Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30864 del 08/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 30864 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

ha pronunciato la seguente

Data Udienza: 08/04/2014

N. 7388/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA
Nei confronti di
LYTVYNYUK ANATOLY ANATOLYOVYCH n. 20/11/1979
avverso la sentenza 8/2013 del 21/11/2013 della CORTE DI APPELLO DI
VENEZIA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VITO D’AMBROSIO che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv. MARCO ANTONIO DAL BEN che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO
La Repubblica di Ucraina ha richiesto in estradizione Lytvynyuk Anatoly
Anatolyovych in quanto ricercato in base ad un mandato di cattura del 30.5.2011
per avere commesso una rapina in Polonia il 9.5.2000 entrando in una casa di
abitazione ed esercitando violenza sulle cose nonché nei confronti delle persone
ivi abitanti.
La Corte di Appello di Venezia con una prima sentenza del 28 novembre
2011 riteneva che non sussistessero le condizioni per l’estradizione affermando
che si trattava di reato prescritto anche secondo la legge Ucraina; tale sentenza,
sul ricorso del procuratore generale, veniva annullata da questa Corte.
La medesima Corte di Appello, in sede di rinvio, con sentenza del 26 ottobre
2012 riteneva che non sussistessero le condizioni per l’estradizione in quanto,
pur dando atto che il reato non era prescritto, dagli atti non risultavano gli indizi

6.

di colpevolezza. Anche tale sentenza veniva annullata dalla Corte di Cassazione
su ricorso del procuratore generale per l’erronea applicazione dei principi in tema
di valutazione di competenza della AG italiana in ordine alla fondatezza dei fatti
per i quali è richiesta l’estradizione laddove, come nel caso di specie, sia
applicabile la Convenzione Europea di Estradizione.
La Corte di Appello di Venezia, in sede di rinvio, con sentenza del 4
dicembre 2013, confermava la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza,
escludeva la prescrizione del reato ed escludeva, in risposta alla specifica

reato da cittadino ucraino in territorio polacco. Rigettava però la richiesta di
estradizione sul presupposto della sussistenza della condizione ostativa di cui
all’art. 705 2° comma cod. proc. pen. in quanto vi era motivo di ritenere che
l’estradando possa essere sottoposto, se consegnato allo Stato richiedente,

a

“pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che
configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona” ( art. 698 1°
comma richiamato dall’ art. 705 c.p.p.)”.
La Corte rammentava come al fine di applicazione delle predette norme
“vengono in rilievo sia situazioni che derivano da opzioni compiute dallo Stato a
livello legislativo od amministrativo sia meramente di fatto, ma con
caratteristiche tali da far ritenere che non si tratti di episodi isolati, frutto del
comportamento di singoli, bensì della espressione di un orientamento operativo
diffuso.”.

Escludeva, però, che, in ragione della adesione della Ucraina al

Consiglio di Europa, alla convenzione Cedu ed alla relativa giurisdizione Cedu, ed
alla Convenzione Europea di estradizione, possa sostenersi che vi sia una
previsione legislativa dell’ordinamento ucraino di trattamenti lesivi nel senso
anzidetto.
La Corte di merito invece riteneva che la documentazione prodotta dalla
difesa dimostri che in Ucraina si realizza in modo sistematico la violazione dei
diritti fondamentali della persona con riferimento:
– alla protrazione per tempi assai estesi della custodia cautelare in carcere;
alla carenza di assistenza medica in carcere; a torture e maltrattamenti durante
la detenzione in carcere; alle insufficienti garanzie di indipendenza della
magistratura; alle violenze da parte della forze di polizia; alle degradanti
condizioni di vita in carcere.
Tali situazioni erano desunte da relazioni della ong Amnesty International
nonché da note e/o dichiarazioni della ong Vinnitsa, del direttore della
associazione Unione Ucraina Helsinki per í diritti umani nonché dalla

