Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30835 del 12/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30835 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BEGO MIGHEL N. IL 27/07/1973
avverso la sentenza n. 1642/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
23/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 12/06/2015

1) Con sentenza del 23.4.2014 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Udine, emessa in data 11.3.2013, con la quale Bego Michel,
previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato
per il reato di cui all’art.73, commi 1 e 1 bis, DPR 309/90, riteneva l’ipotesi di cui al
comma 5, rideterminando la pena in anni 1 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa e
confermando nel resto.
2) Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando la
inosservanza e/o violazione e/o errata applicazione degli artt.192 c.p.p. e 73 DPR
309/90, nonché l’omessa e/o illogicità della motivazione in punto di destinazione della
droga sequestrata a terzi.
Con memoria, pervenuta in cancelleria in data 29.5.2015, si ribadiscono le doglianze di
cui al ricorso ed in particolare che l’onere della prova, in ordine alla destinazione allo
spaccio della sostanza stupefacente, incomba al P.M.
3) Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1) E’ pacifico che la valutazione prognostica della destinazione della sostanza
stupefacente, ogni qual volta la condotta non appaia correlabile al consumo in termini
di immediatezza, debba essere effettuata dal giudice tenendo conto di tutte le
circostanze soggettive ed oggettive del fatto, con apprezzamento di merito,
sindacabile in sede di legittimità solo in rapporto ai vizi di cui alla lett.e)
dell’art.606 c.p.p.
Non c’è dubbio, altresì, che, di per sé, “il superamento dei limiti quantitativi massimi
previsti dall’art.73 comma 1 bis lett.a) DPR 309 del 1990, come modificato dalla L.21
febbraio 2006 n.49, non valga ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, o
ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure non assoluta, in ordine alla
destinazione della doga detenuta ad un uso non personale.
3.2.) La Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha
ritenuto, sulla base di una serie di circostanze indizianti (senza quindi alcuna
inversione dell’onere della prova), che risultasse provata la destinazione a terzi della
sostanza stupefacente (pag.2 e 3).
Ha, poi, esaminato la tesi difensiva, rilevandone tutta l’inconsistenza e
contraddittorietà (pag.3).
3.3) Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione e
travisamento della prova, richiede sostanzialmente una rilettura, a lui più favorevole,
delle risultanze processuali.
Non tiene conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va
esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si
sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità di

1

OSSERVA

verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente
corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura” degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mero
prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass.sez.un. 30.4.1997 n.6402).
In particolare, in tema di processi indiziari, alla Corte di Cassazione compete solo la
verifica della correttezza logico-giuridica dell’iter argomentativo seguito per
qualificare le circostanze emerse come indiziarie, ma non certo un nuovo
accertamento sulla effettiva gravità, precisione e concordanza degli indizi medesimi
(cfr.Cass.sez.1, 10.2 1995 n.1343; Cass.pen.sez.1 n.42993 del 25.9.2008; Cass.sez. 4
n.48320 del 12.11.2009).
3.4) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00, ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma d euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2015
Il Consigrere est.
Il Ifresidente

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