Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30844 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 30844 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERNANDEZ GARAMENDI SUSANA ALIAS N. IL 15/11/1968
avverso la sentenza n. 273/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
27/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per l

te” civile, l’Avv

Udit i difen r Avv.

Data Udienza: 09/05/2014

CQ§:13.£29,p1

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 gennaio 2012, la Corte d’Appello di Ancona ha
confermato la sentenza del 4 luglio 2005, con la quale il Tribunale di Ancona
dichiarava Fernandez Garamendi Susana colpevole dei reati di cui agli artt. 110 e
337 cod. pen., commesso in Ancona il 17 novembre 2002.
In particolare, dopo avere dato atto della sussistenza dei presupposti
dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. per la rimessione dell’appellante in

respinto il ricorso, ritenendo ampiamente dimostrata la penale responsabilità
della Fernandez alla luce delle risultanze delle prove assunte nel dibattimento
nonché di quanto dichiarato dalla stessa in sede di spontanee dichiarazioni, non
potendo la bassa statura dell’imputata valere quale esimente, come prospettato
nell’appello.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Luigi Kogoj Nicasio,
difensore di fiducia di Fernandez Garamendi Susana, chiedendone l’annullamento
per i seguenti motivi:
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli
artt. 81 cpv e 337 cod. pen., per avere la Corte d’appello confermato la sentenza
di condanna di primo grado senza tenere conto delle circostanze evidenziate
dalla difesa, laddove dalla deposizione del teste operante Tiberio e dalle stesse
spontanee dichiarazioni dell’imputata emerge che gli agenti di polizia erano
intervenuti per sedare una lite in strada, che la ricorrente non ha mai tentato di
sottrarsi al controllo né di allontanarsi e che soltanto il di lei marito ha reagito
violentemente contro gli agenti (laddove l’agente Tiberi ha riferito che l’uomo
aveva tentato di scappare e poi, a specifica domanda del giudice, ha risposto
“stessa cosa poi la donna”, pur avendo in precedente escluso implicitamente
qualsivoglia tentativo di fuga da parte dell’imputata), sicchè mancano i
presupposti oggettivo e soggettivo del reato contestato.
2.2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione,
avendo il giudice di secondo grado “sbrigativamente liquidato” i motivi d’appello.

3. In udienza il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

2

termini ai fini della presentazione dell’appello, il giudice di secondo grado ha

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Con riguardo al primo motivo, deve essere rilevato, in linea generale,
come gli argomenti dedotti si risolvano nella pedissequa reiterazione di quelli già
dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli
stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di
assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza

20377 del 11/03/2009, Rv. 243838)
D’altra parte, il ricorrente propone per lo più rilievi di natura
squisitamente di merito, volti a sollecitare una diversa valutazione in fatto,
preclusa in questa fase dalle funzioni di legittimità.
In ogni caso, la Corte d’appello ha puntualmente risposto alle censure
mosse nell’atto d’appello, con una motivazione completa ed immune da censure
logiche, rilevando come la ricostruzione dei fatti negli stessi termini delineati
nella imputazione si fondi solidamente sulle dichiarazioni rese dagli agenti della
Polizia di Stato e sulle dichiarazioni di natura confessoria rese spontaneamente in
udienza dalla stessa ricorrente.

1.2. Con specifico riguardo al profilo della rilevanza a discolpa della
circostanza che la Fernandez Garamendi Susana, contrariamente al marito, non
sia fuggita dal luogo del fatto – unico argomento non manifestamente infondato
-, si deve rilevare che, a tenore di contestazione, alla ricorrente è ascritta la
partecipazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale in concorso col marito.
Secondo quanto dato atto dai giudici di merito, entrambi gli imputati avevano
colpito con calci e spintoni gli agenti della Polizia di Stato – intervenuti a sedare
una lite in corso fra gli stessi coniugi, al momento ubriachi -, allo scopo di
evitare che gli operanti procedessero alla loro identificazione.
Nell’addivenire all’affermazione della penale responsabilità della ricorrente
la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi in tema di responsabilità
concorsuale. Ed invero, gli operanti hanno riferito che anche la Fernandez
prendeva parte attiva all’azione violenta in danno degli operanti. D’altra parte, il
concorso non potrebbe essere escluso dalla circostanza – prospettata dalla difesa
– che la Fernandez non possa essere stata in grado di colpire l’agente Tiberi a
causa della di lei bassa statura.
Anche a voler prescindere dal fatto che l’agente Tiberi ha riferito di essere
stato colpito al “basso ventre” – parte del corpo che avrebbe pertanto potuto
essere attinta anche da un soggetto di bassa statura -, non si può non
3

oggetto di ricorso, con conseguente inammissibilità del motivo (Cass. Sez. 6, n.

rammentare come, secondo i principi in materia di concorso di persone nel reato,
per poter affermare la responsabilità di un soggetto a titolo di concorso ex art.
110 cod. pen. è sufficiente, sotto il profilo oggettivo, che lo stesso abbia
apportato un qualsiasi contributo alla realizzazione dell’azione tipica o abbia
agevolato l’attività esecutiva altrui e, sotto l’aspetto soggettivo, che sussista la
coscienza e la volontà di concorrere con altri alla realizzazione della condotta
tipica. Condizioni che certamente ricorrono nella specie, essendo provato che la
Fernandez – anche se non sferrava personalmente il calcio – prendeva

spalleggiava il marito, a fianco del quale agiva nello stesso luogo e nello stesso
momento, al fine di impedire ai poliziotti di svolgere l’atto del loro ufficio, in
particolare di procedere alla loro identificazione, trattandosi di soggetti irregolari
sul territorio nazionale (circostanza che portava la stessa Fernandez a rendere
nel frangente della false generalità).
La conclusione dei giudici di secondo grado è conforme all’insegnamento
di questa Corte, secondo cui è configurabile il concorso anche soltanto morale
nel reato di resistenza a pubblico ufficiale da parte di chi, assistendo ad una
resistenza attiva posta in essere con violenza nei confronti di un pubblico
ufficiale da altro soggetto, rafforzi l’altrui azione offensiva (Cass. Sez. 6, n.
18485 del 27/04/2012, Rv. 252690).
Infine, la circostanza che l’imputata, contrariamente al marito, dopo
l’azione aggressiva non sia fuggita dal luogo, non costituisce di per sé prova
della sua innocenza, potendo il mancato allontanamento essere dipeso da
diverse ragioni, dallo stato confusionale dovuto all’ubriachezza, dalla stanchezza
o dallo scompenso emotivo a seguito della colluttazione con le forze dell’ordine,
o ancora dal timore di subire conseguenze penali ancora più gravi. In ogni caso,
costituisce comportamento successivo alla condotta punibile, ininfluente ai fini
della valutazione in ordine alla integrazione del reato.

2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Ed invero, il ricorrente deduce il vizio di motivazione in modo del tutto vago
e generico in quanto non denuncia alcun errore logico o giuridico, limitandosi ad
evidenziare che la Corte territoriale avrebbe fatto proprio il “teorema” della
colpevolezza della Fernandez elaborato dal primo giudice riproducendone la
motivazione. Se non che, come si è già dato atto sopra, il giudice di secondo
grado, pur legittimamente richiamando la sentenza del Tribunale, non si è
sottratto dal prendere in esame le specifiche doglianze dedotte nell’atto
d’appello, fornendo una risposta logicamente corretta e conforme a diritto al
riguardo.
4

certamente parte all’azione violenta in danno degli operanti o comunque

3. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il consigliere estensore

Così deciso in Roma il 9 maggio 2014

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