2

eccezione della difesa, che sussistesse preclusione per essere stato commesso il

testimonianza del cittadino ucraino espatriato Fedosov raccolta dal difensore in
sede di investigazioni difensive.
A tali dati “documentali” la Corte aggiungeva osservazioni che traeva dalla
considerazione del dato statistico delle condanne dell’Ucraina da parte della
Cedu: nel 2013 in quattordici casi per violazione dell’art. 3, in cinque casi per
violazione dell’art. 6, in quattro casi per la violazione dell’art. 2. Considerava
inoltre significativa la vicenda Tymoshenko, acquisita quale “notoria”: per tale
caso la Corte Europea ha ritenuto la violazione dell’art. 5 sotto il profilo della

indeterminato.
Dal complesso di tali elementi la Corte ha tratto la conclusione che vi sia
motivo di ritenere che Lytvyniuk Anatoly, se consegnato alla Ucraina, verrebbe a
essere sottoposto ad atti configuranti violazione dei diritti fondamentali della
persona.
Contro tale sentenza il procuratore generale della Repubblica presso la Corte
di Appello di Venezia ha presentato ricorso con il quale deduce un unico motivo
di violazione di legge in riferimento agli artt. 698 1° comma nonché 705 2°
comma cod. proc. pen. .
Il PG affronta analiticamente le singole “prove” presentate dalla difesa e
valorizzate dalla Corte di Appello per il rifiuto della consegna, dando variamente
atto che le stesse sono riferibili a singoli casi e comunque sono inaffidabili e
generiche. Peraltro dalle stesse emergeva che, in linea generale, i casi segnalati
erano quelli in cui, a fronte di abusi della polizia, vi era stato il regolare
intervento repressivo della magistratura, che dagli stessi atti risulta comunque il
miglioramento delle condizioni detentive considerate dalla Corte di Appello
inadeguate, che dalla stessa intervista di un giudice Ucraino della Corte Edu,
valorizzata tra il materiale fondante le condizioni del diniego di consegna, risulta
che il tasso di violazioni accertate dalla Corte Edu non è dissimile da quella degli
altri Stati.
Quanto alla relazione del 17.6.2013 dell’avv. Eugenia Zakrevska, atto che
riferisce della specifica posizione del Lytvynyuk, questa è stata redatta dal suo
legale ucraino incaricato di proporre la revisione del suo caso giudiziario: peraltro
è giocoforza riconoscere che da essa non si ricava assolutamente nulla di
concreto per poter desumere che l’estradando verrebbe sottoposto a trattamenti
configuranti violazione dei diritti fondamentali della persona.
Il PG rileva come anche altre valutazioni della sentenza impugnata siano
solo suggestive:

3

sottoposizione della predetta a custodia in carcere illegale ed a tempo

- la notazione sul numero di condanne dell’Ucraina innanzi alla Corte Cedu
è un dato equivoco perché sia il dato assoluto che in percentuale rispetto alla
popolazione è nettamente inferiore ai casi di condanna dell’Italia.

