Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30830 del 05/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30830 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Chieti, avverso
l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Chieti nei confronti di Di
Febo Michela, nata ad Atri 1’8.3.1978;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita !a relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 05/06/2014

1. Con ordinanza adottata il 21.1.2014 il tribunale del riesame di Chieti
annullava il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale di Vasto in data 16.1.2014,
all’esito della convalida del decreto di sequestro preventivo adottato in
via d’urgenza dal pubblico ministero di Vasto in data 14.1.2014, avente

relazione al delitto di cui agli artt. 110, c.p., 216, co. 2, I. fall., per cui si
procede nei confronti di Di Febo Michela.
Secondo l’ipotesi accusatoria la Di Febo, nella sua qualità di socio
amministratore della “Ludovico Arredamenti srl”, concorre nel delitto di
bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione con il marito
Ludovico Alessandro, imprenditore, titolare di una ditta individuale,
dichiarato fallito dal tribunale di Vasto con sentenza del 17.12.2013, il
quale, in data 14.12.2013, nel corso di un’assemblea ordinaria della
“Ludovico Arredamenti srl”, convocata dalla stessa Di Febo, aveva
fraudolentemente esercitato il diritto di recesso da tale società, di cui
deteneva il 90% delle quote sociali, che, in tal modo, erano state
sottratte alla procedura fallimentare riguardante la sua ditta individuale,
in quanto, la relativa titolarità, in conseguenza dell’avvenuto recesso, si
era trasferita in capo alla moglie.
Il tribunale del riesame, nel disattendere l’impostazione accusatoria
condivisa dal giudice per le indagini preliminari di Vasto, evidenziava
come il Ludovico abbia legittimamente esercitato, ai sensi dell’art. 2743,
c.c., il diritto di recesso di cui era titolare, in virtù del quale il rimborso
della quota di socio, valutata in circa settemila euro, era avvenuto senza
riduzione del capitale sociale, con la conseguenza che, essendosi
concretizzata la condotta del Ludovico nell’esercizio di un diritto
riconosciutogli dalla legge, al quale è connesso l’effetto automatico
dell’accrescimento della quota dell’altro socio (la Di Febo), poi diventata
amministratrice della società, ad essa non può attribuirsi natura
distrattiva.
2.

Avverso la decisione del tribunale del riesame, di cui chiede

l’annullamento con rinvio, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione

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ad oggetto il 90% delle quote della “Ludovico Arredamenti srl”, in

il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Chieti, lamentando
violazione di legge e mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata.
2.1 n ricorrente contesta, in particolare, proprio la legittimità
dell’avvenuto esercizio del diritto di recesso, sottolineando che nessuna
norma del codice civile o dello statuto della “Ludovico Arredamenti srl”

uno dei soci.
Il tribunale del riesame, ad avviso dell’organo della pubblica accusa, ha
omesso di considerare che il recesso del Ludovico dalla suddetta società,
pacificamente motivato dall’avvenuta presentazione nei suoi confronti di
un’istanza di fallimento, è stato effettuato proprio allo scopo di
consentire all’indagato, una volta dichiarato fallito come imprenditore
individuale, di sottrarre, con il concorso della moglie, una parte del suo
patrimonio al soddisfacimento dei suoi creditori.
Il recesso, infatti, evidenzia il ricorrente, è avvenuto appena due giorni
prima della dichiarazione di fallimento del Ludovico, laddove, trattandosi
di società contratta, di fatto, a tempo indeterminato (la data di
cessazione, infatti, è stata prevista per l’anno 2050), quest’ultimo
poteva recedere solo dando un preavviso di almeno centottanta giorni,
giusto il disposto dell’art. 2473, co. 2., c.c.
Inoltre il valore della quota ceduta, rileva ancora il ricorrente, è
certamente superiore a quello indicato all’atto del recesso, in quanto il
Ludovico aveva conferito nella società la sua azienda dotata di un
patrimonio particolarmente rilevante.
Di conseguenza, tenuto conto anche della mancata effettuazione di una
stima del valore di mercato delle quote sociali trasferite alla Di Febo, in
violazione di quanto previsto dall’art. 2473, c.c., secondo cui il rimborso
della partecipazione del socio receduto avviene in proporzione del
patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato
al momento della dichiarazione di recesso, il danno per i creditori del
fallito, una volta venuta meno la possibilità per questi ultimi di aggredire
il 90% delle quote sociali originariamente detenute dal Ludovico, per
effetto della revoca del sequestro preventivo, non potrebbe certo essere

