende
implausibile che potesse interloquire al telefono. In ogni caso, i giudici della
cautela hanno omesso di evidenziare gli elementi sulla base dei quali si possa
ritenere che “Niki” e “Sobrino” parlassero di un gruppo criminale di stampo
mafioso e, nello specifico, della cosca Pesce di Rosarno.
Il ricorrente eccepisce la genericità e l’illogicità delle conclusioni del tribunale
laddove ha desunto la disponibilità in capo a “Niki” di un’arma dalla foto di una
pistola e l’assenza di motivazione sia quanto alla sussistenza della circostanza
aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/1991, sia quanto alle esigenze cautelari.

5. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile. I difensori del ricorrente Avv.ti Guido Contestabile e Alessandro
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relazione all’aggravante del ruolo apicale ritenuta sussistente dal Tribunale.

Cassiani – dopo avere dato atto del fatto che l’Avv. Gregorio Cacciola, che ha
presentato il ricorso, ha cessato di esercitare – hanno insistito per l’accoglimento
del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare, deve essere rilevato che, come anche dato atto dagli

difensore di Rao Rosario che ha presentato il ricorso – ha cessato di esercitare
successivamente alla presentazione dell’atto di impugnazione, di tal che, per un
verso, il ricorso deve ritenersi validamente proposto; per altro verso, devono
ritenersi ammissibili i motivi nuovi presentati dall’Avv. Gennaro Cassiani, in
quanto secondo (e non terzo) difensore dell’indagato.

2. Tanto premesso, i ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
Nei tre atti di ricorso vengono nella sostanza dedotte le medesime
doglianze. Si contestano, infatti, la violazione di legge ed il vizio di motivazione
in relazione sia alla identificazione in Rao Rosario del soggetto avente nickname
“Niki” nella conversazione telematica del 14 giugno 2013, sia alla integrazione
dei gravi indizi di colpevolezza con riguardo a tutte le imputazioni provvisorie
poste a base del provvedimento cautelare. Oltre a tali motivi comuni, l’avv.
Alessandro Cassiani deduce il difetto di motivazione in ordine al ruolo apicale
contestato a Rao Rosario, mentre l’avv. Guido Contestabile eccepisce l’assenza di
motivazione sia quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 7 L. n. 203/1991, sia quanto alle esigenze cautelari.

1.1. Con il primo profilo di doglianza concernente la dedotta erroneità della
identificazione del proprio assistito nel soggetto utilizzatore del nickname “Niki”,
giova evidenziare come i giudici della cautela abbiano ritenuto provato – se non
in modo certo, in termini di gravità indiziaria – che il ricorrente si identifichi nel
soggetto avente il nickname “Niki”. A conforto di tale conclusione hanno, in
primo luogo, indicato le risultanze indagini di natura tecnica compiute dalla P.G.
(confluite nella informativa ROS di Reggio Calabria del 4 ottobre 2013); in
secondo luogo, la circostanza che, da diversi sms captati, è emerso che il
soggetto con il nickname “Niki” interloquiva con un soggetto avente nickname
“Sobrino” detenuto in Uruguay per traffico di stupefacenti ed identificato, grazie
anche alle notizie assunte all’estero dagli inquirenti, in Pisano Francesco, ivi
detenuto per narcotraffico all’epoca dei fatti; in terzo luogo, il fatto che

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Avv.ti Guido Contestabile e Alessandro Cassiani, l’Avv. Gregorio Cacciola –

l’identificazione di Rao Rosario nel soggetto avente il nickname “Niki” è
confermata dal controllo compiuto dalla P.G. il 25 giugno 2013, scaturito proprio
dal contenuto delle comunicazioni telematiche con altra soggetto avente
nickname “Tupac” (identificato nel cugino Arena Biagio).
La valutazione compiuta sul punto dai giudici della cautela risulta
condivisibile, in quanto si fonda sull’apprezzamento unitario e globale degli
elementi raccolti nelle investigazioni che, con una motivazione adeguata e
conforme ai parametri normativi ed alla logica, si sono ritenuti integrare un