– “alla citazione, che compare nella gravata decisione (cfr. pag. 17), del
noto caso Tymoshenko, è agevole replicare non solo con l’affermazione
(provocatoria, ma indubitabilmente esatta) per cui anche in Italia si è verificato il
caso di un ex premier recentemente condannato il quale va dichiarando ovunque
d’essere stato sottoposto ad un processo che non ne ha rispettato í diritti
inciso negativamente, per ora, sull’accoglimento delle estradizioni attive italiane
-; ma anche con l’affermazione (a sua volta indubitabilmente esatta) che è del
tutto irragionevole proporre un affrettato parallelismo fra il controverso caso
giudiziario di Yuliya Tymoshenko e la situazione del Lytvynyuk, essendo
quest’ultimo perseguito per un reato comune quale la rapina in abitazione, del
tutto scevro da implicazioni e connotazioni politiche e/o etniche e/o religiose, per
il quale possa astrattamente ipotizzarsi una qualsivoglia ragione a che gli organi
dello Stato ucraino adottino un atteggiamento repressivo o discriminatorio”.
Il difensore di Lytvynyuk Anatoly Anatolyovych ha presentato memoria.
Rileva anzitutto che non debbano affatto ritenersi superate, come afferma la
sentenza impugnata, le questioni in tema di indizi, prescrizione e perseguibilità
del reato commesso in territorio diverso da quello dello Stato richiedente
l’estradizione. Quanto al motivo specifico del procuratore generale, insiste nelle
proprie deduzioni accolte dalla Corte, afferma la irrilevanza delle precedenti
decisioni della Corte di Cassazione favorevoli alle richieste di estradizione
provenienti dall’ Ucraina in quanto, in presenza di una situazione in cui l’onere
della prova è a carico del soggetto estradando, il risultato è condizionato dal suo
impegno a difendersi; ciò, quindi, giustifica i precedenti favorevoli allo stato
richiedente.
Inoltre, fa notare il difensore che, dal contenuto degli atti della AG Ucraina,
risulta già stabilito che il ricorrente venga destinato ad uno specifico
penitenziario espressamente ritenuto inadeguato al rispetto dei diritti della
persona; espone, infine, ulteriori argomenti a sostegno della portata della
documentazione depositata.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata ha risolto delle questioni a monte, in senso negativo
per la persona da estradare, ritenendo in teoria sussistenti le condizioni per la
estradizione ma rilevando quale causa ostativa il rischio di sottoposizione a
4

fondamentali – e non sembra che tale ripetuta gravissima dichiarazione abbia

trattamenti detentivi non rispettosi dei diritti fondamentali. E’ quindi certamente
corretta la tesi sostenuta dalla difesa del Lytvynyuklla: la sentenza impugnata
dal pubblico ministero ha risolto in favore dell’estradizione, quindi in termini
negativi per il ricorrente, il tema della sussistenza di una serie di condizioni e,
rispetto a tale decisione, non vi era possibilità di autonoma impugnazione
dell’estradando essendo stata, comunque, negata la consegna. Perciò è corretto
riproporre in questa sede la questione di sussistenza delle condizioni per la
consegna.

infondatezza delle doglianze.
Sul tema della prescrizione del reato per il quale si procede e sulla
sussistenza di un adeguato quadro indiziario innanzitutto si rileva una sostanziale
genericità della memoria difensiva a fronte di argomentazioni specifiche svolte
dalla sentenza impugnata. In ogni caso va considerato che il tema della
prescrizione e degli indizi ed è stata oggetto di valutazione e la decisione
adottata risulta conforme alle indicazioni date da questo giudice di legittimità.
L’unica questione dedotta dalla difesa che non è già stata trattata, e che non
è generica, riguarda la mancanza delle condizioni di estradabilità perché si
procede per un reato che non sarebbe perseguibile secondo la legge italiana.
Osserva la difesa che, in presenza di una richiesta della Ucraina di processare un
cittadino ucraino per un reato commesso in Polonia, debba farsi riferimento
all’art. 10 cod. pen. che prevede l’ipotesi del reato comune commesso dallo
straniero all’estero in danno di cittadino straniero. Tale disposizione prevede che
vi sia richiesta del ministro della Giustizia – che, in questo caso, non vi è stata ovviamente si fa riferimento alla iniziativa del competente organo ucraino.
Tale questione è, invero, del tutto infondata. La norma applicabile è quella
dell’articolo 9 del codice penale in quanto va valutata la applicabilità della
legislazione dello Stato richiesto (l’Italia) ma da una prospettiva che non può che
essere quella dello Stato richiedente (l’Ucraina). La situazione corrispondente è,
quindi, quella del cittadino italiano che abbia commesso un reato comune
all’estero (art. 9 cod. pen.), caso, questo, in cui non vi è alcuna necessità di
richiesta del ministro della giustizia.
Ciò posto si può passare a valutare il problema centrale che, sia in relazione
alla ragione del diniego di consegna che alle ulteriori ragioni rappresentate da
Lytvyniuk con la propria memoria, consiste nell’esservi effettivamente un
ragionevole timore di sottoposizione dell’estradando a trattamenti non rispettosi
dei diritti fondamentali.