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prevede la possibilità di recedere dalla società in caso di fallimento di

ristorato dall’acquisizione della somma di settemila euro ricevuta dal
fallito, somma che, peraltro, non ha formato oggetto del provvedimento
cautelare.
Né va taciuto, ad avviso del ricorrente, che all’atto del conferimento
d’azienda e della produzione delle scritture contabili in suo possesso, il

emesso nei suoi confronti in relazione al credito vantato dal dott.
Malatesta, rendendo, in questo modo, la “Ludovico Arredamenti srl”
immune dalla responsabilità solidale che grava sulla società conferitaria
per i debiti della società conferente, giusto il disposto dell’art. 2560, c.c.,
per cui l’unico ulteriore tassello che l’indagato doveva aggiungere al
disegno criminoso volto a frustrare le ragioni dei suoi creditori, era
quello di spogliarsi della titolarità delle quote in suo possesso in favore
della moglie, per evitare fossero destinate al soddisfacimento dei
suddetti creditori.
In conclusione, dunque, il pubblico ministero ricorrente censura la
decisione del tribunale del riesame, anche sotto il profilo della completa
mancanza di motivazione sul punto, nella parte in cui ha escluso la
configurabilità dei reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, solo perché il Ludovico ha esercitato un diritto
riconosciutogli dalla legge, senza considerare che tale delitto non viene
meno per il solo fatto della utilizzazione da parte del soggetto attivo del
reato di negozi leciti o di facoltà legittime.
3. In data 28.5.2014 perveniva in Cancelleria memoria difensiva
nell’interesse della Di Febo, a firma del difensore di fiducia, avv. Carmine
Di Risio del Foro di Vasto, con cui si chiede che il ricorso del pubblico
ministero sia dichiarato inammissibile o rigettato.
3.1 Rileva, in particolare, il difensore della Di Febo che il ricorso del
pubblico ministero è inammissibile, in quanto con esso, da un lato è
stato dedotto non il vizio di violazione di legge, ma un vizio della
motivazione dell’ordinanza impugnata, che non può essere denunciato
con il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti

in

materia

cautelare reale adottati dal tribunale del riesame, giusto il disposto

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Ludovico ometteva di indicare l’esistenza di un decreto ingiuntivo

dell’art. 325, c.p.p., dall’altro il pubblico ministero per la prima volta ha
formulato rilievi in ordine alle modalità del recesso del Ludovico,
mutando in tal modo la

causa petendi

dell’originario sequestro

preventivo, che si fondava su atti traslativi (la cessione delle quote
sociali all’indagata), in realtà mai avvenuti, evidenziando, pertanto, con

indicati nel decreto di sequestro preventivo adottato in via d’urgenza
dallo stesso pubblico ministero e poi convalidato dal giudice per le
indagini preliminari.
3.2. Il difensore dell’indagata insiste, peraltro, sulla impossibilità di
configurare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione,
evidenziando, nel condividere il giudizio del tribunale del riesame, come
tra il Ludovico e la Di Febo non sia intercorso nessun atto diretto di
cessione delle quote, essendosi verificato, in conseguenza dell’esercizio
del legittimo diritto di recesso del socio, l’effetto estensivo previsto
dall’art. 2743, co. 6, c.c., senza che alla suddetta Di Febo possa essere
imputata nessuna azione od omissione penalmente rilevante.
Il sequestro preventivo, dunque, ad avviso dell’avv. Di Risio, risulta
illegittimamente disposto, sia perché, difettando una fattispecie di reato,
le quote sociali sequestrate non possono considerarsi “cose pertinenti al
reato” e, comunque, “difficilmente” possono essere assoggettate a
confisca, sia in quanto le finalità del sequestro preventivo, c.d. periculum
in mora, avrebbero potuto essere soddisfatte con io strumento civilistico
della revocatoria ex artt. 66 e 67, I. fall.
3. Il ricorso va accolto.
4. In via preliminare va osservato che il ricorso dei pubblico ministero si
sottrae ai rilievi formulati dal difensore della Di Febo in punto di
inammissibilità.
Come è noto, infatti, in tema di riesame delle misure cautelari reali,
costituisce violazione di legge legittimante il ricorso per cassazione a
norma dell’art. 325, comma 1, c.p.p., la mancanza assoluta di
motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 31/01/2012, n. 6821; rv. 252430; Cass.,

