Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30821 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30821 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

Data Udienza: 01/07/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DAL FORNO SANDRO N. IL 28/03/1978
OBERTO ANTONIO N. IL 10/03/1975
NARCISIO ANGELO CRISTIAN N. IL 07/04/1977
avverso la sentenza n. 1195/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 11/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Udi •, per la parte civile, l’Avv
it i difensor Avv.

I

udito il PG in persona del sost.proc. gen.dott. E. Selvaggi, che ha chiesto il rigetto del ricorso,

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte d’appello di Bologna, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal GUP presso il
medesimo tribunale, ritenuta la continuazione tra il delitto di cui all’articolo 416 cp e numerosi
delitti di furto, consumati e tentati, ha rideterminato la pena in anni 5 di reclusione per
ciascuno, nei confronti degli imputati Dal Forno Sandro, Oberto Antonio e Narcisio Angelo
Christian. Nei confronti dei medesimi ha anche applicato la misura di sicurezza della libertà
vigilata per anni uno, in luogo di quella detentiva disposta in primo grado.
Va rilevato che il GUP non aveva riconosciuto la continuazione tra il delitto associativo e i delitti
di furto e aveva condannato i tre imputati predetti alla pena complessiva di anni 6, mesi 2 di
reclusione, applicando la misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia agricola o casa di
lavoro.
1.1. Innanzi al giudice di appello i tre imputati avevano rinunciato a tutti i motivi relativi
all’affermazione della loro responsabilità e alla concessione di ulteriori circostanze attenuanti,
limitando le loro doglianze al mancato riconoscimento della continuazione tra i numerosi delitti
di furto e il delitto di cui all’articolo 416 cp, nonché alla applicazione della ricordata misura di
sicurezza.
2. Avverso la sentenza di secondo grado propongono ricorso per cassazione Narcisio,
Dal Forno e Oberto (questi ultimi due con atti separati, ma di identico contenuto).
3. Narcisio deduce erroneità e illogicità della motivazione in relazione alla
quantificazione della pena, nonché erronea applicazione della legge penale in relazione
all’applicazione della misura di sicurezza. Sostiene il ricorrente che male ha fatto il giudice di
secondo grado a non applicare un aumento per continuazione inferiore a quello di fatto
ritenuto. Così operando, la corte d’appello non ha tenuto adeguatamente conto dell’ottima
condotta processuale del ricorrente, il quale si è mostrato collaborativo e responsabile. Narcisio
ha ripetutamente reso dichiarazioni ammissive di responsabilità e ha serbato un
comportamento corretto, sia durante il periodo di sottoposizione alle cautele preventive (in
esse inclusi gli arresti domiciliari), sia durante lo svolgimento del processo.
Inoltre la corte d’appello, nell’accogliere la doglianza relativa alla mancata argomentazione
della misura di sicurezza della casa di lavoro, ha erroneamente ritenuto di poter applicare la
meno gravosa misura della libertà vigilata. Così operando, essa ha violato il principio
devolutivo e comunque non ha motivato sulla pretesa pericolosità sociale dell’imputato.
4. Dal Forno e Oberto deducono erronea applicazione della legge penale in ordine al
calcolo della pena a seguito della riconosciuta continuazione. Invero, dopo aver premesso,
correttamente, che reato più grave deve essere quello che in astratto è più gravemente punito,
la corte d’appello ha erroneamente individuato la pena base con riferimento al delitto
associativo, in quanto ha ritenuto che, con riferimento ai delitti di furto, dovessero essere
valutate le concesse circostanze attenuanti. Così ragionando, essa ha fatto però riferimento
alla pena in concreto ritenuta. Poiché l’articolo 81 cp, viceversa, menziona la violazione più
grave e non il reato più grave, la pena base avrebbe dovuto essere individuata con riferimento
al delitto di furto più grave vale a dire a quello del capo Z6). In termini coincidenti si sono
pronunziate le sezioni unite della corte di cassazione. Ne deriva che il calcolo della pena
operato giudice di secondo grado è erroneo e che, sul punto, la sentenza va annullata.
4.1. Con altra censura, i due imputati deducono violazione, ovvero erronea
applicazione, degli articoli 199, 202, 203, 215, 216, 228, 229, 230, 416, 417 cp, nonché della
legge 663/86 e inoltre dell’articolo 597 comma terzo cpp e ancora contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione.
Dopo aver censurato la decisione del primo giudice che ha applicato automaticamente la
misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro, in quanto detto