5

La decisione su tali deduzioni della difesa è, comunque, nel senso della

Vanno innanzitutto individuate le regole in tema di quale sia il materiale
probatorio che possa essere utilizzato per dimostrare un effettivo rischio di
trattamenti lesivi dei diritti della persona.
Per tale tipo di accertamento vi è indubbiamente una situazione particolare
che rende difficile l’ottenimento di prove dirette. Nel caso, invero raro, di una
legislazione straniera che preveda di per sé trattamenti lesivi dei diritti
fondamentali, il giudizio di competenza della Corte nazionale può essere
effettuato sulla base del solo apprezzamento della normativa straniera; nel caso

interne allo Stato straniero, la raccolta di prove è certamente difficoltosa e,
poiché si tratta di attribuire a condotte sostanzialmente “istituzionali” le ragioni
dei trattamenti non consentiti, non può certo ritenersi del tutto attendibile la
risposta dello Stato richiedente alla eventuale richiesta di informazioni.
Questo comporta la necessità di diverse regole di acquisizione delle prove
delle situazioni rilevanti. Tale esigenza trova risposta pressoché testuale nell’art.
705 cod. proc. pen. che, perché possa disporsi il rigetto della richiesta di
estradizione, non fa riferimento a situazioni “provate” ma chiede che vi sia “…
motivo di ritenere che la persona sarà sottoposta agli atti”.

Si tratta di

disposizione che trova un utile criterio di interpretazione nella corrispondente
previsione dell’art. 18 lett. H della legge 69/2005 (mandato di arresto europeo)
che impone il diniego della consegna in presenza di un “serio pericolo che la
persona… venga sottoposta… ad altre pene o trattamenti”.
La conclusione è che, per motivi sia testuali che logici, non si richiede un
accertamento che corrisponda alla prova certa ed insuperabile delle condizioni in
questione e la indagine per appurare la sussistenza delle condizioni per negare la
consegna non è disciplinata dall’art. 187 cod. proc. pen.

(oggetto della prova)

né dall’art. 189 cod. proc. pen., norma quest’ultima che, nel disciplinare le
prove atipiche, prevede comunque che la prova innominata abbia una capacità di
dimostrazione dei fatti in termini di certezza.
Tale disciplina, quindi, consente di utilizzare delle informazioni “mediate” (e
non “prove”) quali sono le relazioni e le denunzie delle organizzazioni non
governative o degli organismi sovranazionali, ma anche quelle notizie che
possono rientrare nel concetto di “fatto notorio”, le informazioni provenienti da
singoli e così via.
L’accettazione di tali mezzi di acquisizione delle informazioni, ovviamente,
comporta uno sforzo di valutazione e interpretazione di tali fonti, non potendosi
sempre facilmente individuare e valutare la serietà ed adeguatezza della fonte
primaria. Anche una relazione accurata di una organizzazione non governativa
6

in cui vi è, invece, la necessità di accertare circostanze di fatto inerenti a vicende

etc presenta i problemi di una qualsiasi fonte giornalistica: ne andrà certamente
valutata la attendibilità e serietà in ragione della affidabilità
(necessariamente affidata al

soggettiva

“notorio”) della organizzazione stessa e andrà

valutato il suo rilievo in un contesto complessivo che tenga conto della finalità
dell’intervento della data organizzazione. Così come un singolo episodio di
violenza ha un particolare ed accentuato rilievo nei mezzi d’informazione del
giorno rispetto a quelli che curano l’informazione riferita a più ampi periodi, allo
stesso modo il medesimo episodio di violenza ha una diversa centralità nelle