Né, d’altra parte, la correttezza della identificazione può essere smentita come assume il ricorrente -, dal fatto che Pisano, essendo detenuto in carcere in
Uruguay, non avrebbe potuto comunicare con l’esterno mediante il telefono
Blackberry. A tale riguardo va, invero, rilevato, da un lato, come non possa
essere escluso che Pisano, seppur detenuto, avesse a disposizione un
apparecchio telefonico mobile, per essere stato autorizzato dalla Direzione
dell’istituto a tenerlo o, semplicemente, per averlo recato abusivamente con sé;
dall’altro lato e sopratutto, risulta pacifico – per quanto appunto si evince dal
tenore delle comunicazioni telematiche captate – che il soggetto avente
nickname “Sobrino” asseritamente detenuto in carcere in Uruguay aveva con sé
un telefono con il quale comunicava verso l’esterno, il che prova per tabulas che
all’interno del carcere uruguaiano era possibile introdurre ed utilizzare – previa
autorizzazione piuttosto che illegalmente – un apparecchio mobile.

1.2. Sotto un diverso aspetto, il ricorrente contesta la valenza dimostrativa
delle espressioni utilizzate nelle conversazioni telematiche del 14 giugno 2013 ai
fini della prova della comune partecipazione dell’assistito e del soggetto avente
nickname “Sobrino”, identificato in Pisano Francesco, alla famiglia mafiosa di
Pesce Vincenzo.
In via del tutto preliminare, mette conto rilevare come, con tale doglianza, il
ricorrente nella sostanza proponga una diversa lettura delle emergenze
processuali, segnatamente dei dialoghi telematici intercorsi, dunque una
rivalutazione delle risultanze di fatto, preclusa in sede di legittimità.
D’altra parte, le illogicità interpretative poste in luce dal ricorrente si
fondano, all’evidenza, su di un’analisi frazionata e decontestualizzata delle
singole proposizioni, estrapolate dalla cornice complessiva dell’interlocuzione, in
una chiara prospettiva di svilirne il significato.
Il Gip ed il Tribunale hanno esposto – con una motivazione ampia ed
adeguata sotto il profilo logico argomentativo – le ragioni per le quali dal
contenuto degli sms intercettati fra Pisano e Rao si debbano ritenere provati
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quadro indiziario grave in ordine alla identificazione dell’indagato.

(almeno nei termini di cui all’art. 273 cod. proc. pen.) il loro coinvolgimento nella
gestione di un affare illecito in Sudamerica gestito con la “copertura” del clan
mafioso Pesce di Rosario nonchè la comune appartenenza dei soggetti
intercettati a tale cosca.
Eloquenti, ed insuscettibili di plausibili letture alternative, sono invero le
frasi intercettate nella conversazione del 14 giugno 2013 nella quale Rao dava
indicazioni a Pisano su cosa dire ad una terza persona, che evidentemente aveva
bisogno di “garanzie” sulla serietà dell’organizzazione con la quale si stava

una famiglia”, “quella del pazzo”, espressioni nelle quali correttamente i giudici
del provvedimento impugnato hanno ritenuto doversi leggere la partecipazione di
entrambi gli interlocutori al clan Pesce.
Risponde invero all’id

quod plerumque accidit che, con l’espressione

“famiglia”, si intenda appunto una consorteria mafiosa. Ciò vale tanto più
laddove tale termine sia utilizzato da soggetti pregiudicati (si pensi solo che
Pisano era al momento detenuto per narcotraffico) e vicini ad ambienti di
malavita organizzata (Rao è imparentato con Pesce Vincenzo detto appunto “u
pacciu”).
Tale lettura risulta del resto confermata dalla frase icastica di Rao “chi
decide sono io” (“Tu gli devi dire che il mulo e primo del capo che dove lo
mandiamo va che chi decide sono io”), che chiaramente sottende all’esistenza di
una struttura gerarchicamente ordinata ed al proprio ruolo apicale, inconciliabile
con un contesto meramente parentale. Ancora, il chiaro riferimento alla
“copertura” della organizzazione fatto da Pisano (“Si tranquillo nn ti preocc io gli
o detto e facciamo parte di una fam nn gli o detto quale e gli o detto un po’
come funzione che siamo sempre coperti”) allude evidentemente a qualcosa di
diverso dalla mera solidarietà familiare.
Adeguata e conforme alle emergenze di fatto e alle regole della logica è
inoltre la conclusione dei giudici della cautela secondo cui la “famiglia” cui i due
interlocutori facevano riferimento nella conversazione fosse quella di Pesce
Vincenzo cl. 59.
Il Gip ed il Tribunale del riesame hanno evidenziato che, secondo quanto
accertato anche in altri procedimenti, il capo cosca Pesce Vincenzo viene
notoriamente indicato con il soprannome di “u pacciu”, ovvero il pazzo, e che le
indagini hanno documentato abituali frequentazioni di Rao Rosario con numerosi
personaggi affiliati o contigui alla cosca Pesce, fra i quali Giovinazzo Francesco,
affiliato alla cosca Pesce e legato sentimentalmente a Pesce Carmelina, figlia del
boss defunto Pesce Giuseppe, e Messina Rocco, nipote del boss Pesce Vincenzo

