Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30820 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30820 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUDEL CLAUDIO N. IL 09/03/1957
avverso la sentenza n. 2687/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/06/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giovanni D’Angelo,
ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Budel Claudio è imputato del reato di cui all’articolo 473 del codice

penale per avere contraffatto o alterato i marchi e segni distintivi, o
comunque per aver utilizzato il posto in commercio borse recanti come

proprietà della Salvatore Ferragamo Italia S.p.A..
2.

Il tribunale di Milano ha ritenuto l’imputato responsabile del reato

ascritto e lo ha condannato alla pena di mesi cinque di reclusione ed
euro 600 di multa, convertita la pena detentiva in quella di euro 6300 di
multa, nonché al risarcimento dei danni con provvisionale di euro 5000.
La corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza appellata,
ha dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato per
prescrizione ed ha ridotto la provvisionale ad euro 2.000.
3.

Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione

l’imputato per i seguenti motivi:
a. violazione di legge con riferimento all’articolo 473 del codice
penale, nonché vizio della motivazione sul punto; osserva il
ricorrente come il bene giuridico tutelato dall’articolo 473 del
codice penale sia la fede pubblica e non il diritto di proprietà
industriale. L’oggetto di tutela penalistica non si identifica nel
diritto privatistico di esclusiva e degli interessi patrimoniali
che il titolare ha conseguito ottenendo la registrazione del
marchio, ma piuttosto nell’affidamento dei consumatori circa
la verità del messaggio di cui il marchio è portatore. Il giudice
penale, pertanto, è chiamato a verificare la sussistenza di un
rischio di confusione per i consumatori e quindi la sussistenza
del reato va esclusa quando la condotta, nel suo svolgimento
concreto, presenti una radicale e assoluta incapacità di
ingenerare confusione tra i consumatori. Nel caso di specie,
assumono rilievo: – la presenza, sulla borsa in questione,
pochi centimetri al di sopra della chiusura, di una placca con il
logo “High Class”, la cui forma, dimensione e carattere sono
nettamente differenti dal marchio “Salvatore Ferragamo”; -la
circostanza che la borsa fosse venduta in un negozio
1

chiusura una fibbia in metallo riproducente il marchio “Gancini” di

i

monomarca; -la presenza di una custodia che riportava il
marchio “High Class” in evidenza; -il sacchetto recante
marchio, indirizzo e nome del produttore; -il prezzo.
Il ricorrente evidenzia, poi, come la sentenza emessa dal
tribunale civile di Milano il 7 ottobre 2002 avesse dichiarato la
non confondibilità tra i prodotti delle due case di moda.
In conclusione, non c’è stato pericolo di confusione tra i

marchi non hanno in comune quel numero di caratteristiche
tali da trarre in conclusione una persona di media diligenza; la
non confondibilità in concreto comporta la assoluta inidoneità
delle condotte a configurare il delitto di cui all’articolo 473
cod. pen..
Il ricorrente evidenzia, poi, la contraddittorietà del capo
d’imputazione laddove contesta alternativamente la condotta
di contraffazione del marchio, ovvero la messa in commercio
del prodotto con il marchio contraffatto; posto che è evidente
che la borsa è stata prodotta dall’imputato, del tutto illogica è
la contestazione alternativa di aver venduto il bene con
marchio contraffatto, dal momento che tale condotta
costituisce un’ipotesi residuale atta a colpire colui che non ha
operato la contraffazione.
1. Infine, considerato che la stessa sentenza di appello riconosce
plausibile che la borsetta possa essere stata confusa nel mucchio di
prodotti da mettere in saldo, e dunque sia stata venduta per mero
errore, ci si chiede sulla base di quale sillogismo la corte sia giunta a
ritenere provato l’elemento psicologico del reato in capo al signor
Budel Claudio, tanto più che è stato accertato che la borsa fu
prodotta prima della causa civile che inibiva all’odierno imputato di
produrre quel determinato bene.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per mancanza di autosufficienza; le
questioni in diritto sollevate dall’imputato presupponevano l’esame visivo
del bene al fine di valutare non solo la possibilità di confusione con i
2

prodotti “High Class” e quelli di Ferragamo, posto che i due

./

prodotti della casa di moda Ferragamo, ma altresì la possibilità di
ritenere la fibbia un vero e proprio marchio e non solo un accorgimento
tecnico indebitamente copiato.
2. Il ricorrente avrebbe potuto sopperire alla mancata allegazione
indicando in modo preciso la collocazione nel fascicolo processuale degli
elementi istruttori necessari per l’esame delle censure prospettate, ma di
tali indicazioni non vi è traccia e nel fascicolo giunto davanti a questa

3. Per il resto, sul dedotto vizio di motivazione, il ricorso sviluppa
argomentazioni che costituiscono reiterazione delle difese di merito
già disattese dai Giudici di appello, oltre che censure in punto di
fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla
valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni
ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che
rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui
apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto,
come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente
da vizi logico-giuridici; tanto più se si considera che il giudice di
legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione
del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di
primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in
un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 11220 del
13/11/1997, Ambrosino; conff. Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003,
Zanotti; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano; sez. 2, n.
19947 del 15 maggio 2008).
4.

L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente
alla sentenza impugnata con il ricorso; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000,
De Luca, Rv. 217266); alla declaratoria di inammissibilità segue, per
legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso: cfr. Sez. 2, n.
35443 del 06/07/2007 – dep. 24/09/2007, Ferraloro, Rv. 237957) al
versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che
si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

Corte non risulta nulla di tutto ciò.

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 a
favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 26/06/2014

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