umani con particolare attenzione a quelli dei singoli, rispetto al rilievo che può
avere in una proporzionata e ponderata relazione sullo stato globale delle cose
nella nazione in cui l’episodio avviene.
Quindi, se disponibili, le valutazioni degli organi sovranazionali, siano esse
agenzie di istituzioni quali le Nazioni Unite che organi dell’unione europea, sono
certamente una migliore fonte di informazioni, di maggior verificabilità e meglio
collocabili nel contesto complessivo. E, proprio nel caso della Ucraina, in altre
decisioni si è fatto richiamo alle risoluzioni del Parlamento europeo.
Vanno anche formulate osservazioni in tema di onere della prova dell’esservi
trattamenti in violazione dei diritti fondamentali; si è letto che la difesa sostiene
che tale onere sia a carico dell’estradando, affermazione che ha la specifica
finalità di sminuire la significatività delle decisioni di merito apparentemente
contraddittorie che, mentre in alcuni casi hanno ritenuto che per l’Ucraina non vi
siano ragioni ostative alla consegna, in altri casi hanno ritenuto che, per gli stessi
motivi considerati dalla Corte di Appello di Venezia, tali ragioni sussistessero. La
difesa vuol riportare tale differenza non ad una diversa valutazione ma alla
conseguenza fisiologica dell’inadeguato esercizio della funzione difensiva.
Va invece considerato che, innanzitutto per l’espressa previsione che la
Corte di Appello decida “dopo aver assunto le informazioni e disposto gli
accertamenti ritenuti necessari…”

poi per il tipo di accertamento da svolgere

(l’AG deve giungere alla valutazione di aver “motivo di ritenere”), è evidente che
spetti al giudice l’iniziativa anche ufficiosa (si veda anche l’articolo 16 2° comma
della legge 69/2005 che, oltre a disciplinare la richiesta di informazioni
integrative alla AG straniera, prevede che “la corte di appello, d’ufficio o su
richiesta delle parti, può disporre altresì ogni ulteriore accertamento che ritiene
necessario al fine della decisione”).
In conclusione, vi è sostanziale libertà nella individuazione del materiale
utile alla decisione anche laddove questi non corrisponda a vere e proprie prove,

7

denunzie di una organizzazione non governativa dedita alla tutela dei diritti

tipiche o meno, conformi all’articolo 187 cod. proc. pen. e la Corte di Appello può
provvedervi di ufficio.
Nel caso di specie, quindi, era certamente in sé utilizzabile il materiale
valorizzato dalla Corte di Appello.
Inoltre la giurisprudenza di questa Corte ha già espresso valutazioni di
generale affidabilità della ong Amnesty International ed altre organizzazioni
maggiori e, quindi, ha ritenuto significative le loro relazioni, etc, anche se in
quasi tutti i casi ha ritenuto che queste non avessero capacità di dimostrare le

dep. 21/01/2014, Cobelean, Rv. 257852). Sez. 6, n. 49881 del 06/12/2013 dep. 11/12/2013, Neledva, Rv. 258141 Sez. 6, n. 15626 del 05/02/2008 – dep.
15/04/2008, Usurelu Ion, Rv. 239672).
Più interessante è invece il caso in cui oltre che ritenere utilizzabili tali
relazioni, questa Corte ha ritenuto che nel caso concreto dimostrassero le
situazioni ostative alla consegna: “(Sez. 6, n. 32685 del 08/07/2010 – dep.

03/09/2010, P.G. e altri, Rv. 248002) rileva il Collegio che la Corte d’appello si è
fondata su una sentenza del Tribunale olandese del 2006, che è confortata non
soltanto da relazioni e rapporti risalenti nel tempo, ma da documenti e prese di
posizione istituzionali internazionali, oltre che da analisi e rapporti di
organizzazioni non governative, internazionalmente riconosciute come affidabili,
che hanno documentato anche per gli anni più recenti “denunce di tortura e altri
maltrattamenti e di eccessivo impiego della forza da parte delle forze dell’ordine”
(rapporti sui diritti umani 2008 e 2009 di Amnesty International) e “pochi
progressi per migliorare la situazione dei diritti umani”, con segnalazione “di casi
di tortura e altri maltrattamenti e

