Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30850 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 30850 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AVOGADRI DAVIDE N. IL 29/03/1974
avverso la sentenza n. 2127/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
22/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per )91 artec ivile, l’Avv
Udit i difen4: r Avv.

Data Udienza: 09/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del 28 febbraio 2011, il Tribunale di Brescia in

composizione monocratica ha dichiarato Avogadri Davide colpevole del reato di
cui agli artt. 81 cpv, 61 n. 10, 337, 582 comma 1 cod. pen. in danno di operanti
della Polizia Locale di Chiari (capo A) e del reato di cui agli artt. 81 cpv cod. pen.
e 186 comma 7 C.d.S. (capo B), fatti commessi il 31 maggio 2008.
Con sentenza del 22 marzo 2013, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale

cod. pen. per il reato di lesioni personali ed ha conseguentemente rimodulato la
pena inflitta.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato come il reato di
resistenza a pubblico ufficiale (appuntandosi solo su tale imputazione i motivi
d’appello) non possa ritenersi scriminato dal trattenimento, in ipotesi difensiva
arbitrario, all’interno degli uffici della Polizia Locale, laddove – alla luce della
scansione temporale degli eventi, così come ricostruiti sulla base degli atti del
procedimento – Avogadri risulta avere posto in essere le condotte violente prima
che le procedure di controllo fossero terminate, di tal che alcuna ragione
legittima aveva l’imputato per opporsi violentemente agli operanti fino al
compimento delle formalità necessarie al perfezionamento dell’attività d’ufficio.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto correttamente integrati più reati di
resistenza in continuazione fra loro nonché persistente la procedibilità d’ufficio
per le lesioni, sussistendo le circostanze aggravanti di cui all’art. 61 nn. 2 e 10
cod. pen. (non riportando il dispositivo della sentenza di primo grado l’esclusione
della seconda); ha stimato corretta la mancata concessione dell’attenuante del
risarcimento del danno, atteso che questo non era avvenuto prima delle
formalità di apertura del dibattimento; ha riconosciuto all’appellante le
circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulle aggravanti,
ed ha di conseguenza rimodulato la pena irrogata.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Gianbattista Scalvi,
difensore di fiducia di Avogadri Davide, chiedendone l’annullamento per i
seguenti motivi:
2.1.

Manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte d’Appello

proceduto ad una ricostruzione degli accadimenti in palese contrasto con atti
processuali fondamentali, segnatamente con il verbale di contestazione (delle
ore 19.15) e con il verbale di accesso al Pronto Soccorso dell’ospedale da parte
dell’operante Bettarello (delle ore 19.58), da cui si evince che la reazione
violenta di Avogadri dipese dal suo trattenimento arbitrario presso la caserma,

2

riforma della sentenza appellata, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 61 n. 10

senza che fosse stato adottato nei suoi confronti alcun provvedimento
precautelare.
2.2. Violazione di legge penale in relazione alla integrazione del reato di cui
all’art. 337 cod. pen., atteso che la condotta violenta fu posta in essere
dall’assistito dopo il completamento dell’attività d’ufficio, consistente nella
redazione del verbale identificativo e di quello relativo alla raccolta del rifiuto
dell’imputato di sottoporsi ad alcoltest.
2.3. Violazione di legge penale in relazione all’art. 393 bis cod. pen., avendo

dovendosi ritenere arbitraria la condotta del pubblico ufficiale che pretenda di
trattenere il trasgressore al Codice della Strada oltre la fase di identificazione e
della registrazione del rifiuto di sottoporsi ad alcoltest.

3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che la sentenza sia
annullata con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Ed invero, il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento, riproponendo le medesime censure – squisitamente di merito già sottoposte al giudice d’appello e quindi sollecitando una diversa valutazione
in fatto, preclusa in questa fase dalle funzioni di legittimità.
D’altra parte, i giudici di merito hanno ben argomentato, con una
motivazione puntuale, logica e conforme a comuni regole d’esperienza, la
ritenuta integrazione dei reati di resistenza a pubblico ufficiali e di lesioni in
danno dell’operante Bettarello Marco. In particolare, la Corte territoriale ha
evidenziato come la condanna si fondi sulle convergenti dichiarazioni rese dai
due operanti di Polizia Locale Bettarello Marco e D’Aquila Claudio, perfettamente
compatibili con le risultanze degli atti ed, in particolare, con gli orari riportati
sugli stessi. Il giudice di secondo grado ha infatti dato atto che il primo contatto
fra l’operante e Avogadri avvenne alle ore 18.30, con il controllo e conseguente
invito a portarsi in Comando; che l’agente ha riferito di avere avuto la
colluttazione alle ore 19.20, che il verbale di identificazione risulta firmato – fra
gli altri anche – da Bettarello e risulta essere stato redatto sempre alle ore
19.20; che il verbale del pronto soccorso dell’ospedale attesta che Bettarello si
presentò al nosocomio alle ore 19.53. La Corte ha dunque concluso che “è quindi
convincente ritenere che gli atti di violEra furono posti in essere dall’imputato