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trattando un affare dai contorni illeciti, e raccomandava di dire che “siamo tutta

detto “u pacciu”, e con Pisano Francesco (come dato atto nelle pagine 32 e
seguenti del provvedimento impugnato).
Né la validità della conclusione risulta smentita dal fatto – evidenziato dal
ricorrente – che Pesce Vincenzo non si trovasse al momento in Uruguay come
sembrerebbe emergere dalla conversazione. Come correttamente osservato dal
Tribunale, dalla piana lettura della frase evidenziata dal ricorrente [“E il numero
che conviene quello fisso di una di famiglia di (pazzo)”] si evince che Rao diceva
a Pisano di dare il numero di un’utenza fissa non del “pazzo”, cioè di Pesce

momento in Sud America.

1.3.

Correttamente il Tribunale ha confermato la validità della

identificazione del ricorrente alla luce del contenuto delle conversazioni captate il
24 giugno 2013 [nelle quali “Niki” – Rao diceva al soggetto avente nickname
“Tupac” che sarebbe passato a prenderlo (“doman mattina devo andare a cs che
fai vieni con me”, “più tardi ti dico a che ora passo a prenderti”; cfr. pagg. 30 e
ss della ordinanza impugnata] e del controllo compiuto, il giorno seguente, di
Rao Rosario, Arena Biagio e Catanzaro Giuseppe a bordo di un’auto, sullo
svincolo di Rosarno.
Condivisibile – in quanto conforme a logica e massime di comune esperienza
– è invero la regola inferenziale applicata dai giudici del merito cautelare laddove
hanno evidenziato la stretta relazione intercorrente fra l’appuntamento preso il
24 giugno fra “Nick” e “Tupac” – secondo cui il primo sarebbe passato a
prendere l’altro per andare a Cosenza – ed il controllo di Rao Rosario alla guida
dell’auto in compagnia di Arena Biagio e Catanzaro Giuseppe, proprio lungo il
percorso verso Cosenza.
La circostanza che a bordo dell’auto viaggiassero tre soggetti anziché due,
valorizzata dalla difesa per confutare la correttezza del riconoscimento, risulta
invece irrilevante, essendo pacifico – sulla scorta delle emergenze delle
captazioni – che il soggetto avente nickname “Niki” dovesse passare a prendere
il soggetto avente nickname “Tupac”, sicchè del tutto ragionevolmente il
Tribunale ha ritenuto di identificare “Niki” in Rao Rosario, che appunto si trovava
alla guida del mezzo ed era evidentemente passato a prendere l’altro.

1.4. Sulla scorta delle evidenze obbiettive sopra delineate, l’identificazione
del soggetto nei confronti del quale si procede risulta sufficientemente precisa e
tranquillizzante.
Alcuna violazione di legge né vizio logico può dunque rinvenirsi nell’iter
argomentativo seguito dal Tribunale del riesame reggino laddove ha fondato il
8