[…]

di processi iniqui, soprattutto ai sensi della

legislazione antiterrorismo” (rapporto 2010). Sull’utilizzabilità di tali rapporti,
come fonti di documentazione di situazioni di violazione di diritto umani, va
ricordato che proprio i rapporti di organizzazioni non governative (come Amnesty
International e Human Rights Watch) sono stati ritenuti utilizzabili anche dalla
Colte europea dei diritti dell’uomo per affermare che l’espulsione verso un Paese
dove si pratica la tortura integra una violazione dell’articolo 3 della Cedu (caso
Saadi c. Italia, sentenza 28 febbraio 2008 della Grande Camera della Corte
europea).
In tale decisione, si è dato atto sia di come le attività di determinate
organizzazioni non governative hanno assunto un generale rilievo nelle relazioni
internazionali, e di come una ponderata lettura delle relazioni possa dimostrare
le condizioni qui di interesse.

8

situazioni rilevanti per il rifiuto di consegna (Sez. 6, n. 2657 del 20/12/2013 –

Si noti che, però, proprio con riferimento alla Ucraina, in altra decisione si è
escluso che la valutazione di Amnesty International potesse fondare una
valutazione di timore di trattamenti in violazione dei diritti fondamentale e, per
converso, si è ritenuta significativa per l’Ucraina, in positivo, una risoluzione del
Parlamento europeo:

In tema di estradizione per l’estero, il divieto di pronuncia favorevole ove si
abbia motivo di ritenere che l’estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o
discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o

persona, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui ciò sia riferibile ad una scelta
normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze
estranee a orientamenti istituzionali, non rilevando quelle situazioni rispetto alle
quali sia comunque possibile una tutela legale. (Fattispecie in cui la Corte ha
escluso che il divieto potesse operare nei confronti della Repubblica ucraina dato
che la risoluzione Parlamento Europeo del 25.2.2010 riguardante la situazione
dell’Ucraina non fa alcun riferimento alla violazione dei diritti fondamentali).
(Sez. 2, n. 26588 del 01/04/2011 – dep. 07/07/2011, Nedzelskyy, Rv. 250884).
Va precisato che tale risoluzione del Parlamento Europeo non affronta
direttamente il tema dei trattamenti dei detenuti ma lo fa implicitamente in
quanto espone la adeguata crescita democratica della Repubblica di Ucraina,
anche ai fini della relazione con l’Unione Europea.
Su queste premesse, va considerato se sia stata corretta la decisione della
Corte di Appello di Venezia o, nel caso contrario, se vi sia la possibilità di
giungere ad una decisione definitiva in questa sede, come richiesto dal PG
ricorrente.
Va considerato il rilievo della decisione impugnata che non ha ritenuto che vi
siano delle condizioni peculiari che riguardino il solo Lytvyniuk ma ha affermato
che vi sono condizioni che non consentono alcuna consegna di soggetti richiesti
in estradizione all’Ucraina. Se fosse corretta quella decisione, dovrebbe
escludersi ogni possibilità di accoglimento di richieste di estradizione provenienti
dall’Ucraina.
Nella sentenza impugnata la Corte di merito correttamente rileva come, al
fine in questione, non sia rilevante una eventuale condotta deviante di singoli ma
rilevi un comportamento sistematico dell’apparato istituzionale, anche in fatto,
purché non occasionale. E, quindi, rileva anche come vi siano una serie di indici
esteriori che consentono di escludere che vi siano previsioni normative di
trattamenti inadeguati: l’Ucraina, è Stato membro del Consiglio di Europa, ha

9

comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della

aderito alla Convenzione Europea di estradizione, alla Convenzione dei diritti
dell’uomo ed alla giurisdizione della Cedu.
Rileva, invece, la ragione del “timore” in questione nel concreto
atteggiamento delle istituzioni. Ad esempio, la Corte di Appello ritiene di
affermare, in adesione a quanto riferito da una organizzazione non governativa,
che la custodia in carcere in Ucraina abbia un limite di legge ma sia “di fatto

protratta per tempi assai estesi”.
La Corte di Appello afferma che “dalla documentazione prodotta emergono,