RITENUTO IN FATI-0

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima censura dei ricorsi Dal Forno e Oberto è inammissibile per mancanza di
interesse. Effettivamente, nell’applicazione dell’istituto della continuazione, il reato più grave
va individuato in quello la cui pena, in astratto, è più elevata (cfr SS.UU. ud. 28.2.2013, ric. PG
in proc. Ciabotti e altro). Nel caso di specie non è dubbio che il delitto di furto aggravato è
certamente punito più gravemente del delitto di cui all’articolo 416 cp. Tuttavia, poiché, nel
caso in esame (a seguito della rinuncia ai ricordati motivi di gravame), il giudice di secondo
grado era solamente chiamato a valutare se sussistesse continuazione tra il delitto associativo
e i delitti-fine, la individuazione come pena base di una pena prevista per un reato più grave di
quello effettivamente ritenuto non avrebbe determinato alcun esito favorevole per gli
impugnanti.
2. La prima censura del ricorso Narcisio è inammissibile perché generica e articolata in
fatto. Il ricorrente pretende di sottoporre a questa corte di legittimità valutazioni attinenti al
merito e, in particolare, alla incidenza sulla concreta determinazione della pena per aumento
ex articolo 81 cp della sua condotta processuale. Si tratta evidentemente di una valutazione di
fatto, peraltro argomentata in maniera del tutto aspecifica, che non può essere chiesta alla
corte di cassazione.
3. La censura relativa alla applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata (si
tratta della seconda censura di tutte e tre ricorsi, anche se nei ricorsi di Dal Forno e Oberto
essa è più riccamente argomentata) è infondata.
3.1. Invero, sia il giudice di primo grado, che quello di appello non hanno omesso di
motivare circa la pericolosità sociale degli imputati. Tale motivazione, infatti si rinviene in
quella parte della sentenza relativa alla quantificazione della pena; dunque, pur mancando
nell’adeguata sedes materiae la giustificazione motivazionale circa la necessità di applicare una
misura di sicurezza, tuttavia il documento-sentenza del primo giudice contiene tali valutazioni;
consegue che neanche sarebbe corretto parlare di motivazione implicita, ma di semplice
estensione degli argomenti utilizzati per individuare la quantificazione della pena allo scopo di
ritenere sussistente la pericolosità sociale. D’altra parte, è noto che il riferimento normativo è il
medesimo, vale a dire l’articolo 133 cp. Per quel che riguarda la sentenza di secondo grado,
detta valutazione si legge a fol. 13 ed appare articolata e congruente.
3.2. Né costituisce reformatío in pejus l’applicazione di una misura di sicurezza meno
grave rispetto a quella che, sia pure in violazione di legge, aveva deliberato il primo giudicante.
Con l’atto d’appello, i tre imputati avevano, tra l’altro, investito il giudice di secondo grado del
applicazion e
giudizio relativo ai presupposti di legge e motivazionali relativi alla

automatismo non tiene conto del novum legislativo introdotto dalla legge del 1986, in base al
quale tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento della
pericolosità sociale del destinatario (così abrogando l’articolo 204 cp), la corte d’appello ha
ritenuto di potere autonomamente applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata. In
realtà, essa non era stata investita della questione, ma solo della illegittimità dell’applicazione
della misura di sicurezza deliberata dal primo giudice. Ne consegue violazione del divieto della
reformatio in pejus.
Il capo della sentenza di primo grado relativo alla applicazione della misura di sicurezza,
invero, non è semplicemente errato nella parte in cui procede alla individuazione della specie di
restrizione da irrogarsi nel caso specifico, ma deve essere necessariamente considerato
tamquam non esset, vale a dire radicalmente inesistente e quindi la corrispondente parte della
sentenza di primo grado non poteva neanche essere presa in considerazione. Una volta esclusa
la possibilità di procedere a un’applicazione automatica della misura di sicurezza, il giudice di
appello non poteva integrare una motivazione inesistente. Invero, il giudice di primo grado,
ritenendo, appunto, che la misura di sicurezza conseguisse ex lege alla commissione dei reati
addebitati agli imputati, ha omesso qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza della
pericolosità sociale degli stessi. La motivazione – assolutamente mancante – non poteva
essere, dunque, né integrata, né prodotta ex novo dal giudice di secondo grado.

dell’assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro. Il principio devolutivo dunque è
stato rispettato, così com’è stato rispettato l’obbligo di motivazione.
4. Conclusivamente i ricorsi meritano rigetto e ciascun ricorrente va condannato alle
spese del grado.

PQM

Così deciso in Roma, il giorno 1 luglio 2014.

rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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