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il ricorso per cassazione, elementi estranei e nuovi rispetto a quelli

sez. V, 25/06/2010, n. 35532; rv. 248129; Cass., sez. un., 28/01/2004,
n. 5876).
La contestazione di tale vizio rappresenta il “centro gravitazionale” del
ricorso del pubblico ministero, che rimprovera al tribunale del riesame di
avere completamente omesso di motivare sulle ragioni che hanno

l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione
nella condotta del Ludovico e della Di Febo come descritta nel capo A).
Orbene, pur nella sua provvisorietà, l’imputazione formulata nella fase
cautelare costituisce un punto di riferimento dal quale non si può
prescindere, trovando in essa l’ipotesi accusatoria un primo momento di
definizione e, nel caso in esame, la condotta addebitata alla Di Febo nel
capo A) dell’imputazione consiste nell’avere concorso con il marito
Ludovico ad arrecare pregiudizio ai creditori di quest’ultimo,
concordando, all’esito dell’assemblea ordinada della “Ludovico
Arredamenti srl”, convocata proprio dall’indagata, il recesso del marito
dall’anzidetta società, con il conseguente passaggio alla Di Febo della
titolarità delle quote sociali del coniuge, che, pertanto, venivano
sottratte alla procedura concorsuale aperta con la sentenza del tribunale
di Vasto del 17.12.2013 dichiarativa del fallimento del Ludovico.
Ne consegue che il pubblico ministero, nel censurare la completa
mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata sotto il profilo in
precedenza indicato, si è mosso del tutto legittimamente all’interno del
perimetro segnato dall’imputazione provvisoria, che individua il
pregiudizio arrecato ai creditori dalla descritta operazione non in un
negozio di cessione delle quote sociali dal Ludovico alla Di Febo, ma nel
recesso del socio Ludovico dalla “Ludovico Arredamenti srl”, che,
secondo l’impostazione accusatoria, ha costituito lo strumento attraverso
il quale è stata perseguita e conseguita la finalita distrattiva in danno dei
creditori dell’imprenditore individuale.
4.1 Le doglianze del pubblico ministero ricorrente devono considerarsi
non solo legittimamente rappresentate con il presente ricorso, ma anche
assolutamente fondate.

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indotto lo stesso tribunale ad escludere la possibilità di configurare

Ed invero il tribunale del riesame non ha fatto corretta applicazione dei
principi da tempo consolidati nella giurisprudenza di legittimità, in sede
di interpretazione dell’art. 216, I. fall. secondo cui, in tema di bancarotta
fraudolenta patrimoniale per distrazione, il distacco del bene dal
patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente

oggettivo del reato, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi
modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale
con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene
attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 09/10/2008, n. 44891, Rr. 241830;
Cass., sez. V, 23/03/1999, n. 4739).
Pertanto, come del reato insegna una pluriennale esperienza giudiziaria,
anche l’esercizio di facoltà astrattamente legittime, in quanto ricomprese
nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, si concretizzi o
meno nell’adozione di strumenti negoziali tipizzati, può costituire uno
strumento in frode ai creditori (come, ad esempio, nel caso di cessione
di beni senza adeguata contropartita), in quanto la liceità di ogni
operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito è
un valore che va accertato in concreto (cfr. Cass., sez. V, 17/05/1996, n.
9430), in relazione alle conseguenze che essa produce sulle ragioni del
ceto creditorio
A tale accertamento concreto il tribunale del riesame di Chieti si è
completamente sottratto, facendo discendere l’impossibilità di attribuire
natura distrattiva al recesso del Ludovico dalla “Ludovico Arredamenti
srl” esclusivamente dall’astratto riconoscimento di tale diritto in capo al
socio di una società a responsabilità limitata da parte delVart. 2743, c.c.
Ma ciò, come si è detto, non è sufficiente ad escludere la natura
distrattiva dell’operazione compiuta.
4. In presenza del suddetto vizio di violazione di legge, che si atteggia in
una completa assenza di motivazione su di un punto qualificante per
l’esistenza del reato in contestazione, traducendosi, in definitiva, anche
in una erronea interpretazione dell’art. 216,

I. l’ali.,

l’impugnata

depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento

ordinanza va, dunque, annullata con rinvio al tribunale di Chieti per
nuovo esame, che dovrà essere condotto in conformità agli indicati
principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Chieti per nuovo

Così deciso in Roma il 5.6.2014

esame.

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