Vincenzo, bensì di “una (o uno) di famiglia”, id est di un sodale presente al

giudizio di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione di Rao Rosario
all’associazione mafiosa de qua sulla base delle emergenze intercettive sopra
delineate.
Le frasi captate nella conversazione del 14 giugno 2013 sostanziano, a tutti
gli effetti, una confessione extragiudiziale di Rao e Pisano quanto alla comune
adesione alla societas sceleris, che, per chiarezza ed univocità dei contenuti ed
assenza di motivi per ritenere che si trattasse di scambi verbali ‘od causa peraltro neanche prospettata dalla difesa -, dunque giusta la rispondenza ai

esterni.
Come affermato da questa Corte, gli indizi raccolti nel corso delle
intercettazioni telefoniche costituiscono infatti fonte diretta di prova della
colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in
altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle
obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non
generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c)
concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi
certi (Cass. Sez. 6 sentenza n. 3882 del 4.11.2011, Rv. 251527; Sez. 6 n. 3882
del 4.11.2011, Rv. 251527; Sez. 1, n. 40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv.
257398).
In ogni caso, a conforto di tale conclusione, il Tribunale del riesame ha
valorizzato le abituali frequentazioni di Rao Rosario con numerosi personaggi
affiliati o contigui alla cosca Pesce, fra i quali Giovinazzo Francesco, affiliato alla
cosca Pesce e legato sentimentalmente a Pesce Carmelina, figlia del boss
defunto Pesce Giuseppe, e Messina Rocco, nipote del boss Pesce Vincenzo detto
“u pacciu”.
Altrettanto correttamente il Collegio ha posto in risalto la circostanza che
Rao Rosario avesse procurato un mezzo (una moto) ai fini del compimento degli
agguati omicidiari di cui al capo B) –

pur ritenuta inidonea dal Gip a fondare

l’imputazione provvisoria de qua (in quanto successivo agli accertati agguati) -,
quale condotta obbiettivamente dimostrativa del collegamento intimo esistente
tra Rao e gli altri affiliati della cosca e della sua disponibilità dell’indagato ad
attivarsi al fine della realizzazione dei delitti scopo dell’associazione.
Il ruolo apicale ricoperto da Rao risulta essere stato correttamente evinto
dai giudici della cautela sulla base del tenore dello scambio captato il 14 giugno
2013 (“chi decide sono io”) e non smentito – ma anzi corroborato – dalla
circostanza che egli non avesse rapporti con Cannatà Vincenzo, ma solo con il
cugino Arena, in quanto in posizione sovraordinata rispetto agli esecutori
materiali dei gravi reati programmati dall’organizzazione criminale.
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parametri di gravità, precisione e concordanza, non abbisognano di riscontri

2. Con riguardo ai reati di cui ai capi D), E) ed F), il ricorrente lamenta
l’assenza di riscontri investigativi quanto all’effettivo scambio delle munizioni ed
alla concreta detenzione e cessione delle armi, in ogni caso non rinvenute in
occasione delle perquisizioni domiciliari, tutte con esito negativo.
Sotto un primo profilo deve essere rilevato come, con tali doglianze, il
ricorrente proponga rilievi di natura squisitamente di merito, volti a sollecitare
una diversa valutazione delle risultanze delle captazioni, preclusa in questa fase

2.1. D’altra parte, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, il
Tribunale ha puntualmente riportato i passi rilevanti delle intercettazioni dell’Il
giugno 2013 (da cui emerge che Rao chiedeva a Arena “mi devi dare pomeriggio
quando ci vediamo i colpi del kal”; Arena chiedeva “Ma ti e succ qualche cosa per
volere i colpi” e poi faceva espresso riferimento a “quella pis”, “Ce I avevano
quella pist che ti o detto io”, “ai detto che andavi a prendere le arm”, “ok ci
vediamo domani cosi ti do la rimanenza e quelle cose”) e dato conto, con
argomentazioni diffuse e conformi a logica, delle ragioni per le quali si debba
ritenere che i due indagati avessero a disposizioni le munizioni per il kalashnikov
(“kal”) e le armi (“pis”, “le arm”). In particolare, i giudici della cautela hanno
evidenziato come le munizioni debbano ritenersi oggetto di comune detenzione
fra gli indagati, come palesato dal tenore della richiesta di Rao del
munizionamento (“mi devi dare i colpi del kal”) e della risposta data da Arena
(“Ma ti e succ qualche cosa per volere i colpi”), interlocuzione che – come
correttamente argomentato – presuppone piena disponibilità delle munizioni da
parte del ricorrente.
Ed invero, secondo i principi espressi da questa Corte, in materia di reati
concernenti le armi, il concorso in detenzione illegale di armi è configurabile
allorchè ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale dell’arma e si
trovi, cioè, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi
momento, disporne (Cass. Sez. 1, n. 45940 del 15/11/2011, Benavoli, Rv.
251585). Situazione appunto correttamente ravvisata nella specie dai giudici del
provvedimento impugnato.
Il che, come anche concluso dal Tribunale, consente di superare l’obiezione
difensiva secondo la quale mancherebbe prova di un’effettiva consegna delle
munizioni. E’ invece del tutto irrilevante ai fini della integrazione della fattispecie
la ragione per la quale Rao richiedesse il munizionamento.

