Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30837 del 12/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30837 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CHIAVOTTI NICOLA N. IL 29/05/1984
avverso la sentenza n. 291/2014 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
30/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 12/06/2015

1) Con sentenza del 30.4.2014 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della
sentenza del GUP del Tribunale di Udine, emessa in data 3.12.2013, con la quale
Chiavotti Nicola era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche ed applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, per il
reato di cui all’art.73 DPR 309/90 ascritto, assolveva l’imputato relativamente alla
detenzione di eroina e cocaina perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena in
ordine alla detenzione di marijuana in anni 1, mesi 4 di reclusione ed euro 4.000,00 di
multa.
2) Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando l’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’omessa qualificazione del reato
nell’ipotesi di cui all’art.73 comma 5 DpR 309/90 ed all’omessa concessione della
circostanza attenuante di cui al comma 7 del medesimo art.73.
2) Il ricorso è generico e manifestamente infondato.
2.1) Non essendo mutate le condizioni per il riconoscimento dell’ipotesi autonoma di
reato di cui all’art.73 comma 5 DPR 309/90, rimane “valida” la giurisprudenza
formatasi sul punto.
Essa “può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della
condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, con la
conseguenza che, ove venga meno uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene
irrilevante l’eventuale presenza degli altri” (cfr.Cass.sez.un.21.9.2000 n.17;
conf.Cass.sez.4, 16.3.2005 n.10211; Cass.sez.4 ,1.6.2005 n.20556).
Il giudice, quindi, è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla
norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia
quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminoso), dovendo conseguentemente escludere
la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità…” (cfr ex multis
Cass.pen.sez.4 n.38879 del 29.9.2005; conf.Cass.sez.6 n.27052 del 14.4.2008).
Con valutazione argomentata adeguatamente, come tale non sindacabile in questa sede
di legittimità, la Corte di merito ha ritenuto non ipotizzabile il fatto di live entità,
essendo il dato ponderale, di per sé, ostativo (il quantitativo di marijuana detenuto
era idoneo al confezionamento di oltre 1600 dosi medie singole). Inoltre, che si
trattasse di un’attività di spaccio di non modeste proporzioni, era confermato dal
ritrovamento nell’abitazione dell’imputato di una rilevante somma di denaro.
2.2) Anche in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui al
comma 7 dll’art.73 cit., la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato, avendo
accertato che l’imputato non aveva fornito alcun rilevante contributo alle indagini,

1

OSSERVA

p
Il

essendosi limitato a generiche indicazioni in ordine a “pregresse detenzioni di
marijuana” (pag.3 sent.).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, perchè sia integrato l’elemento
della collaborazione occorre, quanto meno, che il contributo fornito dal soggetto
risulti concretamente utile, cioè tale da determinare in maniera diretta un esito
favorevole per le indagini e la cessazione dell’attività criminale ad essa relativa (cfrCass.pen-sez.4 n.28548 del 29.7.2005). L’attività positiva richiesta, che la norma
riassume nell’espressione “si adopera”, può anche risolversi nel rendere dichiarazioni,
che però non devono consistere in semplici chiamate in correità o in indicazioni
generiche sulle modalità di consumazione del reato, ma devono possedere, quanto
meno, una concretezza ed efficacia per i fini investigativi (Cass.pen.sez.4, 22.4.2004;
conf.Cass.pen.sez.4 n.20237 del 14.6.2006).
2.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00, ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di curo 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2015
Il Consigliere est.
Presidente

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