– la durata della custodia cautelare in carcere, limitata per legge, ma di fatto
protratta per tempi assai estesi (nota della ong Vinnitsa);
– la assai carente assistenza medica in carcere (nota della ong Vinnitsa; nota
4. 7.2012 del direttore della associazione Unione Ucraina Helsinki per i diritti
umani; testimonianza Fedosov);
– torture e maltrattamenti durante la custodia in carcere (rapporto Amnesty
2012, 2011; nota 4.7.2012 del direttore della associazione Unione Ucraina
Helsinki per i diritti umani; testimonianza Fedosov);
– insufficienti garanzie di indipendenza della magistratura (rapporto Amnesty
2012; nota 4.7.2012 del direttore della associazione Unione Ucraina Helsinki per
i diritti umani);
violenze da parte delle forze di polizia (rapporto Amnesty 2012, 2011; nota
4. 7.2012 del direttore della associazione Unione Ucraina Helsinki per i diritti
umani; testimonianza Fedosov);
le degradanti condizioni della vita in carcere (testimonianza Fedosov);
La valutazione della Corte è certamente apodittica in quanto risolve il tema
di affidabilità e capacità dimostrativa con l’affermazione “dalla documentazione

prodotta emergono, univocamente”. Ciò già fonda un giudizio di carenza di
motivazione ma è comunque necessario un approfondimento in quanto, anche
nell’esercizio della attività di valutazione in merito riconosciuta a questa Corte
nella materia della estradizione, è comunque possibile adottare una decisione
definitiva annullando senza rinvio la sentenza impugnata
Innanzitutto non tutto il materiale proviene da fonti delle quali possa
affermarsi la certa affidabilità.
Si riportano, ed in modo assai generico, delle valutazioni (e non dei “fatti”)
di una “ong vinnitsa” la cui conoscenza non può certo assurgere a fatto notorio
non essendo affatto tale. La stessa cosa va affermata per la “associazione

Ucraina per i diritti umani”. Non solo si tratta di enti la cui attività non è affatto
nota ma nella sentenza impugnata non vi è alcuna analisi del carattere
10

univocamente, elementi critici” in relazione a:

effettivamente generale delle informazioni che tali organizzazioni “mediano”, al
di là ovviamente della affidabilità delle singole informazioni stesse.
La difesa ha depositato le dichiarazioni di tal Fedosov, sentito ai sensi art.
391 bis cod. proc. pen. , ma tale testimonianza non è assistita da alcun elemento
che Inssa fungere da parametro di verificabilità della affidabilità soggettiva ed
oggettiva del testimone. Soprattutto, poi, ii ,c4 arattere “universale” di quanto
riferisce dimostra che non riferisce fatti da egli percepiti ma, tuttalpiù, media
informazioni ricevute da altri.