3

la Corte errato nel ritenere insussistenti i presupposti dell’esimente in parola,

nel contesto temporale in cui in quell’ufficio si stavano compiendo, in relazione a
reati già commessi, le formalità previste dagli artt. 349 e 161 cod. proc. pen.”,
non potendo esaurirsi la fase di identificazione in poche battute “essendosi
trovato Avogadri privo di documenti”.
Alcuna illogicità è riscontrabile nella puntuale ricostruzione e nella lettura
della vicenda operata dalla Corte distrettuale laddove la narrazione degli agenti,
contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, non contrasta in alcun modo con
i paletti temporali fissati negli atti redatti dagli operanti di P.G. e dai sanitari del

aggressiva integrante il reato di resistenza era avvenuta proprio durante il
compimento degli atti d’ufficio – è perfettamente compatibile con quanto indicato
negli atti assistiti da fese privilegiata, in particolare con l’orario di redazione degli
atti di identificazione (ore 19.20) e di raccolta del rifiuto a sottoporsi ad alcoltest
(ore 19.15) e con l’orario indicato dall’agente Bettarello ai sanitari del pronto
soccorso, così come riportato sul referto (ore 19.20).
Ne discende che, del tutto correttamente, la Corte abbia escluso che la
violenza e la minaccia siano poste in essere da Avogadri quale reazione
“legittima” ad un indebito trattenimento negli uffici di Polizia in assenza di un
provvedimento precautelare, laddove la scansione temporale degli eventi, così
come delineata negli atti fideifacenti, dimostra come il trattenimento negli uffici
fosse giustificato dalla necessità di completare le formalità necessarie al
perfezionamento degli atti dell’ufficio e che nessun ragione aveva pertanto
l’imputato per opporsi violentemente ai pubblici ufficiali intenti alla redazione di
atti costituenti dovere d’ufficio.

2. Le superiori considerazioni rendono manifesta l’infondatezza del secondo
motivo di ricorso. La Corte distrettuale ha infatti correttamente applicato il
disposto normativo dell’art. 337 cod. pen. ed ha fatto buon governo dei
consolidati principi affermati da questo giudice di legittimità, laddove, per
integrare il delitto di resistenza a pubblico ufficiale è sufficiente che l’uso della
violenza e della minaccia intralci l’atto di ufficio o servizio svolto dal pubblico
ufficiale e l’autore del reato abbia come obiettivo di indurre questi ad astenersi
dal compimento dell’atto (Cass. Sez. 6, n. 37041 del 09/07/2003, Valenti Popita,
Rv. 226797). Condizioni che certamente ricorrono nella specie, avendo
l’imputato posto in essere la condotta violenta nel corso delle operazioni di
completamento dell’attività d’ufficio, consistente nella redazione del verbale
identificativo e di quello relativo alla raccolta del rifiuto dell’imputato di sottoporsi
ad alcoltest.

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pronto soccorso. La versione resa dagli operanti – secondo cui la condotta

3. Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo di doglianza.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in materia di atti arbitrari
del pubblico ufficiale, l’art. 393 bis cod. pen. (che ha sostituito l’art. 4 del D.Igt.
n. 288/1944) non prevede una circostanza di esclusione della pena ricadente
sotto la disciplina dell’art. 59 cod. pen., ma dispone l’esclusione della tutela nei
confronti del pubblico ufficiale che se ne dimostri indegno: essa pertanto trova
applicazione solo in rapporto ad atti che obbiettivamente e non soltanto
nell’opinione dell’agente, concretino una condotta arbitraria (Cass. Sez. 6, n.

Pascali, Rv. 242395).
Orbene, alla luce di quanto sopra già delineato, del tutto conforme a logica e
diritto si appalesa la conclusione dei giudici di merito, laddove hanno rilevato
come la ricostruzione dei fatti, compiuta sulla base delle convergenti
dichiarazioni degli agenti e delle risultanze obbiettive degli atti, consenta di
escludere che la condotta dei pubblici ufficiali abbia travalicato arbitrariamente i
limiti delle loro attribuzioni, essendosi essi limitati a trattenere Avogadri il tempo
necessario al completamento degli atti di identificazione e di raccolta del rifiuto di
sottoporsi ad alcoltest. Non ricorrono dunque i presupposti dell’esimente in
parola, atteso che, nella specie, fanno completamente difetto i presupposti per
ritenere “obbiettivamente” – e non soltanto secondo la convinzione del ricorrente
– arbitrario l’operato degli agenti.

4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma a
favore della Cassa della Ammende, che si ritiene congruo fissare nella misura di
1000 euro.

P.Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2014

Il consigliere estensore

Il Pr idente

46743 del 06/11/2013, Rv. 257513; Sez. 6, n. 45266 del 18/09/2008, De

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