10

dalle funzioni di legittimità.

.

2.2. Al pari immune da vizi logici è la motivazione dell’ordinanza in relazione
al reato di cui al capo E), laddove l’eloquente tenore delle conversazioni captate,
chiaramente presuppone la disponibilità da parte di Rao del kalashnikov, di cui
egli richiedeva appunto il munizionamento.
D’altra parte, la circostanza che le perquisizioni domiciliari abbiano dato
esito negativo non esclude che, all’epoca delle captazioni, Rao avesse la
materiale disponibilità dell’arma che, in ogni caso, poteva essere detenuta in
altro luogo rimasto ignoto agli inquirenti.

2.3.

Parimenti infondate sono le doglianze concernenti l’apparato

argomentativo a sostegno della imputazione provvisoria di cui al capo F).
Il Tribunale ha evidenziato come l’eloquente contenuto dei dialoghi captati il
17 giugno 2013 (“c e quella a spara a mitr”, “ma questa e non e la cloc”, “ce
anche il guz che mi ai fatto vedere”, “prendo meglio quel guz”, “me lo cedi”, “allo
no qella a raff”) palesi la disponibilità di Rao di due armi, una semiautomatica
marca Glock (“clok”) ed un’arma automatica (“a raff”). Ad ulteriore conforto di
tale disponibilità, il Collegio ha valorizzato la circostanza che Rao inviasse le
fotografie ad Arena delle pistole affinchè effettuasse una scelta avveduta:
l’inoltro delle immagini avveniva proprio nel corso della chat, così come
dimostrato dal fatto che in entrambe le foto potevano vedersi gambe e piedi del
soggetto nonché il materiale per la pulizia delle armi, circostanza che – come
correttamente rilevato dai giudici della cautela – conferma

per tabulas la

disponibilità delle pistole.
Il Tribunale ha dunque esposto, con una motivazione, adeguata e
totalmente immune da censure, le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il
requisito di gravità indiziaria quanto alla detenzione da parte di Rao delle armi
oggetto di incolpazione.

3.

Ineccepibile è il corredo argomentativo a sostegno della ritenuta

integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/1991.
La contestazione dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991,
sotto il profilo della finalità di agevolazione mafiosa e della modalità mafiose,
risulta infatti corretta dal momento che, nella specie, la detenzione delle micidiali
munizioni ed armi da guerra era volta a consentire l’esplicazione effettiva della
forza di intimidazione e vessazione nel contesto di riferimento da parte della
cosca di appartenenza unitamente alla realizzazione dei singoli delitti fine, aventi
sempre quale fine parallelo l’imposizione di tale condizione di soggezione e di
dominio nei confronti della generalità dei consociati.

11

,.

4.

Infine, palesemente infondato è il motivo di ricorso concernente le

esigenze cautelari.
Per un verso, le deduzioni difensive si appalesano del tutto generiche,
laddove il ricorrente si limita a riportare la giurisprudenza costituzionale e di
legittimità in punto presunzione ex art. 275 comma 3 cod. proc. pen.; per altro
verso, il Tribunale ha richiamato detta presunzione soltanto in relazione al reato
sub capo A), dando altresì atto della insussistenza di elementi per ritenere
superabile detta presunzione, ed ha poi argomentato – con motivazione

preicula libertatis di cui all’art. 274 cod. proc. pen. con riguardo alle restanti
incolpazioni cautelari.

5. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà curare gli adempimenti di cui all’art. 94 comma

1 ter

disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2014

Il consigliere estensore

I Presiden e

adeguata ed immune da vizi logici – in ordine alla sussistenza di ciascuna dei

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