dei diritti umani in Ucraina è soltanto quello che proviene da Amnesty
International.
Ma la semplice lettura del report risolve la questione nel senso di escludere
che siano dimostrati degli “ordinari” trattamenti lesivi di diritti individuali: nella
relazione si fa riferimento a singole vicende senza un carattere sistemico il che
è, del resto, in piena conformità con le obiettive finalità dei report di Amnesty
International che sono quelle di denunziare situazioni di violazioni, anche se
singole, e non giudicare il complesso di un sistema. Basti leggere, nel medesimo
report che riguarda l’Europa, le indicazioni date sia per l’Italia che per altri paesi,
ove si segnalano numeri non minori di possibili violazioni dei diritti fondamentali;
laddove si volessero portare al rango di valutazione generale tali singole vicende,
significherebbe ritenersi sistemica la violazione dei diritti umani in pressoché
tutta l’Unione Europea.
Invece, proprio una lettura ponderata del report di Amnesty International è
in grado di escludere il carattere sistematico delle violazioni. Si tratta, come ha
rilevato anche il ricorrente, di relativamente pochi casi di abusi della polizia per i
quali vi sono state iniziative della Ag penale e le possibili violazioni di diritti nel
corso dei processi e nel trattamento carcerario sono limitate e, peraltro, riferite
in modo incerto in relazione alla incertezza delle fonti.
La Corte di Appello vi aggiunge la considerazione di talune condanne della
Ucraina innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma anche in questo caso
si tratta di troppi pochi casi, soprattutto se paragonati a quelli che riguardano
altri paesi come l’Italia, per poterne trarre le conseguenze che ne ha tratto la
Corte di Appello. Certamente diversa è la vicenda Tymoshenko ma si tratta di
vicenda peculiare ed evidentemente, se di violazione si tratta, “politica”; nel caso
di Lytvynyuk, trattandosi di una “comune” rapina in abitazione, non vi è
certamente un timore in concreto di irregolarità dovute a questioni politiche.
Invero i peculiari commenti al riguardo fatti dalla Corte di Appello di Venezia,
(del genere “se questo è capitato ad una persona famosa a maggior ragione
11

Fondamentalmente il materiale utile a sostegno di una ipotesi di violazione

potrebbe avvenire a un comune cittadino accusato di una rapina”), sono
talmente inconsistenti che, giunti alla terza decisione dopo gli annullamenti di
questa Corte, sembrano denotare che vi sia stata una preconcetta
determinazione al rigetto della richiesta di estradizione da parte della Corte di
merito cui, poi, adeguare il vario materiale prodotto.
Vi sono ulteriori questioni citate dalla memoria della difesa di Lytvynyuk, che
invero ha inserito in atti qualsiasi pur minima notizia (od opinione) negativa sull’
Ucraina; l’unica che può essere significativa è la osservazione che la Corte Edu

Lytvynyuk sarebbe caratterizzato da sistematici trattamenti in violazione dei
diritti minimi. Tale sentenza, invece, riferisce di fatti che riguardano un singolo
soggetto ivi detenuto sino al 2005 e la questione riguardava il trattamento
medico non sufficiente rispetto alla sua particolare condizione di salute.
Resta da ultimo la deduzione in ordine alla attuale situazione politica in
Ucraina che creerebbe le medesime condizioni paventate ma in altro modo

(“Esiste un clima di assoluta incertezza politica, in cui sussistono spinte
nazionaliste ed estremiste che stanno progressivamente allontanando l’Ukraina
da/l’Europa”). Si tratta di condizioni che non risultano tali da influire direttamente
sulla persona del Lytvynyuk o sul trattamento detentivo (l’ipotesi non è per nulla
comparabile a quella considerata in Sez. 6, n. 10905 del 06/03/2013 – dep.
07/03/2013, Bishara Meged, Rv. 254768 in cui si considerava un effettivo rischio
a carico dell’estradando, in quanto appartenente ad una minoranza religiosa
oggetto di attacchi anche da apparati istituzionali).
Non rientra nell’ambito di valutazione giurisdizionale la considerazione di
condizioni politiche del paese che possano influire sulla opportunità di
consegnare l’estradando, ambito questo di possibile valutazione del Ministro della
Giustizia.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché sussistono le condizioni
per l’estradizione verso l’Ucraina di Lytvynyuk Anatoly Anatolyovych in relazione
21/44°k”
a il 30 maggio 2011 dall’A.G. Ucraina ed avente ad
al provvedimento di catturI
oggetto il reato previsto dalla ‘Parte 3 dell’art. 186 del cod. pen. Ucraincf! Manda
alla cancelleria er gli adempimenti di cui all’art. 203 d.a. cod. proc. pen.
Roma cos ecíso nella camera di consiglio dell’8 aprile 2014
Il consigl e tensore

il resid nte

Pierluigip

N cola ilo

fano

ha espressamente considerato che il carcere ove dovrebbe essere ristretto

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA